Il disegnatore americano Neal Adams sarà presente a Lucca Comics and Games 2018, dall’31 ottobre al 4 novembre, e al suo lavoro sarà dedicata una mostra di tavole originali.


A Neal Adams oggi piace ricordare che, quando lui era giovane, c’erano pochi fumettisti che potevano competere con lui, «tranne qualche nome di rilievo». Ora è diverso, dice. Il fumetto americano contemporaneo è cambiato perché «qualcuno ha spinto più in là i confini del settore (tariffe più alte, restituzione delle tavole originali, royalty, diritti degli autori e altra roba di questo tipo), sempre più autori di enorme talento stanno scrivendo e disegnando fumetti. E così la competizione è molto, molto più dura».

Quel ‘qualcuno’ di cui il disegnatore parla è proprio lui, descritto in terza persona con la sua distintiva immodestia. Adams non è stato fautore di rivoluzioni epocali, di quelle con una data precisa da imparare a memoria, ma il suo apporto è stato continuo e costante per più di due decenni, rivoltando il fumetto americano dalla testa ai piedi, con effetti ancora oggi evidenti per tutti.

Gli inizi

Neal Adams nacque nel 1941, in piena Seconda guerra mondiale, a Governors Island, nello stato di New York, all’interno di una famiglia di religione ebraica. Dopo il diploma, tentò subito di entrare nel mondo del fumetto, bussando prima alla porta di DC Comics e poi a quella di Archie Comics, dove avrebbe voluto lavorare sui titoli di un’effimera linea di supereroi curata da Joe Simon (uno dei due co-creatori di Capitan America). Adams realizzò in particolare alcune prove per la serie Adventures of the Fly.

«Iniziai a fare tavole di prova per la Archie e le lasciai lì da loro» avrebbe ricordato il disegnatore in un’intervista nel 2000. «Un paio di settimane dopo passai a mostrare le mie prove per Archie e notai che le pagine erano ancora lì, ma da una di esse era stata tagliata la vignetta inferiore. Chiesi che cosa fosse successo e mi dissero: “Uno dei disegnatori ha realizzato questa transizione in cui Tommy Troy si trasforma in The Fly e non andava bene. Il tuo disegno funzionava bene, quindi vorremmo usarlo, se per te va bene”. E io risposi: “Grande. Davvero fantastico”».

Quella vignetta apparve nel gennaio del 1960 sul quarto numero della serie, dando inizio alla carriera di Adams, che per un po’ si svolse lungo due binari: da una parte i fumetti, dall’altra la pubblicità.

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Un giovanissimo Neal Adams

Il primo lavoro stabile però fu tutt’altro che supereroistico e arrivò dietro raccomandazione dello scrittore Jerry Caplin, alias Jerry Capp, fratello di Al Capp (l’autore di Li’l Abner). Nel 1962, Adams divenne il disegnatore della striscia Ben Casey di Newspaper Enterprise Association, ispirata a una popolare serie televisiva americana dell’epoca. Il disegnatore era ancora alla ricerca di un tratto personale, e in questa fase gli veniva spontaneo rifarsi ai punti di riferimento delle strip di quegli anni, in particolare Alex Raymond, l’autore di Flash Gordon e Rip Kirby.

Alla chiusura della striscia nel 1966, Adams sembrò quasi sollevato: «Non ero felice di lavorare sulla striscia, né ero felice di dare un terzo dei guadagni a Bing Crosby Production [la casa di produzione della serie tv, Ndr]. La striscia avrebbe dovuto farmi guadagnare milleduecento dollari a settimana, ma me ne faceva fare circa trecento o trecentocinquanta. E, soprattutto, non potevo esprimermi artisticamente come volevo. Ma ci lasciammo in buoni rapporti. Mi fu persino offerto un accordo secondo cui avrei ricevuto dei soldi ogni mese se avessi acconsentito a non disegnare strisce sindacate per nessun altro».

Questo aneddoto, nella sua brevità, sottolinea come Adams fin dagli esordi non fosse solo un bravo disegnatore, ma anche un bravo agente di se stesso, cosa che gli avrebbe garantito nel corso degli anni successivi una buona carriera.

L’affermazione di uno stile

Negli anni Sessanta, DC Comics era più indietro rispetto alla neonata Marvel sul fumetto supereroistico, ma Adams era più furbo di altri nel procurarsi i propri spazi: «Non mi piaceva la maggior parte dei fumetti [della DC, Ndr] ma mi piacevano quelli di guerra. […] Quindi pensai: “Sai, ora che Joe [Kubert, Ndr] non sta più lavorando lì, hanno Russ Heath e stanno inserendo altra gente al suo posto. Forse potrei entrare in uno stato di cose alla Joe Kubert e fare qualche fumetto di guerra”. […] Così andai a trovare Bob Kanigher [editor dei fumetti di guerra della DC, Ndr], gli mostrai la mia roba ed ebbi la sensazione che gli stesse mancando Joe, un tipo che sapeva disegnare e sapeva fare quella roba rozza d’azione. Così mi diede un po’ di lavoro.»

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Una tavola di Deadman

Dopo qualche storia di guerra e un po’ di lavori minori (tra cui un albo della serie a fumetti dedicata al comico Jerry Lewis), Adams iniziò a disegnare copertine per fumetti di supereroi, mentre la sua prima storia completa (ma breve) di questo genere fu per Elongated Man, su Detective Comics #369 del novembre 1967, con sceneggiatura di Gardner Fox. Il personaggio a cui si legò maggiormente in quegli anni fu Deadman, eroe sovrannaturale grazie al quale Adams divenne noto presso il grande pubblico (facendogli fruttare anche i primi premi).

Lo stile del disegnatore, formatosi sui lavori per le pubblicità e sullo stile più realistico delle strisce, si stagliava nettamente su tutto il resto della produzione supereroistica dell’epoca, costruita sullo stile espressionistico di Jack Kirby (in Marvel) e sulla linea elegante di Carmine Infantino (in DC). Nel 2009, in un articolo per il sito americano CBR, lo sceneggiatore e storico del fumetto Steven Grant ha raccontato così quel periodo:

Jim Steranko alla Marvel e Neal Adams furono i più illustri nuovi disegnatori a entrare a fine anni Sessanta in un settore che era relativamente ostile per i nuovi disegnatori… e per gli aneliti di modernismo, con riferimenti alle pubblicità e alla pop art oltre che al fumetto. Nonostante avessero stili parecchio diversi tra loro, entrambi preferivano layout che ricorrevano alla profondità del punto focale e angolazioni che mettevano il lettore al centro dell’azione e allo stesso tempo lo disorientavano un po’ per aumentare la tensione, e ponevano particolare enfasi sulla luce e il linguaggio del corpo come segni emotivi. […] Inoltre, entrambi influenzarono enormemente il modo di pensare al fumetto della generazione successiva di disegnatori, anche se Adams fu parecchio più influente: il suo approccio era più viscerale e, soprattutto, dirigeva uno studio a Manhattan dove molti giovani disegnatori avviarono le proprie carriere professionali.

Lo studio, fondato nel 1971 a New York da Adams e Dick Giordano (anche lui disegnatore, oltre che editor), si sarebbe chiamato Continuity Studios, e tra quei giovani autori ci sarebbe stato, sul finire degli anni Settanta, anche Frank Miller. Con lui – come con tutti gli altri – Adams fu molto severo, respingendogli spesso le tavole di prova, ma finendo per procurargli il primo incarico professionale. «Ho passato un anno ad andare a New York più o meno ogni due mesi per mostrargli il mio lavoro, essere criticato e tornare a casa a lavorarci su» dichiarò Miller in un’intervista con il Comics Journal.

«Neal aveva una posizione di rispetto nel settore che fino a quel momento nessun altro nel mondo dei fumetti aveva mai raggiunto. Era la persona più rispettata del settore» ricorda invece l’inchiostratore Bob McLeod, che iniziò a lavorare con i fumetti nel 1973 proprio grazie a lui.

Il passaggio in Marvel

Nel 1969, Adams iniziò a lavorare anche per Marvel Comics, dedicandosi in particolare agli X-Men – il super-gruppo di mutanti discrimati dalla società creato da Stan Lee e Jack Kirby –, le cui avventure in quegli anni erano sceneggiate da Roy Thomas.

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Gli X-Men di Adams in azione

«La prima volta che andai via dalla DC fu quando passai in Marvel per fare gli X-Men» avrebbe ricordato in seguito l’autore. «Questo non mi impedì di lavorare anche per la DC. Furono un po’ infastiditi dalla cosa, ma era un piano calcolato. […] Se le persone vedevano che io facevo una cosa, allora avrebbero potuto pensare di farla anche loro. Inoltre, mi sembrava che lavorare per la Marvel potesse essere una cosa interessante da fare. E in effetti lo fu. Mi divertii a lavorare sugli X-Men. Lì erano più amichevoli e molto più sinceri, e apprezzavo la compagnia di Herb Trimpe, John Romita e Marie Severin. Erano persone che non si sentivano oppresse come quelle della National [il vecchio nome di DC Comics, Ndr].»

La permanenza in Marvel fu comunque breve e si limitò a pochi lavori, anche se di spessore. Tra questi, i disegni per una delle saghe a fumetti più rilevanti della storia degli Avengers, la space opera intitolata La guerra Kree-Skrull (Avengers #89-97), una storia che «non aveva precedenti nel mondo del fumetto», come ha rilevato lo storico e critico Peter Sanderson.

Per un altro studioso di fumetto, Steve Stiles, «Adams realizzò alcune delle tavole più belle e innovative della sua carriera». La perfetta riuscita dei disegni della storia fu merito anche di Tom Palmer, abile inchiostratore con cui Adams si trovò a collaborare per la prima volta durante i suoi anni in Marvel. Palmer – che in carriera ha collaborato anche con disegnatori come Gene Colan e John Buscema – non ha mai nascosto il proprio apprezzamento per il lavoro svolto con Adams:

La vera abilità di Neal non era tanto nel realismo, quanto nel modo in cui maneggiava la matita. Una volta lo vidi disegnare, e non la teneva come la si tiene quando si scrive, né la poggiava per il lato più ampio, in modo che tutto avesse lo stesso spessore. La teneva con un’inclinazione, poi la girava… non in un modo affettato, ma come se stesse schizzando qualcosa, così che le linee non fossero pennellate come colpi di matita uniformi. Ricordo che le linee si facevano più sottili o più spesse.

Ho visto persone provare a disegnare come Neal, ma i falsi si riconoscono subito, perché non hanno linee così. […] Altra gente oggi cerca di fare le matite come se dovrà poi anche inchiostrarle o se le sta solo preparando per l’inchiostratore. Neal disegnava per disegnare: l’inchiostrazione diveniva un altro disegno che aggiungevi al suo. E questa era per me una sfida. Non tracciava una linea che dovevi semplicemente riempire.

Per inchiostrare Neal, capivi che non ti era sufficiente il pennino, e nemmeno potevi farlo solo con il pennello… avevi bisogno di entrambi, se volevi riprendere quello che faceva lui quando si inchiostrava da solo. Probabilmente usava prima il pennino e poi ripassava con il pennello per aggiungere qualche linea più grossa e anche un po’ di ombreggiature. Si capiva, perché era una linea nera davvero succosa. Mi spingeva a esserne all’altezza.

Eppure, alla domanda su quale sia stato il suo miglior rifinitore, la risposta di Adams è da anni sempre la stessa: «Preferisco Neal Adams. Credo di essere uno dei migliori inchiostratori in circolazione».

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Un ritaglio di giornale degli anni Settanta che mostra il particolare modo di disegnare di Adams

Ricreare Batman

Negli stessi anni del suo lavoro in Marvel, Adams avviò un’importante collaborazione con lo sceneggiatore Dennis O’Neil in DC Comics. A partire dal 1970, i due – sotto la fondamentale guida di un editor illuminato come Julius Schwartz – ricrearono letteralmente il personaggio di Batman, riportandolo alle sue radici noir e allontanandolo dalle atmosfere spesso kitsch delle storie anni Sessanta. «Non c’era nulla in quelle storie che mi intrigava. Anzi, sembrava che fosse un anti-Batman» era l’opinione di Adams.

Le storie così si fecero più oscure e realistiche, con in risalto le qualità da detective di Batman, e a giovarne furono in particolare i nemici dell’eroe, a iniziare dal Joker, ripresentato con una nuova attitudine da Batman #251 del settembre 1973 in avanti. «Io e Julie eravamo d’accordo sul fatto che fosse un personaggio potenzialmente davvero interessante», avrebbe raccontato O’Neil, «così tentammo di caratterizzarlo nel modo in cui pensavamo dovesse essere caratterizzato». Ovvero come un clown spaventoso, folle e del tutto imprevedibile.

Per il look del personaggio, Adams si rifece alla fonte originaria, riprendendo le indicazioni grafiche del suo creatore Jerry Robinson, con volto affilato, sguardo spiritato, giacca viola, cravatta e camicia verde. A fornirgli un’aria lugubre fu però la caratterizzazione più longilinea e realistica, distante dall’impostazione caricaturale e lombrosiana di Robinson, che lo accostava più ai nemici di Dick Tracy che a un vero serial killer. Anzi, a un ‘giocatore d’azzardo’, secondo la definizione data dallo stesso Adams.

Il cambiamento di atmosfere fu talmente netto che autori e editor non erano sicuri di ricevere l’approvazione della Comics Code Authority, che si occupava di vagliare tutte le storie a fumetti per garantirne l’aderenza ai valori comuni. Nella storia c’erano omicidi in serie e molta efferatezza, considerati i tempi (addirittura il Joker tentava di uccidere Batman buttandolo in una vasca con uno squalo). Il vaglio della commissione però fu superato senza problemi, segnando un precedente importante non solo per Batman, ma anche per il resto del fumetto supereroico americano, da allora in grado di spingersi un po’ più in là.

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La copertina di Batman #251: “La vendetta in cinque atti del Joker”

Un paio di anni prima, su Batman #232 (giugno 1971), O’Neil e Adams avevano invece presentato il personaggio di Ra’s al Ghul, terrorista internazionale che sarebbe presto diventato uno degli avversari più rappresentativi e ricorrenti del nuovo corso di Batman, tanto da essere stato utilizzato anche nella trilogia cinematografica diretta da Christopher Nolan.

Una delle caratteristiche principali del personaggio – nonché una peculiarità piuttosto innovativa per l’epoca – fu quella di non avere un costume da ‘super-criminale’. Adams ha raccontato così il modo in cui si approcciò a Ra’s al Ghul:

Quando ricevetti la descrizione del personaggio, capii di essere nei guai. Nel tentativo di evitare un criminale in costume, mi avevano dato un uomo. Quindi mi ritrovai nel mezzo tra “Faccio solo un uomo d’affari che sembri un po’ arabo o creo un criminale in costume?”. Non potevo farcela. Quindi feci qualcosa a metà tra le due: qualcuno che è così caratteristico che, quando lo vedi, fai un passo all’indietro… quel passo all’indietro che fai se Sean Connery entra nella stanza. O Yul Brynner o qualcuno del genere… qualcuno di impressionante. […]

Il modo in cui vestiva, il modo in cui si muoveva, il modo in cui portava i capelli, tutto questo lo rendeva un personaggio unico. Ecco perché è un personaggio così memorabile. Sono andato solo un po’ fuori dalle righe. E ci sono rimasto.

Il Batman di Adams, invece, era slanciato e atletico come poche altre volte in precedenza, e si avvicinava molto a quell’icona del “Cavaliere Oscuro” che avrebbe definitivamente acquisito pochi anni dopo (grazie al lavoro dell’allievo Frank Miller). Lo stile di Adams, intanto, divenne lo standard anche gli altri disegnatori di Batman a lui contemporanei immediatamente successivi, come Irv Novick e Jim Aparo.

La collaborazione perfetta

La collaborazione tra O’Neil e Adams sembrava rasentare la perfezione: «Quando lavori con qualcuno e scopri che è semplice lavorarci, allora puoi prendere certe scorciatoie che altrimenti non potresti percorrere. Mi sembrava che Denny percepisse di poterlo fare, perché sapeva che io avrei capito quello che lui voleva fare. Quindi perdeva meno tempo nelle descrizioni, mi dava solo una breve descrizione, e passava più tempo sui dialoghi, così credo di aver tirato fuori da Denny i migliori dialoghi possibili. In quel modo tiravamo fuori il meglio l’uno dall’altro».

In contemporanea al loro lavoro su Batman, i due utilizzarono la stessa formula di successo – supereroi più realistici e meno sgargianti – anche su altri due personaggi storici di DC Comics, Lanterna Verde e Freccia Verde, rilanciati in coppia all’interno di una stessa testata. Il contrasto tra i due eroi era netto: Lanterna Verde era un poliziotto intergalattico idealista e dai modi spesso reazionari che tendeva a combattere soprattutto minacce spaziali; Freccia Verde era invece un burbero e cinico liberale (ex milionario) privo di poteri ma dotato di una mira infallibile con arco e frecce.

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Una delle tavole più rappresentative del ciclo di storie con protagonisti Lanterna Verde e Freccia Verde

O’Neil e Adams misero questi due personaggi in viaggio attraverso gli Stati Uniti, in avventure che prendevano spunto dai problemi politici e sociali che nei primi anni Settanta stavano straziando il paese, come il razzismo e l’inquinamento. Tra le storie realizzate prima della chiusura – per scarse vendite – della serie, ce ne fu anche una in due parti (Green Lantern/Green Arrow #85-86) dedicata alla diffusione delle droghe nelle periferie delle città, nella quale il sidekick storico di Freccia Verde, Roy Harper, si rivelò essere diventato un eroinomane a causa del comportamento poco paterno del suo mentore nei suoi confronti.

«Io e Denny O’Neil avevamo entrambi studiato il problema delle droghe attraverso Phoenix House [un’organizzazione no-profit che aiuta ex alcolisti ed ex tossicodipendenti a disintossicarsi, Ndr] e stavamo per realizzare una storia per la città di New York sulla dipendenza dalle droghe, quindi eravamo davvero coinvolti. Io ero anche a capo del comitato di quartiere sulle droghe per l’ente locale di controllo nel Bronx. Ero a capo del comitato dei cittadini che teneva il quartiere al sicuro dai tossici e i tossici al sicuro dal quartiere. Quindi avevo un po’ di esperienza con questo problema della dipendenza dalle droghe» ha raccontato in seguito Adams.

La copertina di uno dei due albi che completavano la storia fu particolarmente scioccante, dato che raffigurava Harper con una siringa di fianco a lui, dopo essersi appena iniettato nel braccio una dose di eroina. L’albo ebbe inizialmente problemi con l’approvazione della Comics Code Authority ma fu ugualmente pubblicato da DC Comics, grazie all’intervento deciso di Schwartz nei suoi colloqui con l’ente e con l’editore (per quanto riguarda il suo rapporto con l’editor, Adams lo descriveva così: «Devi sapere che Julie era un intellettuale ed era molto sensibile alle richieste e alle necessità delle persone, quindi la mia citazione preferita di Julie Schwartz è “Porta il tuo culo fuori dal mio ufficio, Adams!”. La mia citazione preferita»).

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La storica copertina di Green Lantern/Green Arrow #85, albo uscito senza il marchio di approvazione della Comics Code Authority

In un’altra storia dello stesso ciclo (su Green Lantern/Green Arrow #83), un criminale fu rappresentato da Adams con dei tratti somatici che ricordavano parecchio quelli dell’allora vice-presidente degli Stati Uniti, Spiro Agnew – particolarmente inviso al disegnatore –, mentre una bambina dai poteri paranormali assomigliava al presidente Richard Nixon.

«Ricevemmo una lettera dal governatore della Florida che diceva “Come osate insultare il vice-presidente degli Stati Uniti in questo modo! È la cosa più oltraggiosa che abbia mai visto in un fumetto. Rovinerà le menti dei bambini. Se rifarete una cosa del genere, mi assicurerò che la DC Comics non venga più distribuita nello stato della Florida”» ricorda Adams.

«Quindi il governatore mandò questa lettera, e i proprietari di allora della DC vennero a cercare me, perché Denny non c’era, lui era di rado in ufficio, e mi dissero “Guarda questa lettera”, allungandomela. Ma io feci fatica a non scoppiare a ridere. Dissi: “Già, noto che non si sono accorti che la bambina è Richard Nixon”, ed era la bambina più brutta della storia del fumetto. “Ah, sì?” “Già.” A quanto pare non se ne erano accorti nemmeno loro. Dissero: “Be’, che cosa faremo a riguardo?” e io risposi: “Be’, immagino che non lo rifaremo più”. Idioti.»

Diritti d’autore

Durante gli anni Settanta e Ottanta, Adam fu molto attivo nel settore del fumetto anche da un punto di vista più politico. Nel 1978 tentò invano di fondare la Comics Creator Guild, una sorta di sindacato dei fumetti, con l’intento di formare un fronte unico da opporre agli editori nelle questioni contrattuali. Alla prima e unica riunione della gilda, nel maggio di quell’anno, parteciparono Cary Bates, Howard Chaykin, Chris Claremont, Steve Ditko, Michael Golden, Archie Goodwin, Paul Levitz, Bob McLeod, Frank Miller, Carl Potts, Marshall Rogers, Jim Shooter, Walt Simonson, Jim Starlin, Len Wein e Marv Wolfman, ovvero quasi tutto il meglio che il fumetto poteva offrire in quel periodo.

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Neal Adams con Jerry Siegel e Joe Shuster, i due creatori di Superman

Adams era la persona a cui gli altri autori si rivolgevano quando avevano bisogno di aiuto contro gli editori. Lui stesso racconta che un giorno Joe Simon (veterano dei comics e co-creatore di Capitan America con Jack Kirby) si presentò in DC Comics, chiedendo di lui. «Ci sedemmo, ci prendemmo un caffè e Joe mi spiegò la sua situazione con Capitan America e i vari personaggi di cui sentiva di avere tutti i diritti, e io lo ascoltai e gli dissi: “Be’, okay, innanzitutto posso darti i contatti di questi due avvocati e di questa persona che sta lottando per i disegnatori di fumetto. Dovresti iniziare a mandare fatture e crearti un po’ di documentazione e farti sentire dalle persone con cui lavori e dalle persone responsabili delle persone con cui lavori. […] Hai dei diritti, devi farti un po’ di documentazione e poi andare a trovare queste persone, anche se la maggior parte degli avvocati non la penserebbe così.»

Verso la fine degli anni Settanta Adams si impegnò molto nello sponsorizzare la causa di Jerry Siegel e Joe Shuster, i due creatori di Superman, che vivevano in povertà nonostante il loro personaggio stesse facendo generare ingenti introiti a DC Comics. Introiti che di lì a poco sarebbero aumentati, con l’uscita nel 1978 del film di Richard Donner a lui dedicato.

Adams, allora presidente della Academy of Comic Book Arts – corrispondente per il fumetto della Academy of Motion Picture Arts and Sciences, l’associazione che ogni anno assegna gli Oscar – si rivolse ad alcuni avvocati e organizzò una serie di eventi che portarono a suscitare solidarietà da parte dell’opinione pubblica nei confronti dei due autori. Questo fu sufficiente a spingere Time Warner – la multinazionale proprietaria di DC Comics – a garantire a vita a Siegel e Shuster i diritti d’autore sulla creazione di Superman.

Adams ama ricordare quel periodo in termini piuttosto coloriti: «Mi ero affermato come una enorme rottura di palle, ma una rottura di palle talmente di talento da essere tollerata, e così lottavo per la restituzione delle tavole originali, le royalty e tutte quelle altre cose, aiutando varie persone». Altrettanto decisa era la sua idea sulla situazione in cui versavano gli autori in quegli anni e su quello che doveva essere il suo compito:

Era un disastro e c’era bisogno di tutto l’aiuto possibile. Avrei voluto che ci fossero state più persone a riparare quel… animale ferito, ma ne venimmo comunque fuori. Ne venimmo fuori nel miglior modo possibile. […] Ero arrabbiato per la situazione, così lottai, ritrovandomi ricoperto di sangue e di fango. Ma intorno a me tutti sorridevano e facevano progressi, così andai avanti e mi ripulii, e tutto si mise a posto.

Adams in compagnia di Jack Kirby e di altri colleghi (tra cui Mike Friedrich) al Comic-Con di San Diego del 1973

Grazie all’impegno di Adams, da metà anni Ottanta in poi divenne comune la pratica degli editori di restituire le tavole originali agli autori, che così avrebbero potuto venderle per realizzare dei guadagni ulteriori. La svolta in particolare avvenne nel 1987, quando lui e Jack Kirby (e con loro anche altri autori) riuscirono a convincere la Marvel a restituirgli gli originali realizzati nei decenni passati (per Kirby si trattò di circa 2.100 pezzi), dopo anni di discussioni legali fra le parti.

Il presente

Tutto quello che aveva realizzato fra gli anni Sessanta e Settanta fu sufficiente per Adams a costruirci sopra una carriera da leggenda. Negli anni successivi, il disegnatore continuò a collaborare con Marvel e DC su alcuni progetti speciali e nel 1984 fondò una propria casa editrice − la Continuity Comics − con cui per 10 anni pubblicò fumetti di supereroi (di scarso successo) e lanciò autori come Mike Deodato, Jr., Mark Texeira, Dave Hoover, Richard Bennett e Tom Grindberg.

Nel 2010, per conto di Disney Educational Productions, Adams ha persino realizzato una serie di motion comics − di durata dai 5 ai 10 minuti l’uno − sugli eroi americani dell’Olocausto, in collaborazione con lo storico Rafael Moldoff. E nello stesso anno è tornato a disegnare (e a scrivere) il personaggio di Batman per la miniserie in 6 parti Odyssey.

Questa storia ha preso spunto da una convinzione di Adams ai limiti della pseudoscienza, ovvero che la terra si stia espandendo attraverso un processo  denominato “produzione di coppia”, seguendo − in parte − le teorie del geologo australiano Samuel Warren Carey. Adams ha addirittura scritto e prodotto un documentario sull’argomento (alcune clip del quale sono disponibili su YouTube). In Odyssey, Batman si ritrova in una Terra cava prodotta proprio dall’espansione del pianeta e popolata da dinosauri e uomini di Neanderthal.

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Batman e i dinosauri della miniserie “Odyssey”

In tutti questi ultimi casi, si tratta di opere che non hanno lasciato il segno e che hanno anche messo in mostra un autore un po’ imbolsito e non più al passo con i tempi. Quello di Adams per il fumetto americano, in ogni caso, è stato un contributo davvero grande, come pochi altri autori possono vantare.

Il paradosso è che oggi molte delle cose per cui lui ha dovuto lottare sono ormai date per scontate, e si corre il rischio di dimenticarsi dell’importanza di questo uomo a cui sia i lettori che gli autori devono ancora molto.