«Non voglio apparire immodesto. Se da una parte credo di aver capito lo spirito che ha animato Disney, dall’altra mi considero anche l’ultimo dei disegnatori “disneyani”, di fronte ai migliori americani, e riconosco la superiorità tecnico-grafica dei miei colleghi italiani. Ma ho la presunzione di essere un po’ superiore agli altri dal punto di vista della comprensione del substrato dei personaggi e delle “gag”.» Dall’intervista rilasciata da Romano Scarpa a Fiorello Zangrando, pubblicata su If Anno II n° 6 dell’aprile/maggio 1974.
Il più disneyano degli autori Disney, italiani e non solo. Questo e molto altro è stato Romano Scarpa.
Nato un anno prima di Topolino, Scarpa è stato fra i migliori interpreti internazionali di Paperi e Topi. Un riconoscimento che negli ultimi anni si è fatto più concreto, travalicando perfino i confini nazionali. Dalla riproposizione, prima in Francia e poi in Grecia, dell’opera omnia in 50 volumi pubblicata nel 2014, alla mostra dedicatagli da Wow Spazio Fumetto a Milano ai più recenti volumi Fantagraphics intitolati ad alcuni cicli di sue storie.
Deciso a diventare un autore disneyano fin dal 1939 quando, dodicenne, assistette alla proiezione di Biancaneve e i sette nani, dovette aspettare fino al 1953 per poter realizzare il suo sogno. Nel frattempo non era stato certo con le mani in mano.
Pur dovendo interrompere gli studi al liceo artistico a causa della guerra (riprendendo poi come studente all’Accademia e all’Istituto d’Architettura di Venezia) inizia a sperimentare con l’animazione. Il cinema d’animazione italiano, dopo un periodo di intensa ricerca fra gli anni ‘20 e gli anni ‘40, subirà una battuta di arresto nel secondo dopoguerra, se si escludono pochi pregevoli esempi come La rosa di Bagdad e alcuni lavori dei fratelli Pagot, come Lalla piccola Lalla e I fratelli dinamite. Pellicole, queste, che subivano in maniera piuttosto esplicita l’influenza dei lungometraggi e delle Silly Symphonies disneyane (non a caso Nino Pagot era stato anche un autore disneyano).
Quando Scarpa le si avvicina, quella dei film animati era quindi una tecnica tutta da riscoprire, soprattutto grazie all’osservazione dei lavori dei maestri statunitensi. Ciò significava, nell’era pre digitale, recuperare e visionare più e più volte – forse anche alla moviola – copie in pellicola di film come Pinocchio e Biancaneve. Un lavoro deduttivo che in molti casi non poteva appoggiarsi sui consigli dei maestri.
Dopo …e poi venne il diluvio, cortometraggio del 1946 andato perduto, l’artista veneziano realizza La piccola fiammiferaia (1953). Il cortometraggio, che riprende motivi tipici del cinema disneyano è realizzato con un artigianale camera multiplane – costruita da lui stesso – che aveva destato interesse quando esposta alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia nel 1947.
I suoi lavori come animatore riscossero successo e anche il plauso dei colleghi, fra tutti Toni Pagot, regista de I fratelli Dinamite ma più noto per la creazione, con il fratello Nino e Ignazio Colnaghi, del pulcino Calimero.
Nonostante quella di animatore sembrasse una carriera ormai avviata, il richiamo dei personaggi disneyani era ancora molto forte: Scarpa non aveva abbandonato il suo sogno di bambino. Anche se le riprese di La piccola fiammiferaia si svolgevano nel suo studio veneziano, i laboratori di sviluppo e stampa, gli stabilimenti Donato, erano a Milano. Scarpa doveva quindi fare spesso spola fra le due città e durante una di queste sue incursioni, si presentò al direttore di Topolino.
«Appena finita la guerra cominciarono ad uscire le storie di un Paperino diverso da quello che conoscevo. Era cambiato non solo graficamente, più rotondo, col becco meno affilato, ma era modificato anche come personaggio diventando protagonista di storie piene di astuzie narrative. Pensavo fosse un prodotto italiano così, durante una delle mie corse a Milano per curare le riprese della piccola fiammiferaia, sperai di realizzare il mio sogno di ragazzo e mi presentai da Mario Gentilini il direttore di Topolino. Ma le storie erano americane, autentiche, di un certo Carl Barks e gli anni di guerra ne avevano fatto accumulare un tale numero che sembrava non dovessero più finire…». Dall’intervista rilasciata a Silvano Mezzavilla su 7 Giorni Veneto del 19/06/1975.
E in effetti, anche se la presenza di storie italiane sull’allora quindicinale era in costante crescita, le storie americane la facevano ancora da padrone.
La pubblicazione delle storie della banda Disney era stata interrotta, per ordine del MinCulPop, a partire dal numero 478 di Topolino (giornale) del 10 febbraio 1942 proprio quando, dall’altra parte dell’oceano, Carl Barks esordiva come autore completo di storie a fumetti disneyane.
Le pubblicazioni ripresero solo a guerra terminata, ma intanto nei magazzini del distributore internazionale si erano accumulati anni di storie, non solo dell’”Uomo dei Paperi” ma anche di Gottfredson, Gonzales e altri autori statunitensi.
In anni in cui su gran parte delle pubblicazioni non erano ancora riportati i nomi dei creatori delle storie (per Topolino bisognerà aspettare il 1988), l’errore di Scarpa nel credere che quelle storie prodotte all’estero fossero italiane è comprensibile.
La tradizione dei Disney italiani era infatti stata inaugurata nel 1937 da Paolino Paperino e il mistero di Marte, anche se per avere un numero di Topolino firmato esclusivamente da autori nostrani bisognerà attendere addirittura gli anni Novanta. Se infatti Topolino nel 1949 (anno in cui passò all’attuale formato libretto) esordì presentando una storia tutta italiana, nell’arco dell’intero 1953 ne furono pubblicate solo due – di cui una disegnata dallo stesso Scarpa – per arrivare a trenta nel 1957.
Nel frattempo la rivista era passata dalla periodicità mensile a quella quindicinale e il serbatoio di storie che arrivavano dagli Stati Uniti iniziava a essere insufficiente alle necessità delle pubblicazioni nostrane. Si andava configurando un interessante mercato per gli autori italiani: Angelo Bioletto, Guido Martina, Giuseppe Perego, Luciano Bottaro e altri, fra cui Giovan Battista Carpi iniziarono quindi a collaborare con il periodico.
Fu proprio Carpi a informare Scarpa che il vento era cambiato, e così il veneziano tornò da Gentilini con una storia quasi completa, quella Paperino agente investigativo che avrebbe in seguito parzialmente riciclato nella prima storia disneyana completamente scritta e disegnata da lui stesso, Paperino e i gamberi in salmì.
Gentilini però, nonostante l’evidente maturità artistica del giovane autore non accetta subito la sua storia. Su consiglio di Guido Martina, il più prolifico degli sceneggiatori italiani dell’epoca, con alle spalle storie come L’Inferno di Topolino e Topolino e il cobra bianco, decide di metterlo alla prova con i personaggi disneyani più difficili da realizzare, per varietà e gamma espressiva: Biancaneve e i sette nani.
La notte stessa Scarpa realizza una tavola che gli vale l’ingaggio. Eccolo dunque pronto per il suo esordio da autore Disney, quattordici anni dopo la visione cinematografica che lo folgorò. Per i testi di Martina disegna infatti Biancaneve e Verde Fiamma (di cui ho parlato qui), terzo sequel italiano a fumetti del lungometraggio del 1937 dopo Biancaneve e il mago Basilisco (1939) e I Sette Nani cattivi contro i Sette Nani Buoni (1940), scritte da Federico Pedrocchi e disegnate da Nino Pagot.
Lo stile dell’esordiente Scarpa è già maturo. Anche se le relazioni spaziali fra i personaggi a volte mostrano qualche carenza e se l’adesione al model sheet originale è fin troppo fedele, in particolar modo per quanto riguarda Grimilde, già nella doppia splash page iniziale e nelle tavole immediatamente successive, che mostrano un sabba infernale, il suo talento come caratterista e disegnatore di espressioni è già evidente.
Così come è evidente l’utilizzo originale della profondità di campo, delle inquadrature angolate e dei piani multipli, caratteristiche che, insieme all’estrema resa dinamica delle azioni dei personaggi, si ha la forte tentazione di far risalire all’esperienza di Scarpa come animatore.
L’influenza di questa storia è percepibile nell’opera di un autore diversissimo come Luciano Bottaro, così come un po’ di Romano Scarpa sopravvive in quasi tutte le migliori storie Disney.
Tralasciando i molti che, direttamente o indirettamente ha ispirato – primo fra tutti Casty – fra i fumettisti da lui tenuti a battesimo possiamo citare, dimenticandone certo qualcuno, Rodolfo Cimino, Giorgio Bordini e Maurizio Amendola (che lavorarono direttamente nel suo studio di animazione), Luciano Gatto, Sandro Del Conte, Luciano Capitanio, Sandro Zemolin, Valerio Held, Giorgio Cavazzano, che furono suoi inchiostratori. Colui che non aveva avuto maestri diretti aveva finito per diventare il maestro di molti.
Un lascito che però, considerando gli enormi cambiamenti stilistici occorsi, Scarpa non avrebbe probabilmente condiviso:
«Devo confessare di sentirmi confuso da questo essere sempre definito il più bravo. Una cosa credo senz’altro di esserlo più di qualcun altro. Credo di essere il più disneyano. È per questo che forse a volte mi sono lasciato sfuggire l’affermazione che in Italia non ci sono mai stati veri autori disneyani. Perché io li ho sempre visti come troppo… personali, se vogliamo, con dei meriti indubbi, ma molto, molto lontani da quello che era il genere Disney. Lo stile, lo spirito dei personaggi: io ho sempre visto queste cose molto maltrattate in virtù di una maggiore personalità, in senso nazionalistico, campanilistico; li ho sempre visti legati un po’ troppo al nostro mondo, che è piccolo in confronto a quello che è il mondo universale disneyano». Da un’intervista condotta da Claudio Piccinini.
Ed è proprio nel nome di una caparbia fedeltà allo Spirito Disney, in realtà largamente indefinibile e in una certa parte mutevole, che Scarpa imposterà la sua carriera di fumettista. «Romano Scarpa è dunque un grande autore originale e allo stesso tempo un disneyano ortodosso» come viene definito nel bel volume Romano Scarpa – Sognando la Calidornia. Non a caso la sua dedizione ai personaggi Disney sarà pressoché totale, e non solo perché creare storie di paperi e topi assicurava, come in parte assicura anche oggi, tra i compensi migliori disponibili sul mercato.
Dopo Biancaneve e Verde Fiamma Scarpa realizza, nei tre anni successivi, una manciata di storie, sempre per i testi di Guido Martina. Il suo esordio, questa volta meno convincente nei risultati, con Paperi e Topi avviene con delle tavole di raccordo utilizzate nell’Almanacco Topolino del 1954 per collegare storie di Barks e altri in una improbabile continuity creata a posteriori.
Storia dopo storia diventa sempre più bravo, cimentandosi in poco tempo con i più consolidati topoi dell’universo disneyano: la storia natalizia (Topolino e le delizie natalizie), la commedia degli equivoci barksiana, ricca di travestimenti (Paperino e l’ora dell’oro), il giallo a là Gottfredson (Topolino e il doppio segreto di Macchia Nera).
Ma è nel 1956 che arriva la vera svolta. Adattando, come detto, il soggetto di Paperino agente investigativo presentato anni prima al direttore Gentilini, realizza la sua prima storia da autore completo, Paperino e i Gamberi in Salmì, che, distaccandosi nettamente dal modello martiniano imperante, segna il passo di quella che sarà la produzione successiva del fumettista veneziano.
Si tratta infatti di un mistery impeccabilmente congegnato, al netto delle surreali premesse, e di un omaggio alla letteratura e alla cinematografia “gialla”; nella vignetta di apertura Paperino legge Il morto bussa sempre due volte di Edgar Spallace, doppio riferimento parodico allo scrittore Edgar Wallace e al romanzo Il postino suona sempre due volte di James M. Cain.
Da quel momento saranno innumerevoli i riferimenti cinematografici espliciti nell’opera di Scarpa, nella tradizione delle “Grandi Parodie” italiane: Topolino nel favoloso regno di Shan–Grillà (da Orizzonte perduto), Topolino e l’uomo di Altacraz (da L’uomo di Alcatraz), Topolino e la Regina d’Africa (da La Regina d’Africa), Topolino e la collana Chirikawa (da Io ti salverò) e via dicendo.
Inoltre, in Paperino e i gamberi in salmì esordisce Gedeone de’ Paperoni, direttore di giornale, fratello del più noto Paperone, primo di una nutrita schiera di personaggi creati dall’autore: Trudy, Atomino Bip Bip, Sgrizzo Papero, Paperetta Yè-Yè, Bruto, Filo Sganga, Sgrizzo Papero, Topolinda, Zenobia e molti altri. A differenza della stragrande maggioranza dei disneyani italiani, Scarpa arricchisce in modo importante il cast sia di Topolinia che di Paperopoli, e, cosa ancora più rara, molte delle sue creazioni gli sono sopravvissute.
Con Paperino e i gamberi in salmì inizia quello che può essere definito il periodo d’oro scarpiano. Fino al 1962, sempre come autore completo, sforna uno dopo l’altro quelli che sono i suoi capolavori riconosciuti:
- Paperino e l’amuleto di Amùndsen
- Topolino e il mistero di Tapioco Sesto
- Topolino e il campionissimo
- Topolino e il Pippotarzan (storia che fu di chiara ispirazione per il film di Ettore Scola Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa?)
- Paperino e l’antidollarossera
- Topolino e la nave del microcosmo
- I Sette Nani e il trono di diamanti
- Paperino e la leggenda dello «scozzese volante»
- Topolino e l’unghia di Kalì
- Paperino e la “Fondazione De’ Paperoni”
- Topolino e la dimensione Delta
- Paperino e l’uomo di Ula-Ula
- Topolino e Bip-Bip alle sorgenti mongole
- La leggenda di Paperin Hood
- Topolino e la collana Chirikawa
- I 7 Nani e l’anello di betulla
- Zio Paperone e l’ultimo balabù
- Paperino e le lenticchie di Babilonia
- Topolino e il Bip Bip -15
- Zio Paperone e il ratto di Brigitta
- Topolino imperatore della Calidornia
- Paperino agente dell’F.B.I.!
- Topolino nel favoloso regno di Shan-Grillà
- Paperino e il colosso del Nilo (in cui Scarpa anticipa il “trasloco” dei monumenti di Abu Simbel avvenuto qualche anno dopo)
- Zio Paperone e la gara da 100 $
- Topolino e la fiamma eterna di Kalhoa
- Topolino e il gigante della pubblicità
- Codino cavallo marino (tentativo, fallito, di allargare ulteriormente il parterre di personaggi Disney)
Dopo Paperino e la farfalla di Colombo del 1962 l’autore diraderà la propria attività di sceneggiatore per mettersi al servizio di plot scritti da altri, fra tutti il suo ex inchiostratore Rodolfo Cimino e i purtroppo poco ricordati fratelli Barosso. Tornerà alla scrittura sempre più raramente, non mancando però di regalare altre grandi storie, prima fra tutti Topolino e l’uomo di Altacraz, forse una delle sue più riuscite.
Questa manciata di storie contiene un’incredibile quantità di invenzioni: dal punto di vista parziale in Topolino e l’uomo di Altacraz, a un utilizzo originalissimo della soggettiva e del flashback in Topolino e la collana Chirikawa (notevole anche l’uso del tratto “infantilizzato”; ne parla Sergio Varbella sulle nostre pagine), alla resa fumettistica della dissolvenza cinematografica in Topolino e l’unghia di Kalì, al finale sospeso di Paperino e le lenticchie di Babilonia, davvero anomalo per gli standard disneyani.
Nel suo periodo aureo Scarpa utilizza ogni storia per introdurre un’idea nuova, un’invenzione, e contemporaneamente dimostra di aver appreso alcune delle più importanti lezioni dei suoi due grandi maestri e capostipiti della scuola Disney per quanto riguarda, rispettivamente, paperi e topi: Barks e Gottfredson.
Come già detto, infatti, Scarpa si distacca dal modello martiniano, il quale trattava i suoi protagonisti come – pur ottime – maschere caricaturali, sempre sopra le righe e pronte all’eccesso, e li trasforma in personaggi a tutto tondo, complessi e capaci di fragilità (Topolino), momenti di inaspettato coraggio (Paperino) e incredibili slanci di generosità (Zio Paperone). L’influenza di Barks, per quanto riguarda la sua capacità di non trattare le proprie creazioni come caricature, come maschere della commedia dell’arte ma come specchi dei nostri vizi e delle nostre virtù è più che chiara:
«Io ho sempre cercato di mettere qualcosa in una storia, un senso compiuto, un intreccio, uno sviluppo logico; non mi piacciono le disavventure collegate malamente, a casaccio. E ho anche cercato e cerco di elaborare finali forti, amarognoli, mi piacciono quelli a suspense, come in Paperino e le lenticchie di Babilonia, dove la storia sembra finire con Zio Paperone ridotto a mendicare, perché i Bassotti gli hanno portato via tutto. Ma nell’ultima vignetta […] senza commenti, fa capire che la storia si risolve, con una battuta grafica, ancora a favore dell’avarastro.
Non mi piace, d’altra parte, e non l’ho mai fatto, ricalcare e copiare pose e situazioni, che danno al risultato una connotazione stereotipata e schematica. I personaggi sono veri attori. la loro è una recitazione vera e propria, e dev’essere adeguata al momento in cui agiscono e che vivono.» Dall’intervista rilasciata da Romano Scarpa a Fiorello Zangrando, pubblicata su If Anno II n° 6 dell’aprile/maggio 1974.
Fra le ultime storie di Scarpa come autore completo di questo periodo vale la pena citare almeno Topolino e il gigante della pubblicità, per cui sicuramente attinge alla sua passata esperienza nel campo degli spot.
Meno «estremo» di Martina, anche Scarpa non manca di introdurre nei suoi fumetti, particolari eccentrici. In questa storia, ad esempio, un’avventura in cui Topolino decide di cimentarsi professionalmente nel campo degli spot, Mac Factor, magnate di prodotti cosmetici, si rivela in realtà una donna costretta a travestirsi da uomo, perché talmente brutta da poter nuocere all’immagine dei prodotti che produce.
La storia presenta un’enorme quantità di spunti ed è in generale una feroce satira di tutto quell’apparato pubblicitario che nel 1961, data della sua prima apparizione, già risultava terribilmente invadente agli occhi dell’autore.
Inoltre Scarpa riesce, come gli è abituale, a essere intrigante e didattico allo stesso tempo: nel corso della narrazione si può assistere alla spiegazione di varie tecniche di realizzazione cinematografica, sia dal vivo che d’animazione (genere in cui Scarpa è un maestro) senza che questi «momenti informativi» influiscano negativamente sul ritmo. La satira dovette risultare assai efficace per i tempi tanto che, come ricorda Luca Boschi, «procura qualche problema alla casa editrice. Se ne fa portavoce lo stesso reparto pubblicitario della mondadori con varie rimostranze verso la redazione di Topolino, accusata di essersi fatta beffe di un settore tanto importante per la vita dell’intera azienda.» (Luca Boschi, “Il nemico degli spot”, in Topolino Story vol. XIII, RCS, 2005)
Ad ogni modo, mentre Scarpa decide di dedicarsi quasi esclusivamente al disegno, il mondo disneyano stava cambiando.
Se Barks, negli stessi anni del periodo d’oro di Scarpa era ancora in piena attività, d’altro canto Gottfredson era stato costretto ad abbandonare le avventure di lungo respiro con protagonista Topolino per dedicarsi a meno interessanti e spesso ripetitive strisce autoconclusive. Scarpa si dimostra capace, forse unico fra i tanti artisti disneyani delle varie scuole nazionali, di raccogliere la sua eredità, facendo vivere a Topolino avventure complesse, articolate, mai banali e attraversate da una ben precisa inquietudine, senza nulla togliere al necessario sviluppo umoristico.
Forse non è sbagliato affermare che rispetto alla maggior parte dei suoi colleghi, che italianizzarono l’universo Disney spesso in maniera piuttosto esplicita, Scarpa fu l’ultimo dei grandi autori “americani” (con l’unica eccezione di Don Rosa), uno dei pochi che fiutò, consapevolmente o meno, l’internalizzazione che avrebbe investito la produzione Disney italiana.
L’Italia, infatti, sarebbe da lì a breve diventata il punto di riferimento della produzione di storie Disney a fumetti nel mondo e questo avrebbe comportato la censura delle avventure dall’impronta eccessivamente campanilistica o, in altri termini, ricche di rimandi e riferimenti incomprensibili ad un pubblico internazionale. Non a caso nel corso degli anni le storie di Scarpa disegnate su soggetti e sceneggiature scritti da autori statunitensi e riservati al pubblico internazionale si sarebbero moltiplicate esponenzialmente. Una certa anarchia che aveva caratterizzato la produzione Disney nostrana, insomma, sarebbe presto stata riportata entro più rigidi confini, come anche spiegato recentemente in un nostro articolo.
Ma cosa successe, dunque, dopo il periodo d’oro scarpiano? Come mai l’autore veneziano, che già dal 1957 aveva delegato l’inchiostratura delle tavole a dei collaboratori, accettò il ruolo di “semplice” disegnatore di sceneggiature altrui?
«In termini artistici, la scelta di lavorare come autore unico era personalmente gratificante ma non altrettanto dal lato economico. Purtroppo fu una ragione venale a portarmi a tale svolta. Non ci fu un motivo di ordine artistico o un ripensamento. Dopo diversi anni e tante sceneggiature originali, mi accorsi semplicemente che mi veniva riconosciuto solo un terzo del mio lavoro. Nelle storie del periodo precedente mettevo il cuore, l’anima. mi costava tanto tempo pensare all’intreccio, stendere la sceneggiatura, dialogarla… e poi c’era altrettanto lavoro che mi aspettava col disegno!
In definitiva ci rimettevo sempre: realizzare testi originali, e con tanto amore mi portava solo ad una perdita economica. Ad un certo punto mi chiesi perché mai dovessi faticare tanto, quando gli altri disegnatori di Topolino avevano la vita comoda, viaggiando beati sull’onda delle sceneggiature altrui. Lavoravano meno di me e guadagnavano il doppio. Fino a quel momento, e anche per molto tempo dopo, nessuno mi aveva mai detto ‘bravo’! Non avevo avuto il benché minimo riconoscimento, nemmeno morale.» Dall’intervista a cura di Andrea Sani pubblicata su Exploit Comics, n°36, novembre 1985, citata in Romano Scarpa – Sognando la Calidornia.
Oltre alle motivazioni economiche, a condizionare la scelta furono anche forse i cambiamenti in corso nella rivista. In particolar modo la preferenza della redazione per storie brevi e commedie di costume, che chiedevano meno tempo per essere realizzate – al prezzo di una inevitabile ripetitività – e quindi venivano incontro al bisogno sempre più impellente di materiali inediti. Ciò, naturalmente, lasciava meno spazio alle lunghe e complesse avventure scarpiane che spesso si articolavano su più numeri.
A parte rare incursioni, Scarpa, nei decenni successivi, lavora quasi esclusivamente come disegnatore a servizio, su storie dal livello altalenante. Il suo tratto nel frattempo continua a evolversi, facendosi più tridimensionale e al tempo stesso più spigoloso, specie nella resa dei paperi.
Riassumere qui una carriera fatta di cinquecento storie disegnate sarebbe impossibile. Limitiamoci a dire che tra la fine degli anni ‘80 e l’inizio dei ‘90 Scarpa riceve quella gratificazione morale di cui in passato aveva lamentato così aspramente la mancanza: le sue storie vengono pubblicate negli Stati Uniti, esce un volume monografico a lui intitolato (Romano Scarpa: Un cartoonist italiano tra illustrazioni e fumetti) e gli viene assegnato, nel 1990, il premio Yellow Kid alla carriera.
È questo anche il periodo in cui si rimette in gioco come autore. Lo fa inizialmente, come una breve parentesi, realizzando la chilometrica Paperolimpiadi, in occasione delle Olimpiadi di Seul del 1988 (di cui abbiamo parlato diffusamente QUI). Come scrive Andrea Fiamma: «Invece del mistero che innervava molte sue storie, Scarpa cercò un’altra impostazione per reggere le centinaia di pagine della trama e preferì il respiro da kolossal», anche se va detto che Scarpa aveva avuto già modo di sperimentare questo modello, ancora una volta dichiaratamente cinematografico, in La storia di Marco Polo detta il Milione, realizzata insieme a Guido Martina.
Più interessanti, dal punto di vista della sfida autoriale, sono invece le quattro storie a strisce che realizzerà a partire dal 1988: Topolino e l’enigma di Brigaboom, Topolino e gli Uomini Vespa, Topolino e la banda dello starnuto, Topolino in: Ciao Minnotchka. Queste storie a puntate si ispirano al modello, non solo di impaginazione ma anche narrativo, delle classiche storie a strisce pubblicate sui quotidiani statunitensi, in particolare al Mickey Mouse di Gottfredson.
Vale la pena qui di spendere due parole in più sull’ultima di queste avventure, perché le vicissitudini che ne accompagnarono la pubblicazioni dicono molto di come l’internalizzazione delle pubblicazioni Disney e il sempre più stretto controllo da parte della casa madre cambiarono l’approccio degli autori allo sviluppo dei loro soggetti. Si era ormai anni luce lontani dalle ribalderie di Guido Martina e, anche, in parte del primo Scarpa.
Si tratta ancora di una parodia cinematografica (Ninotchka, regia di Ernst Lubitsch, USA 1932) e condivide con il film da cui è tratta una leggerezza, se non un disinteresse ideologico, che non tutti hanno compreso. Certo, all’epoca sembrò strano vedere sulle pagine di Topolino una satira così evidentemente anticomunista.
Infatti la storia parla di un re esiliato a Parigi dalle milizie “ugualiste” (che invece del pugno alzato salutano con il gesto dell’indice flesso), guidate da un leader apparentemente disinteressato ma che in realtà ha portato sull’orlo del fallimento un paese già prospero sotto la monarchia solo per rimpolpare il proprio, segretissimo, conto in Svizzera. Sulle tracce dell’ex sovrano, forse in possesso di un favoloso tesoro da restituire al popolo affamato, viene inviata Minnotchka, convinta ugualista, neppure sfiorata dall’ombra del dubbio (crimine! Su di lei non hanno effetto, inizialmente neanche le attrazioni di Eurodisney).
Per la sua trama, Ciao Minnotchka! non sfugge ovviamente alla censura.
«Qualche mese fa è caduto anche il tabù della politica, con una parodia del film Ninotchka che ha scatenato le proteste di Sergio Garavini, leader di Rifondazione Comunista. Capelli [direttore di Topolino] non ne parla volentieri, ma nella redazione di topolino deve esserci stata un po’ di maretta su quella storia: rispetto alle tavole presentate in anteprima alla mostra di Lucca la versione andata in edicola è stata modificata. “Censure? Soltanto qualche ritocco – taglia corto il direttore –. Ho fatto togliere dal testo la parola “politica” che mi sembrava davvero poco adatta a una testata come la nostra». Dall’articolo di Guido Tiberga per La Stampa del 28 dicembre 1992
Su La Stampa del 28 ottobre 1992 si riporta invece una dichiarazione di Romano Scarpa:
«Romano scarpa […] ci ha spiegato che pensava da anni a questa storia, “ma i tempi non erano ancora maturi”. Adesso invece “i bambini stanno vivendo un momento storico decisivo, e topolino non poteva restare indifferente».
Due atteggiamenti evidentemente contrapposti che dicono molto anche su chi, oggi, vorrebbe provare a raccontare ancora il mondo e l’attualità attraverso portavoci universali come i personaggi Disney e, al di là di alcuni temi ecumenici e forzatamente condivisi come l’ecologia, ha molte difficoltà a farlo, come testimonia la vicenda della copertina mai pubblicata dedicata all’attentato di Charlie Hebdo.
Rimane da segnalare, a proposito di questa storia, per non rimanere in una sgradevole ambiguità, che il dittatore egualista Sberleff cade perché corrotto, e non a causa della propria ideologia. Inoltre il suo agente Minnotcka non rinuncia, in ultima analisi, alla proprie posizioni, ma esprime solo il desiderio di vivere in un mondo più libero, in linea, dunque, con le posizioni di Gorbaciov. Posizione similare a quella di Ninotchka nel film di Lubistch, che non abbraccia l’ideologia capitalista ma cambia vita per via dell’amore verso Léon.
Fra l’altro la satira anticomunista non è nuova per il personaggio Topolino. Oltre ai riferimenti barksiani alla Brutopia, parodia della Russia di Kruscev, si ricordi anche la gottfredsoniana Eta Beta e il tesoro di Mook, in cui Topolino si trova catapultato in una parodia della Russia, dove i carri armati sono di cartone e la gente è costretta a sorridere grazie a dei ganci tira bocca.
Polemiche come quella che coinvolse Scarpa rendevano però evidente che i tempi erano cambiati e si era ormai ridotto lo spazio per un autore come Scarpa, che pure avrebbe prodotto alcune altre storie memorabili, prima della sua scomparsa a Malaga nel 2005, dove si era ritirato con la famiglia dedicandosi per lo più a collaborazioni per il mercato estero.