Anno 1999: il secondo millennio stava per giungere alla fine e c’era preoccupazione per il Millennium Bug, che avrebbe potuto far saltare l’intera rete informatica del mondo al sorgere del 2000 (cosa che per fortuna non si avverò). Ma il 1999 fu anche l’anno dell’addio al basket di Michael Jordan, della nascita di Napster e di MSN e del nobel per la letteratura a Günter Grass. In quei 12 mesi videro la luce anche numerosi fumetti di cui ci ricordiamo come se fossero stati pubblicati ieri (e in alcuni casi può risultare vero, visto il ritardo che a volte avviene tra le edizioni originali straniere e quelle italiane).
Per rinfrescare la memoria abbiamo voluto selezionare 20 pubblicazioni a fumetti del 1999 che ancora oggi, nonostante gli anni trascorsi, la redazione di Fumettologica non riesce a dimenticare. Non (solo) i migliori, non (solo) guilty pleasure, ma quelli più indicativi della nostra memoria, un po’ perché davvero rappresentativi di quell’annata editoriale, un po’ perché la loro influenza si è estesa ben oltre il solo 1999. Chissà: li ricorderemo ancora tutti tra vent’anni? E voi?
Tom Strong, di Alan Moore e Chris Sprouse
Verso la fine del millennio, su suggerimento di Jim Lee, Alan Moore fece il grande passo e decise di varare la America’s Best Comics, una realtà editoriale curata esclusivamente da lui stesso, a partire proprio dalle sceneggiature. Moore era infatti lo scrittore di tutte le testate pubblicate. Sembrava una follia, ma l’anno successivo l’autore riuscì a portare a casa qualcosa come quattro Eisner Award (cinque, compreso quello per la miglior ristampa), vincendo praticamente in ogni categoria in cui concorreva.
L’intento di Moore fu quello di riportare gli eroi alla loro essenza più pura, ripartendo non a caso dagli eroi pulp, ovvero i progenitori dei supereroi americani. Tra i nuovi personaggi, quello che forse rappresentò al meglio questo approccio fu Tom Strong, sorta di incrocio fra Tarzan e Doc Savage dotato allo stesso tempo di grande forza e di enorme intelligenza. Una sintesi perfetta dell’eroe, rappresentato graficamente dal tratto pulito di Chris Sprouse, quasi una linea chiara all’americana che non lasciava spazio a ombre di alcun tipo.
Le avventure del personaggio erano tanto semplici quanto complesse. Tom Strong e i suoi aiutanti erano gli eroi che in ogni storia affrontavano un “cattivo” diverso per salvare la propria città, il proprio mondo, l’universo o addirittura il multiverso. Allo stesso tempo, però, Moore ne approfittò per realizzare un piccolo compendio di ciò che il fumetto d’avventura – supereroistico e non – dovesse essere per lui in quel momento: storie di grande respiro piene di invenzioni geniali ma che non procurassero il mal di testa ai lettori. Ma questo, come vedremo, Tom Strong è solo il primo dei tanti fumetti di Moore che segnarono il 1999.
100 Bullets, di Brian Azzarello e Eduardo Risso
Nel 1998 Brian Azzarello era uno scrittore di belle speranze a cui fu affidato il rilancio di Jonny Double, personaggio creato trent’anni prima da Len Wein e Marv Wolfman. Eduardo Risso invece era già una leggenda, con quasi vent’anni di pubblicazioni ad altissimo livello tra Sud America, Europa e Stati Uniti. Messi al lavoro sullo stesso personaggio si scoprirono subito in sintonia, tanto da lanciare – l’anno successivo – una serie sviluppata interamente da loro per la prestigiosa Vertigo.
Fin dalle primissime pagine Azzarello non nascose la sua passione per i noir più feroci e per la narrativa pulp fatta di personaggi tormentati e morti violente. Risso di suo ci mise un tratto duro e spigoloso, ricco di neri profondi e contrasti netti. Non si poteva scegliere un’accoppiata più azzeccata per uno dei titoli che meglio hanno interpretato l’essenza matura della sussidiaria DC. Nel corso della sua storia 100 Bullets si è sviluppata in 100 numeri distribuiti in 10 anni di pubblicazione, vincendo 4 Harvey e 3 Eisner Award. Assieme i due autori hanno creato un affresco via via sempre più complesso e ricco di colpi di scena, senza mai dimenticare una caratterizzazione dei personaggi fatta anche di dialoghi sopra le righe e slang presi dalla strada.
Si partiva seguendo le imprese di un misterioso figuro che proponena a vari soggetti una via sicura per una vendetta violenta e si finiva in una tela globale, dove a essere messa in dubbio era tutta la storia del vecchio continente. Come in un noir di Ellroy, lo spunto di partenza appariva quasi, banale ma la trama si dipanava poi a ventaglio, includendo sempre più personaggi e lasciando sempre più cadaveri al suolo. Risso non ha mai sbagliato un colpo e ha disegnato un capolavoro, forse il lavoro della vita (se non fosse che la sua carriera è stata tutta a livelli stellari).
Gea, di Luca Enoch
Gea ha rappresentato una piccola rivoluzione nel mondo delle serie di Sergio Bonelli Editore. È stato infatti il primo prodotto della casa editrice a essere completamente realizzato sia nei disegni che nella sceneggiatura da un unico autore, Luca Enoch, il quale l’aveva pensata con una conclusione, studiata sin dall’inizio e avvenuta poi nel 2007 con il numero 18. Come al solito per le serie Bonelli, ogni numero era autoconclusivo, ma qui la differenza stava nel fatto che la trama complessiva aveva una struttura d’insieme che si arricchiva albo dopo albo.
La serie racconta di Gea, una giovane donna che cerca di tenere insieme una vita apparentemente ordinaria – va a scuola, suona in una band, fa sport – con la responsabilità di difendere l’equilibrio del pianeta Terra respingendo creature da altre dimensioni che pericolosamente passano la soglia tra il loro mondo e quello degli umani.
Gea ha unito influenze di generi e stili diversi – dai manga ad Andrea Pazienza, soltanto per restare nell’ambito del fumetto – con l’innegabile merito di aver portato una ventata di aria fresca nel fumetto seriale italiano.
The Goon, di Eric Powell
The Goon non è tra le serie indipendenti americane più note in Italia – nonostante sia stato tradotto prima da Magic Press e poi da Panini Comics – ma il suo protagonista è di certo uno dei più importanti personaggi creati negli ultimi venti anni, capace di procurare nel corso degli anni ben quattro Eisner Awards al suo creatore, Eric Powell, e di entrare a far parte della cultura popolare (tanto da essere citato anche nella sit-com nerd-friendly The Big Bang Theory).
Dotato di un fisico imponente, Goon – che in inglese sta per “scagnozzo”, ma anche più astrattamente per “stupido” – è un orfano che cresce in un circo, dove sua zia lavora come donna forzuta. Le sue origini ricordano quelle dei supereroi classici: un giorno un boss mafioso giunto al circo per riscuotere dei debiti uccise sua zia, che cercava di proteggere proprio Goon. Anziché decidere in quel momento di diventare un eroe, Goon fracassò il cranio del boss e ne ereditò il libretto sul quale annotava i suoi crediti – e il suo cappello – sfruttandolo per proprio tornaconto e spacciandosi per suo braccio destro.
Il mondo di The Goon è fatto di esseri fantastici come mostri e fantasmi, che popolano storie in grado di alternare con grande nonchalance il registro umoristico a quello drammatico, con echi dei racconti horror della EC Comics ma senza una morale. Le storie di Goon riescono così a toccare ogni volta corde diverse, risultando malinconiche in alcuni momenti e dense di brutalità in altri, grazie anche allo stile di disegno epico ma allo stesso tempo grottesco di Powell, a metà strada fra Jack Kirby e Richard Corben.
Naruto, di Masashi Kishimoto
Dopo la conclusione di Dragon Ball nel 1995, il futuro del fumetto giapponese per ragazzi sembrava enigmatico. Poi nel 1997 esordì One Piece, e il dilemma sembrò presto risolto. Addirittura, però, due anni dopo arrivò Naruto, uno shonen dai tratti fantasy ma, a differenza di One Piece, sin da subito dedicato agli scontri e alla lotta.
Il manga racconta la storia del giovane Naruto, che aspira a diventare il più forte dei ninja. Il protagonista ha inoltre un passato misterioso, con il quale deve fare i conti mentre si batte contro organizzazioni che minacciano il suo villaggio e i suoi amici. Naruto è una serie che, nella migliore tradizione dei manga shonen, mescola una narrazione moderna e dinamica a elementi tipici del folklore nipponico e delle religioni e filosofie orientali.
La serie si è conclusa nel 2014 dopo ben 72 volumi, ma ha dato vita a uno spin-off realizzato da Ukyo Kodachi e Mikio Ikemoto sotto la supervisione dello stesso Kishimoto, Boruto, con protagonista il figlio di Naruto (seguendo l’esempio del racconto generazionale già tipico di Dragon Ball).
La lega degli straordinari gentlemen, di Alan Moore e Kevin O’Neil
Durante il suo processo di ricreazione della figura del supereroe all’interno della linea America’s Best Comics, Alan Moore, insieme al disegnatore Kevin O’Neill, decide di partire dalle icone letterarie del passato e raccontarle con il taglio e le tecniche narrative dei comic book tradizionali. Jeckyll e Hyde, Allan Quatermain di Le miniere di re Salomone, l’Uomo Invisibile, il Capitano Nemo e Mina Murray di Dracula vengono estrapolati dai romanzi vittoriani e riuniti per combattere le forze del Fu Manchu.
L’idea non è completamente originale. Esempi importanti precedenti sono i romanzi degli anni Settanta della World Newton Family di Philip José Farmer, che raccontavano come tutti i personaggi dei romanzi inglesi di quell’epoca fossero imparentati tra loro, da Tarzan a Doc Savage a Sherlock Holmes. O ancora come La guerra dei mondi di Sherlock Holmes di Manly Wade Wellmann (1975). Altri ancora se ne trovano nelle avventure scritte da Alfredo Castelli per gli Aristocratici (dal 1974) o per il Docteur Mystére, ideato nel 1996 su Martin Mystère e che avrebbe vissuto nei primi Duemila delle avventure in solitaria.
La particolarità del fumetto di Moore è lo scostamento dal modello già utilizzato in queste avventure, basate solo sul gusto della citazione e sul gioco di veder interagire eroi diversissimi, per concentrarsi su una storia che sia anche una ricerca delle origini del concetto di “uomo con superpoteri”. I personaggi ottocenteschi vengono raccontati con la stessa scrittura utilizzata poco più di dieci anni prima su Watchmen, la loro bidimensionalità trasformata in anime sfaccettate.
Al tempo stesso, però, Moore abbandona la cupezza e il realismo che contraddistinguono il fumetto post-Watchmen per tentare un ritorno alla freschezza delle origini dei comic book, come fa anche nella serie parallela Tom Strong. Il piano del Fu Manchu è lineare e incredibile al tempo stesso, e le soluzioni messe in campo dai protagonisti per fermarlo non sono in fondo così diverse da quelle che avremmo potuto trovare in una storia di Stan Lee e Jack Kirby.
Louis Riel, di Chester Brown
Conosciuto per fumetti underground pieni di umorismo nero, horror e gag scatologiche come Ed the Happy Clown, Chester Brown iniziò a pubblicare Louis Riel nel 1999 in formato seriale.
L’opera ha per protagonista Louis Riel, leader del popolo Métis (“meticci”), uno dei gruppi indigeni riconosciuti dal Canada. Riel guidò la resistenza nota come Ribellione di Red River (1869), in seguito alla quale nacque un governo provvisorio che si batté per il riconoscimento della provincia del Manitoba e della sua annessione alla confederazione canadese. Dopo la Ribellione del Nord-Ovest del 1885, Riel fu condannato a morte con l’accusa di alto tradimento. È tra queste due date che Brown ambienta la propria opera. Di Riel gli interessa il rapporto con il governo canadese e una serie di teorie (a volte apocrife) che indicavano il leader come uno schizofrenico autoproclamatosi eletto da Dio per condurre la rivoluzione.
Distaccato, fitto di annotazioni e riferimenti e con un disegno minimalista che mescolava Harold Gray con Hergé, Louis Riel si concluse nel 2003 e fu poi ristampato in un volume unico che, a sorpresa, vendette molto bene e fece conoscere il nome dell’autore al pubblico generalista. Il fumetto entrò nelle liste dei migliori graphic novel dell’anno, ricevette premi, encomi e attestati di stima, ed è oggi uno dei fumetti più incensati del panorama canadese.
The Authority, di Warren Ellis e Bryan Hitch
Dopo le rivoluzioni degli anni Ottanta era dura per i supereroi sapersi rinnovare con altrettanta efficacia. Per tutto il decennio successivo si provò a indurirli, a incattivirli, a inguainarli in improbabili armature, a ucciderli e a farli tornare quelli di un tempo. Le vendite furono ottime, ma nessuno di quei tentativi lasciò effettivamente qualcosa in grado di resistere al passare delle stagioni. L’unico in grado di spostare in maniera significativa l’asticella fu Warren Ellis, che con la sua Authority diede effettivamente forma a un nuovo tipo di fumetto supereroistico, anticipando e portando avanti con maggior forza quello che Millar avrebbe sdoganato del tutto con i suoi Ultimates da lì a tre anni.
Nelle pagine di Authority le minacce alla Terra sono globali, sempre a un passo dall’apocalisse, e anche se le cose vanno nel migliore dei modi i morti si contano a migliaia. Per rispondere a tali minacce gli eroi non hanno spazio per i loro drammi personali o per momenti di debolezza. Devono smettere di essere umani per confermarsi super nella sostanza oltre che nel nome. Così eccoli ad affrontare minacce in grado di colpire contemporaneamente diversi continenti, rischiare sempre il tutto per tutto, esprimersi solo con frasi stentoree e non prendere neppure fiato tra un’impresa e l’altra. Anche se si tratta di salvare la Terra dal ritorno di Dio (nel ciclo narrativo “Tenebra”).
Alle matite un Bryan Hitch spettacolare come non mai, in grado di portare un certo classicismo all’interno di una dimensione da blockbuster proiettato in sala Imax. Anche in questo caso la serie portò avanti un’idea importante: cancellare anni di eccessi stilistici – dalle colorazioni digitali iper-sintetiche alle anatomie ipertrofiche – a favore di un nuovo tipo di spettacolarità, meno fine a se stessa e più legata a quello che si stava raccontando. Authority è un fumetto di supereroi molto più di vecchia scuola di quello che si potrebbe pensare, solo lanciato a piena velocità verso i casini del nuovo millennio.
Paradise Kiss, di Ai Yazawa
Ai Yazawa è un’autrice di shojo manga piuttosto singolare, forse anche un po’ eccentrica. Nonostante questo, i suoi manga hanno segnato un’intera generazione di lettrici. Cortili del cuore (1995), Paradise Kiss (1999) e poi Nana (2000) hanno contribuito ad allargare i favori dei lettori italiani nei confronti del fumetto giapponese per ragazzi e hanno avvicinato molte nuove lettrici al fumetto in generale.
L’approccio di Yazawa al mondo del fumetto per ragazze – spesso fin troppo tradizionale – è stato infatti inusuale e quasi rivoluzionario, e Paradise Kiss ne è un emblema. Il manga è ambientato 20 anni dopo Cortili del cuore e ne riprende alcuni protagonisti, raccontando amori e vite di persone comuni, con un tono maturo ma spigliato.
Un fumetto indirizzato a un pubblico più maturo di quello di Cortili del cuore e con il quale Yazawa volle seguire la – inevitabile – maturazione delle proprie lettrici. Paradise Kiss ebbe un successo così grande e duraturo da essere trasposto nel 2005 in un anime – trasmesso anche in Italia – e nel 2011 in un film live action.
Mickey Mouse Mystery Magazine, di Tito Faraci, Francesco Artibani, Giorgio Cavazzano e altri
Mickey Mouse Mystery Magazine fu un progetto nato sull’onda del successo di PK Paperinik New Adventures, che presentava una versione americaneggiante di Paperinik, l’alter ego mascherato di Paperino. Protagonista di MMMM fu infatti un Topolino maturo che risolveva casi polizieschi, in una serie di avventure noir in cui l’eroe inventato da Walt Disney si aggirava tra le strade fumose di Anderville, città fittizia che faceva da sfondo alle vicende.
Gli sceneggiatori della serie, principalmente Tito Faraci e Francesco Artibani, giocarono con gli stereotipi del genere hard boiled precipitandoci dentro Topolino, che si ritrovava spiazzato dal nuovo contesto: ad Anderville non c’erano poliziotti compiacenti che chiedevano aiuto ai detective dilettanti, né criminali pasticcioni e sovrappeso, bensì terroristi, politici corrotti, gangster.
Per colpa dell’approccio poco ortodosso e adulto, la serie fu osteggiata dal Centro Creativo Europeo dalla Walt Disney Company, che sovraintendeva le pubblicazioni italiane e vigilava sui contenuti. Molti elementi delle sceneggiature furono censurati. e il centro commissionò per diversi episodi un’aggiunta finale: due tavole in cui, conclusa l’avventura, vedevamo Topolino seduto in una sala cinematografica, a rimarcare la natura what if degli albi.
Il tono compassato di MMMM attecchì meno di PK e la testata chiuse dopo undici numeri. Rimasto nel cuore dei lettori, è stato poi riscoperto nel tempo come uno dei migliori prodotti legati a Topolino.
Promethea, di Alan Moore e John H. Williams III
Tra le serie della ABC di Alan Moore, Promethea fu sicuramente quella più ammaliante, per i la grande densità narrativa, per i disegni iper-dettagliati e ricchi di suggestioni di John H. Williams III e per la complessità strutturale dell’opera, in grado di coinvolgere il lettore su più livelli.
La storia ha come protagonista Sophie Bangs, una ragazza che durante una ricerca per un esame scopre di essere il nuovo contenitore umano di Promethea, essere quasi divino che ricorre nella letteratura e nella cultura pop attraverso i secoli. La serie segue proprio la crescita di Sophie, mentre scopre il senso del proprio ruolo e impara a comprendere magia e misticismo, grazie soprattutto all’aiuto di coloro che l’hanno preceduta nel suo ruolo.
Promethea è un’opera che attinge dal mondo dell’esoterismo e da religioni di varia provenienza, creando un insieme di grande complessità ma fortemente omogeneo. All’interno della trama orizzontale dell’opera, poi, quasi ogni episodio era caratterizzato da una struttura narrativa peculiare.
20th Century Boys, di Naoki Urasawa
20th Century Boys è la serie con cui Naoki Urasawa è stato conosciuto in Italia dal grande pubblico, anche se da noi è arrivata solo nel 2007. E probabilmente è anche la serie più ambiziosa e più riuscita dell’autore, che già in precedenza aveva realizzato lo sportivo Happy (1993) e il thriller Monster (1994). 20th Century Boys è invece un racconto epico che alterna passato e presente, reale e surreale.
È la storia di Kenji Endo e del suo gruppo di amici, che si ritrovano per fronteggiare insieme una serie di minacce orchestrate da un misterioso individuo conosciuto soltanto come “Amico”, una sorta di nuovo messia che si crea intorno a sé una folta schiera di seguaci. A rendere tutto il più interessante, le minacce messe in atto dal nemico sono quelle che il protagonista aveva ideato quando era un bambino.
20th Century Boys è un racconto dai tratti distopici ma anche bizzarramente realistici, tinto di fanatismo e dispotismo contrapposti a valori di amicizia e famiglia. Una tragedia appassionante e ricca di sfaccettature, personaggi complessi e risvolti imprevedibili.
Ehi, aspetta…, di Jason
Un racconto brevissimo, dal segno minimale e dalle poche parole, ma arricchito da una carica emotiva intensa. Ehi, aspetta del norvegese Jason è una storia di infanzia che prende presto una piega tragica. Gli animali antropomorfi di Jason sono tutt’altro che buffi, sono grotteschi avatar di carichi di emozioni reali.
Dopo questo libro – e anche dopo Shhh!, realizzato negli stessi anni e interamente muto – Jason divenne un autore di culto, tradotto (se così si può dire) in francese, inglese e anche in italiano. Da lì in poi, la sua cifra essenziale si è distinta su storie sempre in bilico tra quotidiano e surreale.
Gli attori delle vicende raccontate da Jason sono funny animal buffi solo in apparenza, in realtà protagonisti di tragedie spietate che distorcono la realtà per indagare nelle sue profondità.
La scena del crimine, di Ed Brubaker, Michael Lark e Sean Phillips
Pubblicato originariamente da Vertigo come una miniserie di quattro numeri, La scena del crimine fu la prima grande prova di Ed Brubaker come scrittore di crime story. Nel 1999 erano ancora lontani i tempi di Criminal e di Captain America, le due serie che lo avrebbero consacrato come uno dei migliori sceneggiatori di comics contemporanei. In quel periodo Brubaker si lanciò nel fumetto con progetti indipendenti e con i primi lavori per le major.
La scena del crimine fu sicuramente quello che più di tutti lo fece notare al grande pubblico e che, soprattutto, lo vide collaborare per la prima volta con Sean Phillips e Michael Lark, due disegnatori a cui avrebbe legato la propria carriera. Anni dopo con Lark avrebbe raccolto in eredità la gestione di Daredevil da Brian Bendis, mentre assieme Phillips avrebbe dato vita a una delle coppie più prolifiche e premiate del comicdom statunitense.
Il fumetto, che racconta di un detective privato incaricato di trovare una ragazza scomparsa, va ricordato non solo per essere una gran bella crime story, ma anche perché riportò sotto i riflettori un genere che in quel periodo (ma anche in seguito), non era quasi mai stato al centro dei progetti delle grandi case editrici americane, più improntate sul fantasy e la fantascienza.
Planetes, di Makoto Yukimura
Il fumetto di Makoto Yukimura arrivò in Italia nei primi anni Duemila, quando i manga seinen (i fumetti giapponesi per lettori maturi) cominciavano a farsi fortemente strada nelle librerie italiane. Planetes fu una piacevole sorpresa, viste le sue peculiarità: si trattava di una space opera sentimentale che portava un genere a volte complesso a diventare alla portata di qualunque lettore, con un approccio molto umano.
Il protagonista è un giovane che nello spazio fa un lavoro banale ma insolito da immaginare, lo spazzino. Tra aspettative infrante e sogni ancora covati, le vicende narrate in Planetes rendono la vita su una stazione spaziale più ordinaria ma emozionante di come la si possa immaginare.
Il racconto (in quattro volumi) di Yukimura continuò la tradizione del manga sci-fi dai tratti realistici, quella radicata da un autore classico come Yukinobu Hoshino, al tempo stesso trattandola con lo stesso approccio naif di lavori come Patlabor, altro manga che aveva al centro del racconto l’uomo prima delle macchine.
Get Fuzzy, di Darby Conley
La striscia di Darby Conley racconta le vicissitudini giornaliere di un pubblicitario di Boston, Rob Wilco, e dei suoi due animali: il gatto Bucky Katt e il cane Satchel Pooch. Una serie comica le cui gag si basano sul conflitto tra le personalità di Bucky e Satchel, che ricalcano gli stereotipi più classici del gatto e del cane.
Get Fuzzy è stata tra le serie moderne più amate e diffuse con protagonisti funny animals, rinnovando i canoni del genere con un rispetto della tradizione e delle forme coniugato con un approccio sempre particolarmente irriverente.
Pubblicata negli Stati Uniti a partire dal 6 settembre 1999 su 75 testate, la striscia è arrivata presto sulle pagine di oltre 200 testate nazionali. In Italia è apparsa sulle pagine di Linus e anche sul quotidiano gratuito Metro. A partire dal 2011 ha la serie ha subito una riduzione della produzione, con le nuove storie che sono andate via via diminuendo, fino ad arrivare, più di recente, alla produzione di sole tavole domenicali.
Beck, di Harold Sakuishi
Il segreto del successo di Beck sta nell’aver saputo unire l’epicità tipica dei manga shonen applicandola a un contesto potenzialmente vicino a quello di qualunque lettore adolescente che si avvicina alla lettura, raccontando una storia dai toni estremamente realistici. Il protagonista è Yukio Tanaka, un ragazzo di 14 anni annoiato da una vita comune e priva di stimoli. La routine è rotta nel momento in cui trova per strada un cane piuttosto particolare e un po’ inquietante, dal corpo ricoperto di cicatrici, il cui padrone è un giovane musicista appena tornato dagli Stati Uniti.
Questo incontro segnerà l’esistenza di Tanaka, che da lì si darà alla musica, fonderà una band (chiamata appunto Beck). Prende così il via una serie di dinamiche tipiche degli shonen, con tutti gli sforzi del protagonista che vengono concentrati sul gruppo, tra successi internazionali e un amore travagliato che si mette di mezzo.
Beck ispirò anche una serie animata, che in Italia fu trasmessa da MTV tra il 2006 e il 2007, nel contenitore Anime Night – dedicato a produzioni spesso mature – che riuscì ad avvicinare e conquistare una generazione di nuovi appassionati.
My New York Diary, di Julie Doucet
Julie Doucet è una delle autrici cardine del fumetto indipendente degli anni Novanta, troppo spesso ricordato solo per figure maschili come Seth, Joe Matt e Chester Brown, ma che trovò importante compimento anche nel lavoro di questa autrice. Con la serie Dirty Plotte, Doucet mostrò cosa volesse dire fare fumetto intimista dalla prospettiva di una donna (e spesso anche con battagliero istinto femminista, riot nei contenuti più che nella forma).
Ormai autrice compiuta, si trasferì a New York, in cerca di una nuova affermazione sia personale che artistica. Questo libro è proprio un diario di quel periodo, così come esplicitamente dichiarato sin dal titolo. Un giornale di vita sofferto e passionario, che affronta con drammatica sensibilità il travaglio di realizzazione – professionale e sentimentale – di una giovane donna.
Il libro è stato pubblicato anche in Italia nel 2009 e resta una pietra miliare del fumetto autobiografico e degli art-comics.
Star Rats, di Leo Ortolani
Non immune dal fascino della saga fantascientifica di Star Wars, Leo Ortolani aveva scarabocchiato una parodia dei film già da adolescente (il fumetto si chiamava Guerre spannari e aveva come protagonisti i suoi compagni di classe). Diventato poi autore di Rat-Man, Ortolani pensò di unire i personaggi della propria serie con quelli di George Lucas, dopo aver notato che la parola “star” letta al contrario dava “rats”. Il titolo palindromo Star Rats lo ispirò a creare un mash-up tra i due universi.
Come nella tradizione delle parodie dell’autore, al posto dei protagonisti troviamo i personaggi della sua saga più famosa: Rat-Man interpreta Luke Skywalker, qui chiamato Granello, un giovane che vorrebbe diventare un cavaliere dell’oroscopo; il maggiordomo Arcibaldo è Aldo Uan Kebaldo; Lord Valker, il corrispettivo di Dart Fener, ha invece le sembianze di Janus Valker, la nemesi di Rat-Man nella serie.
La popolarità dell’operazione diede il via ad altre parodie della saga e a un sottofilone della produzione di Ortolani incentrata sulle incursioni di Rat-Man nelle trame di film popolari come Il signore degli anelli (che divenne Il signore dei ratti), Avatar (Avarat) e 300 (299+1).
Top 10, di Alan Moore e Gene Ha
L’idea alla base di Top Ten è di una semplicità lapalissiana: cosa succederebbe se una serie poliziesca cruda e realistica come Hill Street giorno e notte o New York Police Department fosse ambientata in un mondo totalmente di fantasia? Dove chiunque ha un superpotere, si viaggia in dimensioni parallele come noi usiamo la metropolitana e tutto sembra possibile? A conti fatti – e qui sta il colpo di genio – nulla di troppo diverso dai modelli originali.
C’è sempre una recluta di buon cuore messa in coppia con il veterano intrattabile (che ha da poco perso il partner), qualche ghetto pronto a esplodere per le tensioni sociali, discriminazioni, crisi sentimentali insinuatesi tra le intercapedini di un turno massacrante e l’altro, una grossa trama orizzontale a fare da fil rouge per tutta la stagione mentre singoli episodi verticali chiudono ogni episodio. Il lavoro di ricerca sul materiale di partenza svolto da Moore è di una lucidità e di una puntualità cristalline, tanto che non bastano le tonnellate di particolari e idee infilate in ogni pagina a mascherare i prototipi narrativi da cui prende il via tutta l’operazione.
Per mettere su carta una sceneggiatura così barocca difficile pensare a un disegnatore migliore di Gene Ha, che infatti con Top 10 vincerà tre dei suoi quattro Eisner Award. Ogni tavola sembra costruita per far convivere la naturalezza dei protagonisti con l’assurdità e la spettacolarità del mondo in cui vivono, generando un costante stato di tensione che pare destinato a crollare su se stesso da un momento all’altro.
Per tutti i numeri della sua gestione il giocattolo continuerà a funzionare alla perfezione, senza il minimo tentennamento. E quando passi, come se nulla fosse, dal disegnare una sorta di Harlem robot a una dimensione parallela popolata da dèi dell’antica Roma non mi pare una cosa da poco.
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Hanno collaborato: Marco Andreoletti, Andrea Antonazzo, Alberto Brambilla, Andrea Fiamma, Andrea Queirolo, Valerio Stivè.