Quando disegna, è sempre su una lavagna luminosa, e l’opalescenza gli dà un’aria da santo. Quentin Blake, l’artista inglese le cui illustrazioni accompagnano i libri di Roald Dahl dal 1978, è noto per il suo stile peculiare, che pare gettato con noncuranza sul foglio. Come se avesse scosso il pennino e insieme a qualche trabocco di inchiostro fossero usciti quei disegni pieni di entusiasmo incontenibile.
I personaggi di Blake si muovono di continuo. Saltano, zompano, piroettano, scavalcano, rimbalzano, trottolano, scivolano, danzano, cadono e volano. Ghislaine Kenyon, autrice di Quentin Blake: In the Theatre of the Imagination, scrisse che «quando Blake disegna, la sua penna prende il volo e il foglio diventa una pagina d’aria dove si fanno strada orde di oggetti volanti».
La realtà è che le creazioni di Blake nascono piano. Ogni linea è ponderata per ottenere l’illusione di gioia improvvisa tipica del suo tratto. Quella immediatezza è in realtà frutto di continue prove per azzeccare il segno giusto con cui comunicare le sfaccettature dello stupore, della paura, della perplessità. Il primo tentativo che fa è sempre figlio della velocità di pensiero. È quella la base da cui le bozze successive attingono la vitalità. Messo quel primo disegno su una lavagna luminosa, Blake lo viviseziona, scegliendo, con tutta la pazienza del caso, la linea migliore. «È importante per me disegnare una cosa come fosse la prima volta» disse una volta, «ma serve una guida per sapere dove collocare gli elementi».
È così che hanno preso forma il Grande Gigante Gentile, Matilda, Willie Wonka, la signorina Spezzindue, gli Sporcelli e tutti gli altri personaggi di Dahl che Blake ha contribuito a iconizzare nella mente dei lettori. L’uomo che il Guardian definì «un’istituzione nazionale» lavora ancora nello studio situato in un anonimo edificio di Londra ovest.
Blake nacque nel 1932 a Sidcup, una cittadina al limitare tra la contea storica del Kent e la Grande Londra, dove non è raro avere il codice postale della prima ma la targa dell’auto della seconda. Cresciuto in una casa senza libri, Blake fu il tipico prodotto dell’Education Act del 1944 che apriva la classe operaia britannica ai gradi di istruzione più elevati.
Blake non si spiega ancora oggi la nascita della sua passione per il disegno: «Non c’è nulla nella mia famiglia che potesse far pensare a qualche abilità innata». La scintilla scoccò soltanto nell’adolescenza, quando il marito della sua insegnante di latino lo introdusse ai pittori del passato: «Dipingeva con uno stile molto ingenuo, quello che mi piaceva di lui era che citava Michelangelo e il Punch nella stessa frase». Fu proprio al giornale satirico che Blake inviò alcuni disegni, pubblicati all’alba dei suoi sedici anni. Lì, l’art director della rivista gli fece notare che i suoi schizzi erano meglio dei disegni finali. Il suggerimento lo aiutò a sviluppare quella «inky spontaneity» che fa sembrare le sue illustrazioni in continuo divenire davanti agli occhi del lettore.
Al Punch si aggiunse poi The Spectator e perfino durante l’anno di leva riuscì a lavorare su quello che sarebbe diventato ufficiosamente il suo primo libro. English Parade era immaginato per i soldati che avevano difficoltà con la lettura. Il suo editor era un tenente colonnello che approvava i disegni suggerendo modifiche come «accorciare l’erba di quel prato». «Anche se lui pensava che bastasse tagliare qualche ciuffo, significava rifare il disegno. Mi preparò psicologicamente alle richieste future di editor e committenti.»
Studiò al Downing College di Cambridge durante gli anni in cui la cattedra di letteratura apparteneva a F. R. Leavis, contestato critico letterario di cui A. S. Byatt scrisse in Possessione «mostrò la tremenda, magnifica importanza e urgenza della letteratura inglese e allo stesso tempo deprivava di ogni sicurezza nella capacità di contribuire o cambiare il canone».
Leavis ebbe un forte ascendente su Blake: lo istruì sui meccanismi profondi di un testo e gli trasmise la passione dell’insegnamento. Soprattutto, Leavis insegnò al giovane la concezione che l’arte poteva avere un effetto concreto sulle persone. Glielo avrebbe confermato anni dopo il fumettista Joann Sfar – autodefinitosi un pupillo di Blake – che a proposito dei suoi disegni ha detto: «Hanno un incredibile potere etico. Mi hanno aiutato a sopportare gli altri esseri umani».
Blake esordì ufficialmente nel 1960, prima illustrando una raccolta di scritti di Patrick Campbell e poi A Drink of Water di John Yeoman. Anche se gli incarichi furono da subito numerosi, affidati soprattutto dalla Penguin Books, Blake non pensava a quello di illustratore come un mestiere che gli avrebbe dato da vivere. Intraprese in parallelo la carriera d’insegnante al Royal College of Art, dove fu a capo del dipartimento di illustrazione dal 1978 al 1986.
Incontrare un gigante
È proprio nel 1978 che avvenne la conoscenza più importante della sua carriera: quella con Roald Dahl. Sul rapporto tra i due c’è poco da romanzare e, anzi, si tratta di soprassedere per non rovinare troppi sogni a chi li voleva collaboratori stretti, financo amici.
Il loro primo incontro si esaurì con una stretta di mano negli uffici della Jonathan Cape, la casa editrice di Dahl. Per i primi due libri, Il coccodrillo enorme e Gli sporcelli, l’interazione fra i due fu minima. Dahl inviò soltanto una nota che consigliava di ispessire la barba del signor Sporcelli. Lo scrittore espresse inoltre disappunto per il contratto che l’agente di Blake era riuscito a strappare all’editore, in cui gli si concedevano tante royalty quante quelle percepite da Dahl.
Eppure, le parole dell’uno e i disegni dell’altro erano affiatati come vecchi commilitoni: «Blake è anarchico, a volte feroce, socialmente acuto, essenziale quando deve esserlo, sontuoso di dettagli quando gli va di esserlo» scrisse il Telegraph. «L’ingenuità diabolica di Dahl, unita a Blake, creava una specie di alchimia». La lingua eccentrica di Dahl non avrebbe potuto trovare un controcanto migliore.
«Ciò che scriveva assomigliava a ciò che io disegnavo, nell’uso simile che facevano della comicità e dell’esagerazione» disse Blake. «Lui scriveva di questo coccodrillo con centinaia di denti, mentre i coccodrilli veri hanno un dente ogni tanto. E io disegnavo coccodrilli con occhi malvagi, colorati con tinte forti.»
I rapporti si fecero più sereni una volta arrivati a Il GGG. Dahl rifiutò i primi due gruppi di disegni perché pensava non fossero abbastanza numerosi. Blake andò allora a fare visita a Dahl nella casa di Londra dove ora ha sede il museo dedicato allo scrittore per discutere quali momenti avrebbe dovuto illustrare. Vedendolo con la sua famiglia, Blake associò Dahl al personaggio del libro. Erano entrambi uomini alti che instillavano i sogni nelle menti dei bambini. L’illustratore vide come Dahl interagiva con la nipote e questo lo portò a ripensare il gigante. Lo aveva disegnato come un clown, rimanendo bloccato a una rappresentazione che faceva leva sulle proporzioni della creatura ma ora ci vedeva solo il lato umano e gentile. Dahl non aveva le grandi orecchie del GGG, ma Blake cercò di emularne lo spirito. Di sicuro aveva i suoi sandali, visto che Dahl li aveva spediti a Blake come riferimento per disegnare le scarpe del gigante.
Ne Il GGG ci sono tanti esempi della grandezza di Blake: la posa di disgusto che sceglie quando disegna il protagonista mangiare il cetrionzolo, le linee quasi impalpabili che usa per mostrare il gigante catturare i sogni, ma anche la gestione degli ingombri, che devono vivere in compresenza con il testo. Ciò che rendeva forte la loro collaborazione era il fatto che nei libri di Dahl il disegno non commentasse un passaggio di testo ma vi prendesse parte. Quando l’illustrazione della fuga del gigante – dopo aver catturato Sofia – si estende su due pagine, il ritmo aumenta e la sequenza si fa naturalmente più concitata e tesa. In più, direziona lo sguardo a destra, incoraggiando il lettore a voltare pagina per scoprire come proseguirà la storia.
A volte la sinergia serviva a enfatizzare un testo, altre ad ammorbidirlo. Come in Versi perversi e Rhyme Stew, nei quali, raccontando Hänsel e Gretel ma cercando di superare l’efferatezza dei fratelli Grimm, Dahl descrisse persino l’odore della strega che brucia nel forno. In certe occasioni, Blake non faceva che acuminare la dolce malvagità dello scrittore, come ne Gli Sporcelli, un libro zozzo, cattivo, amaro, di quelli che Dahl scrisse perché «se in un libro mettessi solo belle persone verrebbe fuori qualcosa terribilmente noioso». L’importante era che ci fossero le risate a levigare le asperità. E i disegni di Blake.
Il nome di Blake rimase talmente attaccato a quello di Dahl che nel 1994 Jonathan Cape gli commissionò le illustrazioni per i libri di Dahl precedenti al 1978 che Blake non aveva fatto in tempo a disegnare.
Blake oltre Blake
Nella sua carriera cinquantennale Blake ha macinato oltre trecento titoli, illustrando le parole di Russell Hoban, Joan Aiken, Russel Hoban, Michael Rosen, John Masefield, Ellen Blance e Bianca Pitzorno, che raccontò la trepidazione di vedere i propri libri disegnati da Blake negli anni Novanta: «Mi stupivo per la precisione dei dettagli che io avevo descritto con le parole».
Ma Blake è stato anche autore di se stesso. Sono circa trenta i libri di cui ha curato testi e immagini, creando titoli come Mister Magnolia, La rana ballerina, The Adventures of Lester, Mrs. Armitage e Zagazoo.
Per le sue storie, Blake pesca da film e libri della sua infanzia o dagli artisti che ha scoperto in gioventù, come Honoré Daumier, Ronald Searle e Andrï François. La nave d’erba, il racconto di una coppia di ragazzini che trova una nave incagliata nella giungla, fu pensata come se a scriverla ci fosse stato Joseph Conrad. Il rinoceronte di Eugène Ionesco lo ispirò per il pluripremiato Zagazoo, la parabola sulla crescita di un bambino vista attraverso gli occhi dei genitori. E la storia disegnata a mo’ di pantomima Clown fu un omaggio al personaggio di Jean-Louis Barrault in Amanti perduti.
Nei libri scritti e disegnati da Blake, parole e immagini non sempre raccontano la stessa storia, ed è in quella tensione che si crea l’interesse. Ne La nave d’erba, l’imbarcazione protagonista termina la propria corsa arenandosi nella vegetazione. Il disegno della nave ricoperta di alberi e foglie suggerisce un movimento in avanti, la continuazione della vita, mentre il testo recita che, negli anni, quel verde avrebbe nascosto la nave finché della stessa non fosse rimasto che il ricordo. Un chiusa agrodolce che scompiglia il senso del disegno e allo stesso tempo offre due diverse interpretazioni dello stesso fatto.
In Italia le sue opere come autore unico sono spesso state ignorante o, se per caso pubblicate, sono da tempo fuori catalogo. Di recente, diversi editori hanno tradotto alcune delle sue opere più importanti, tra cui Zagazoo e Clown, uscito lo scorso ottobre per i tipi di Camelozampa.
Clown è la storia di un pagliaccio giocattolo che, scartato dai suoi proprietari, passa da un padrone all’altro finché trova una nuova, inaspettata, famiglia che lo accoglie. Blake racconta la vicenda senza usare le parole, lasciando che siano le immagini, la sequenza delle azioni e l’espressività dei personaggi a comunicare tutti gli snodi della trama. All’autore basta poco per trasmettere una valanga di informazioni. Nella prima immagine, per esempio, vediamo una governante agghindata a festa gettare nel pattume un mucchio di giocattoli intonsi, tra cui il protagonista, e il lettore capisce già che il pupazzo viveva in una famiglia ricca la cui prole, viziata da troppi giocattoli, ne chiedeva di nuovi a ciclo continuo. E ancora, tra le varie realtà sociali che il pagliaccio impara a conoscere, ci sono hooligan, borghesi e scolaresche, le cui personalità sono intuibili dal contesto, dalle azioni e dal design che Blake conferisce a ognuno di loro.
Il silent book è un repertorio dei pregi di Blake, che qui alterna grandi splash page ricche di dettagli a pagine in cui l’azione è scandita da tante vignette senza gabbia, dimostrando di non essere soltanto un illustratore. Come un buon narratore, sa scegliere quali momenti sviscerare e come farlo. A un certo punto della storia, la piccola marionetta viene presa e lanciata attraverso una finestra aperta, per atterrare in un appartamento. Blake è attento a far cominciare il lancio sulla pagina dispari e a concluderlo in quella dopo, in modo che sia il giropagina a svelare la sorpresa dell’atterraggio.
Per alcuni, però, c’è un’insopportabile ripetitività e felicità ostentata nei suoi disegni. Quando, nel 2004, la Dulwich Picture Gallery dedicò una retrospettiva all’illustratore, Brian Sewell sull’Evening Standard scrisse: «Non fa che cedere alle concessioni e si approccia al disegno come farebbe un bambino. “Guardate, guardate” dice ai piccoli lettori, “è facile, potete farlo anche voi”. Disegna come ormai ci si aspetta da lui. Se dovesse illustrare la Bibbia immagino che tutti i personaggi si divertirebbero un mondo alla crocifissione di Cristo».
Ed è vero che non tutto gli riesce bene. Architetture e disegni tecnici non sono il suo forte, quello che vuole comunicare è gesti e atmosfera. Le macchine gli sono particolarmente ostiche, anche se la cosa più difficile che abbia mai realizzato è stato un sorriso. «Continuavo a disegnarlo ma non mi veniva bene» disse, a proposito di un’illustrazione che accompagnava Sad Book. Il libro, scritto da Michael Rosen nel 2004, racconta il lutto autobiografico di un padre che ha perso il figlio diciottenne a causa di una meningite. Il disegno in questione avrebbe dovuto accompagnare il testo: «Questo sono io mentre sono triste. Forse pensate che sia felice in questa immagine. In realtà sono triste ma fingo di essere felice».
«Non dovevo disegnarlo triste, ma triste mentre finge felicità. O mi veniva troppo felice o troppo triste, bisognava dosare bene le emozioni, nascondere la tristezza in qualche angolo della bocca che tradiva un sorriso altrimenti normale» avrebbe poi detto l’autore.
«La sua linea spigolosa sembra trasudare un’energia ingovernabile» ha scritto Illustration Chronicles, «e il suo lavoro incapsula tutto il bello dell’essere giovani».
Restio a ogni cronaca agiografica, Blake non hai mai condiviso molti dettagli sulla propria vita. Mai convolato a nozze e senza figli, conduce un’esistenza monastica che lo ha aiutato «ad approcciarmi ai libri per bambini come un insegnante, invece che un genitore. Cerco di identificarmi con loro e non guardarli dall’alto con la benevolenza degli adulti».
Sono passati 50 anni dalla pubblicazione del suo primo libro scritto e disegnato, Patrick, la storia di un violinista che con la sua musica riesce a trasformare la realtà attorno a sé, portando colore e vita. A 86 anni compiuti, Blake continua a fare quello che faceva Patrick: illustrare al mondo il senso profondo della joie de vivre.