Non mi posso lamentare, di Paolo Cattaneo (Rizzoli-Lizard)
Dopo aver raccontato il disagio dell’adolescenza con L’estate scorsa – che tradotto quest’anno in Francia è stato incluso nella selezione ufficiale di Angoulême – e con la storia breve Manuelone, Paolo Cattaneo torna con un fumetto di ampio respiro – 240 pagine – in cui si concentra sul tema della malattia e della paternità. Non mi posso lamentare è la storia di Danilo, un ragazzo che scopre di avere pochi mesi di vita e allora decide di iniziare a fumare. Ma di nascosto dalla sua compagna, incinta di suo figlio. Si rifugia quindi dove può, fuma e si rilassa scrivendo lunghe lettere a quel bambino che è tutto ciò che resterà di lui dopo la morte.
L’ambientazione è nella periferia genovese, fatta di palazzoni che sorgono sulle colline, serpentine di strade, fabbriche, baretti, discount e, in questo caso, l’amore per la Sampdoria. Danilo è un ragazzo come tanti, con una storia fatta di bagordi adolescenziali, che si trova in un momento della vita in cui la responsabilità verso i propri impegni prende il sopravvento. Ma a gravare su tutto, e a fargli vivere una situazione di stallo, è la malattia incurabile che se lo sta portando via.
Per disegnare questo fumetto Cattaneo ha scelto di posare la matita e abbandonare il complesso ed elaborato bianco e nero sfumato a cui ci aveva abituato, optando per un disegno digitale, semplice e diretto, fatto di anatomie deformate e colori acidi. La narrazione è basata sulle parole che Danilo scrive al figlio nei suoi diari. È una scrittura semplice, letterata intelligentemente a mano, che comprende errori, cancellature e aggiunte, e che riflette i pensieri del personaggio. Così da una parte ci ritroviamo a seguire i suoi ricordi e dall’altra le sue azioni. Ne scopriamo il passato, il rapporto con la moglie, le occasioni mancate, gli amici fuori di testa, le sigarette fumate.
Dopotutto, nonostante quello che gli aspetta, Danilo sembra in pace con se stesso e il proprio destino, con la propria vita vissuta all’interno di un microcosmo concentrato negli spazi di un singolo quartiere. Senza troppi rimpianti o nostalgia, solo una punta di amarezza per quel figlio che non vedrà mai ma a cui è riuscito raccontare tutto. Una storia realistica e dura, ma soprattutto sincera e toccante.