Quest’anno c’è un anniversario che George Lucas non ha festeggiato. Potesse, il creatore di Star Wars cancellerebbe dalla memoria collettiva ogni traccia dello Star Wars Holiday Special, uno speciale televisivo in cui i personaggi della saga celebrano le feste e che ha appena compiuto 40 anni.
Star Wars Holiday Special è una raccolta di sketch da avanspettacolo tenuti insieme da una storia-cornice che vede Chewbecca, il co-pilota alieno di Han Solo, tornare a casa dalla sua famiglia in tempo per Natale. È un miscuglio infelice di siparietti, cartoni, numeri musicali, intermezzi e buoni sentimenti definito le «due ore peggiori nella storia della televisione».
Leggendo queste righe, alcuni di voi avranno alzato gli occhi al cielo, come se stessi spiegando la ricetta del ghiaccio. Avreste ragione: tanti sono stati gli articoli dedicati allo Star Wars Holiday Special che hanno solcato la duplice onda del revival nostalgico e della riscoperta di prodotti so bad so good e ormai la trasmissione è sdoganata presso un pubblico abbastanza vasto.
Ma Star Wars Holiday Special è davvero così brutto? Possiamo liquidare con qualche battuta ridanciana un progetto che coinvolse George Lucas, Moebius e gli autori di una delle serie tv migliori di sempre? A voler guardare con attenzione, la storia produttiva dello Star Wars Holiday Special contiene importanti lezioni per una saga che stava muovendo i suoi primi passi nel mondo della cultura pop.
Il giorno dopo la festa
Nel maggio 1977 il successo di Star Wars colse un po’ tutti impreparati. Nonostante la lungimiranza di Lucas e i tanti accordi commerciali stretti (primo fra tutti la licenza alla Marvel), l’isteria di massa per il film si abbatté sui produttori con violenza inaspettata. Non c’erano giocattoli disponibili per il Natale 1977, le scorte di merchandising erano palesemente insufficienti a saziare i fan e ogni mossa veniva improvvisata senza una vera progettualità alle spalle.
Diversi programmi tv iniziarono a includere parodie e omaggi a Star Wars, cercando di cavalcarne il successo (Donny & Marie, Saturday Night Live, The Richard Pryor Show, The Muppet Show) e contribuendo a loro volta a vivacizzare gli incassi del film a mesi dalla sua uscita. Un evento targato Guerre stellari per il piccolo schermo sarebbe stata una mossa win-win.
Lucas accettò di buon grado, pensando che avrebbe potuto tenere vivo l’interesse per la saga, in attesa del secondo capitolo che il regista stava producendo. Inoltre, in previsione del Natale, bisognava rinfrescare la memoria ai bambini facendo tornare in mente quanto piacesse loro Star Wars. Questa volta ci sarebbero stati un sacco di giocattoli da comprare.
Lucasfilm e CBS, il canale che avrebbe ospitato l’evento, si accordarono per realizzare un varietà con protagonisti i personaggi del film. Per fare ciò, si rivolsero alla Smith-Hemion Production, una casa di produzione specializzata in show da prima serata. I produttori esecutivi Gary Smith e Dwight Hemion erano professionisti rodati, artefici del Tonight Show e di speciali come Frank Sinatra: A Man and His Music. A libro paga dello studio c’era la coppia di autori Leonard Ripps e Pat Proft, che aveva appena firmato The Captain and Tennille, un varietà con protagonista l’omonimo duo musicale. Proft avrebbe poi scritto Scuola di polizia, Una pallottola spuntata e Hot Shots!.
«Pat e io passammo un’intera giornata con Lucas» ricorda Ripps a Mental Floss. «Lui prese un quaderno e ci chiese quanto sarebbe dovuto durare uno speciale tv. Scrisse i numeri da 1 a 90 e iniziammo a ragionare su ogni momento. Era molto metodico. Aveva già una dozzina di storie già scritte, noi lo aiutavamo solo a colmare i vuoti. La sua idea era una specie di capodanno ebraico in versione Wookiee».
Lucas fornì la trama di base: Chewbecca deve tornare a casa dalla sua famiglia in tempo per i festeggiamenti del Life Day, la versione Wookiee del Giorno del Ringraziamento o del Natale. Impose che gli Wookiee comunicassero nella loro lingua e proibì l’uso di sottotitoli. Il pubblico avrebbe dovuto capire il discorso attraverso la prossemica e l’intonazione.
«Avevamo scritto molte cose da mimi, per questo ci chiamarono» spiega Ripps, che con Proft era stato autore per Shield e Yarnell, comici specializzati in scenette non-verbali. «La sfida era come comunicare. I Wookiee non possono articolare. Perfino nei film muti c’erano i sottotitoli. Qualsiasi cosa scrivessimo, non era sottile».
Lucas colse l’occasione per fare un po’ di world building. Utilizzò idee che aveva scartato dalla sceneggiatura del primo film o che non avevano trovato spazio nella storia, come il retroterra di Han Solo, cresciuto dai Wookiee e sposato con una femmina delle loro specie. «Ma quello non possiamo dirlo» avvertì il regista.
«Aveva ben chiaro il mondo dei personaggi, ma il pubblico poteva vederne solo dei pezzi» dice Ripps. «Era come se avesse scoperto la Sfinge e ne mostrasse una parte alla volta». Nella storia trovarono spazio elementi già noti a Lucas (ma non al pubblico) come il pianeta natale dei Wookiee, Kashyyyk, e Boba Fett, un personaggio che avrebbe debuttato nel sequel di Guerre stellari.
Qualche settimana più tardi, i due consegnarono un copione che introduceva la famiglia di Chewbecca (il padre Itchy, la moglie Malla, il figlio Lumpy) e impostava la storia-cornice. Lasciarono lo spazio per inserire gli intermezzi che i produttori Hemion e Smith avrebbero organizzato. Il team si rivolse quindi ai compositori Ken e Mitzie Welch per scrivere le canzoni e pensare a chi affidarle.
Lucas era troppo occupato con la lavorazione de L’Impero colpisce ancora, che si stava dimostrando, se possibile, ancor più ostica di quella del precedente episodio. Lasciò che l’allora capo del marketing della Lucasfilm, Charles Lippincott, gestisse le incombenze maggiori, per esempio la nomina del regista e l’assunzione del consulente Miki Herman, che coinvolse le professionalità del film (il disegnatore Ralph McQuarrie, il sound designer Ben Burtt e i modellisti Stuart Freeborn e Rick Baker) e assoldò uno sconosciuto Stan Winston per creare le maschere dei Wookiee. Sulla carta, era il dream team di ogni varietà televisivo.
Star Wars Holiday Special: l’ora del varietà spaziale
La prima bozza di Ripps e Proft fu riscritta dall’autore comico Bruce Vilanch, veterano di spettacoli di varietà con protagonisti Bette Midler, Paul Lynde e la famiglia Brady, nonché futuro head writer di molte edizioni dei Premi Oscar. «Il mio agente mi disse che sarebbe stata una cosa in cui i personaggi di Star Wars cantavano canzoni di Natale, ma avevo il presentimento che non fosse esattamente così» disse Vilanch.
Già in questa fase, la concezione di Lucas iniziò a mutare. «George aveva una visione dolce e sentimentale della stagione natalizia e penso si tramutò in qualcosa che non corrispondeva a tale visione» affermò Ripps in un’intervista a Filmfax nel 1998. «Il nucleo della storia rimase quello. Casa, famiglia, tradizioni. Un film delle feste in un contesto stellare. Ma divenne via via meno cinematografico e più televisivo. Era la sua storia, ma non la sua visione.»
Lucas era impegnato a espandere il proprio universo, mentre gli autori, «provenienti da un ambiente culturale usa-e-getta», si chiedevano soltanto come inserire più numeri musicali. Tra maggio e settembre 1978 furono realizzate quattro bozze del copione. Le riprese iniziarono nell’agosto 1978 e i coniugi Welch, per accomodare le loro canzoni, fecero un ulteriore aggiustamento. Si continuò ad aggiustare il copione fino a settembre, arrivando alla quarta bozza della storia.
Per dirigere le maestranze, Lippincott scelse David Acomba, con cui Lucas condivideva il retroterra e l’approccio al lavoro: entrambi avevano frequentato la USC ed erano soliti girare con uno stile documentaristico. Acomba era specializzato in documentari musicali realizzati per la televisione canadese. Sembrava dunque un valido candidato per il progetto.
Come consuetudine per questi speciali, nel cast figurano diversi nomi eccellenti: i Jefferson Starship, Art Carney, nel ruolo del rigattiere spaziale Saun Dann amico della famiglia di Chewbecca, Diahann Carroll, nei panni di Mermeia, l’ologramma-ballerina che intrattiene nonno Itchy, Harvey Korman in una serie di ruoli comici (tra cui la parodia aliena di Julia Child), e Bea Arthur, gestore del bar di Mos Eisley che canta una melanconica Goodnight, but Not Goodbye sulle note riarrangiate della Cantina Band.
Diahann Carroll fu invece protagonista del primo e ultimo (quasi) riferimento sessuale esplicito di tutta la saga: Itchy, il nonno Wookiee, sta guardando Carroll esibirsi nei panni di un ologramma-ballerina con la canzone This Minute Now. Notando il coinvolgimento del vecchio, Carroll esclama: «Oh, oh… Siamo eccitati a quanto pare».
Replicando i travagli produttivi di Guerre stellari, lo speciale fu tutt’altro che una lavorazione facile, nonostante si svolgesse tutta in teatri di posa. I produttori non badarono a spese e costruirono un set a 360° della casa di Chewbecca, anche in previsione di una serie tv fissa, di cui i dirigenti stavano discutendo. Il problema era che mancava lo spazio per far passare le telecamere, e ogni inquadratura richiedeva molto tempo per essere preparata.
Gli attori nei costumi da Wookiee avevano un’autonomia di 20 minuti, dopodiché dovevano fermarsi e riposare. Girarono nell’estate di Los Angeles e il caldo contrinse a più pause di quante ne avevano previste, ritardando le riprese. «Portai mio figlio sul set della cantina» ricorda Proft, «e c’erano tutti questi personaggi alieni che stavano svenendo perché si erano dimenticati di pompare ossigeno nelle loro maschere».
L’ambiente televisivo, con telecamere multiple e laboriose preparazioni, non si accordava con i modi spontanei di Acomba, abituato a dirigere con una sola cinepresa stando fisicamente sul set. In uno studio televisivo – ingessato, gestito da figure appartenenti a un passato vicino ma inadatte ad assimilare lo stile della New Hollywood – occorrevano riprese da più angolazioni e il regista stava chiuso in una cabina distante dal teatro di posa.
Come scrisse Vanity Fair, «Acomba avvertiva che non c’era solo un gap generazionale a dividerlo dai produttori ma anche un impasse culturale tra la scuola “fallo bene” di Lucas e quella “deve essere finito per ieri” di Smith-Hemion».
I rapporti tra regista e produttori s’incrinarono presto. Acomba lasciò il progetto dopo aver girato tre sequenze e aver contribuito con il suo lascito maggiore: aver introdotto Lucas ai ragazzi della Nelvana.
Niente disintegrazione
La CBS aveva già in mente di commissionare lo spezzone animato a qualche casa californiana come Hanna-Barbera. Lucas si innamorò invece dell’aurea da piccolo studio indipendendente della canadese Nelvana, lui che portava con fierezza il gagliardetto da autore fuori dal sistema.
Nelvana era uno studio d’animazione giovane, battezzato in omaggio al primo supereroe dei fumetti canadesi, Nelvana of the Northern Lights. «Non eravamo di Los Angeles» ricorda Michael Hirsh, co-fondatore dello studio. «Lucas vide in tv A Cosmic Christmas e chiese chi l’avesse prodotto. David [Acomba] ci conosceva e ci mise in contatto con lui».
Lucas passò al gruppo vari concept art e un riferimento video di Boba Fett, oltre a una sceneggiatura di suo pugno che il regista e co-fondatore della Nelvana Clive Smith dovette mettere sotto forma di storyboard in due settimane. Nel corto il cast del film è alla ricerca di un talismano mistico. Finiscono sul pianeta Panna e qui trovano Boba Fett, che all’inizio sembra volerli aiutare ma poi si rivela un emissario di Darth Vader.
Le scene di Fett furono affidate all’animatore John Celestri, che animò il cacciatore di taglie come se fosse «Clint Eastwood in uno spaghetti western» ricorda il disegnatore. Celestri inventò «le pose da duro, la destrezza con le armi. Gli feci usare quel diapason gigante contro l’animale che cavalca per far vedere che non era un tipo morbido. I gesti possono diventare facilmente dei luoghi comuni, io cercavo di fare cose diverse».
Su richiesta di Lucas, Smith e i suoi presero a modello Moebius per l’aspetto visivo del cartone. «Molti dei design furono direttamente influenzati da Moebius» rammenta Smith. «Ci approcciammo al colore come avrebbe fatto Moebius. Colori pastello tenui. Per Boba, usammo il blu. Il suo costume doveva risaltare contro lo sfondo e gli sfondi erano molto scuri. E tutto questo perché le famiglie avevano televisioni in bianco e nero. Doveva essere comprensibile anche su uno schermo grigio grande 22 pollici».
L’intera produzione si svolse nell’arco di quattro mesi e il cartone fu, secondo un parere condiviso, l’unico frammento che rispettò le intenzioni di Lucas.
Nel frattempo, la barca dello Star Wars Holiday Special era senza un timoniere. La produzione convocò allora Steve Binder. Specializzato in film concerto, ne aveva diretti due molto importanti: The T.A.M.I. Show, in cui si erano esibiti i Rolling Stones, Chuck Berry e i Beach Boys, e il celebre ’68 Comeback Special, che aveva segnato il ritorno di Elvis Presley sulle scene musicali dopo sette anni di assenza.
Binder aveva un solo compito: concludere la produzione portando a casa il girato, non importava quanto questo potesse essere approssimativo. A lui toccò dirigere la scena conclusiva con il cast originale riunito: Mark Hamill, Harrison Ford, Carrie Fisher e Peter Mayhew.
Il produttore di Guerre stellari Gary Kurtz, che dovette convincere gli attori, disse che le suppliche furono una delle armi principali. Fisher, descritta come «non sempre del tutto in sé», acconsentì a partecipare soltanto a condizione di poter cantare. «Nello sgomento generale, perché cantare è l’ultima cosa che vogliamo veder fare alla principessa Leia» ricorda Vilanch. «Stava attraversando il suo periodo “Joni Mitchell”. Venne in ufficio e cantò due ballate lacrimevoli al pianoforte.»
Le fu affidato il pezzo di chiusura, che in seguito avrebbe definito deludente (sullo stesso versante, Mark Hamill bocciò l’idea di una sua performance vocale, costringendo gli autori a epurare la scena in questione dal copione).
Dopo un mese di riprese, si erano esauriti i fondi per ulteriori set. Il mastodontico Albero della Vita, attorno a cui si sarebbero dovuti radunare tutti i personaggi per festeggiare il Life Day, fu sostituito da candele, mentre le comparse Wookiee indossarono accappatoi rossi per nascondere l’assenza di costumi. Impegnato su altri fronti, Binder non riuscì nemmeno a supervisionare il montaggio, che fu gestito dai produttori, alla loro prima esperienza con la moviola.
«Questo non è Star Wars 2»
In una placida sera di metà novembre «13 milioni di spettatori si sintonizzarono per la serata» scrive Mental Floss, «un numero significativo ma non impressionante nel panorama dell’epoca, dominato da tre canali principali». Lo show fu il secondo più visto nella prima ora, subito dietro a The Love Boat, per poi crollare al termine del segmento animato. «Wookiee in grembiule, minacce imperiali a basso costo e i Jefferson Starship si dimostrarono troppo bizzarri per gli spettatori.»
«Avremmo dovuto capire che non c’era modo di inserire i personaggi in questo genere di show» disse Gary Kurtz. Un genere che per giunta stava tramontando nelle programmazioni di ogni rete. Dopo undici stagioni, il Carol Burnett Show aveva chiuso nel marzo 1978, e l’anno prima Sonny e Cher avevano detto addio al loro programma-contenitore.
«Era una miscela che non si è mai miscelata» disse Ripps. «Erano tutti bravi, ma sono sicuro che anche i saldatori del Titanic lo fossero.» Nel Vangelo di Lucas, non c’era mai stato spazio per il kitsch. Star Wars doveva sempre essere sincero.
Quando Lucas e i suoi si accorsero della piega che stava prendendo la situazione, preferirono lasciar correre. «Non facemmo in tempo ad annullare il progetto quando vedemmo la china che aveva preso» commentò Kurtz. «E pensammo anche che, alla fine, non sarebbe stato tanto peggio degli altri speciali natalizi».
Secondo Binder, l’errore più grave fu «non far intendere al pubblico cosa li aspetteva. Questo non era Star Wars 2, e capisco che molti fan rimasero delusi».
La gran parte delle testate culturali che ha dedicato una pagina allo Star Wars Holiday Special ha proposto un solo punto d’entrata: la derisione più sfrenata, il crogiolarsi nell’imbarazzante svolgersi degli eventi, da un siparietto comico all’altro, finché questo scalcagnato speciale non giunge al termine. I più coraggiosi hanno ricostruito le vicende che condussero a questo macello formato tv.
Quasi nessuno ha provato ad andare oltre gli scivoloni e giudicare il prodotto nel flusso del tempo. Perché se è vero che per gli standard della saga è un prodotto raffazzonato e ingenuo, è però anche in linea con ciò che offrivano i palinsesti di fine anni Settanta. I Variety Hour dei network americani non erano tanto diversi da ciò che l’ora e mezza dell’Holiday Special propose il 17 novembre 1978 ai telespettatori statunitensi.
Non a caso The Hollywood Reporter scrisse che lo speciale era «un diversivo pieno di inventiva […] riempito con numeri musicali integrati con intelligenza ed effetti speciali ammalianti», mentre Starlog si sperticò a scrivere che la serata aveva ospitato «uno degli spettacoli televisivi più ambiziosi mai tentati da una rete americana».
Con gli anni il giudizio è variato e ora lo show è considerato un momento basso per la saga e la televisione in generale. Ma lo Star Wars Holiday Special ebbe più di un merito: contribuì ad accrescere il world building del franchise, introdusse con un discreto pezzo d’animazione Boba Fett (che è ancora fonte d’ispirazione per gli autori nonché, per ora, l’unico momento dello Star Wars Holiday Special distribuito ufficialmente dalla Lucasfilm – lo trovate come easter egg nel blu-ray della saga) e soprattutto insegnò a George Lucas che non poteva allentare il controllo su alcun aspetto delle sue creazioni.
Nemmeno il film con il più alto incasso di sempre era immune alle cadute di stile. Star Wars poteva essere rovinato. «L’esperienza rafforzò l’idea che l’unico modo per ottenere le cose come le vogliamo, è avere il controllo su quelle cose» disse Gary Kurtz.
A partire dal Natale 1978, già al lavoro sulla sceneggiatura de L’Impero colpisce ancora insieme a Lawrence Kasdan, Lucas strinse a sé il proprio pargolo e fece in modo che ogni decisione creativa passasse sotto il suo volere, nel bene e nel male.