Ana Juan è una illustratrice spagnola particolarmente nota per le sue copertine per il New Yorker (ne abbiamo parlato in un recente articolo sulla sua copertina dedicata alla strage di Charlie Hebdo) e autrice di numerosi libri illustrati (in Italia pubblicati da Logos Edizioni).
L’autrice era presente all’ultima edizione della Bologna Children’s Book Fair, dove presentava l’appena uscito Lacrimosa, per i testi di Matz Mainka (nome non nuovo al mondo del fumetto, fu sceneggiatore del manga Jiraishin, illustrato da Tsutomu Takahashi).
Lacrimosa è una favola cupa di amore e morte (quarto volume della serie Spaccacuore), intriso di romanticismo misterioso e gotico. Ana Juan, con i suoi carboncini, delinea figure tanto effimere quanto emotivamente intense; bosco, animali e individui (e lacrime) hai tratti delicati della fiaba, uniti all’irruenza oscura tipica dell’horror più classico.
Abbiamo incontrato Ana Juan presso lo stand Logos alla fiera di Bologna, scambiando alcune parole con lei per conoscere meglio il suo approccio al lavoro di illustratrice.
Da dove nasce l’ispirazione per i tuoi lavori, per creare il tuo immaginario visivo?
Ognuno ha il suo mondo, come una valigia che porti sempre con te, colma di ricordi ed esperienze. Questo bagaglio, per me, è ciò a cui ricorri spontaneamente quando hai bisogno di ispirazione.
Quindi, per te l’ispirazione è qualcosa da cercare nel passato?
Sì, le esperienze sono ciò che determinano la tua creatività, ma non necessariamente in senso materiale e funzionale. Mi riferisco anche a sensazioni, riminiscenze, qualcosa che si nasconde nel cuore. La creazione è frutto di un continuo rovistare in questa valigia di emozioni.
Come ti avvicini al soggetto di un libro scritto da altri?
Prima di tutto c’è la lettura, poi cerco di entrare dentro alla storia, immaginando nella mia mente lo scenario, e dopo i dettagli che la compongono. Mi piace lavorare a un progetto per volta (illustrazione, o libro che sia), ma ovviamente le necessità di scadenze e commissioni sono pressanti e non sempre è così.
Come ti approccio invece al soggetto di una illustrazione per rivista?
Lavoro per il New Yorker, e quando ci sono eventi specifici di cronaca o di cultura, il direttore artistico ti concede due o tre ore per proporre un’idea. A questo punto devo fare un velocissimo brainstorming, che può essere stressante, complesso e davvero duro, visto la pressione e il poco tempo. Ma alla fine, quando il lavoro viene accettato, la soddisfazione ripaga lo sforzo.
Che tipo di indicazioni ricevi dall’art director della rivista?
In pratica, ogni copertina ha una storia a sé. A volte, quando accede un incidente o c’è una notizia di guerra o terrorismo, ti viene semplicemente detto: «invia idee, per favore» [ride]. A quel punto inizia il processo che dicevo sopra; poi invii le tue proposte, che vengono visionate. Ma questo non vuol dire che una di esse verrà effettivamente scelta. I vari editor devono visionarla e dire la loro, può esserci una notizia nuova che cambia il soggetto, modifiche, ecc. Poi all’improvviso arriva una telefonata che ti dice «Ok, la copertina è tua» [ride].
Nel caso della tua recente copertina del New Yorker sulla strage di Charlie Hebdo cosa puoi raccontarci?
Chiesero a molti illustratori di preparare una illustrazione da usare in una gallery dedicata a quell’argomento. Nelle intenzioni iniziali non quel mio lavoro non avrebbe dovuto servire per una copertina. Poi, l’editor cambiò idea, e di quella serie di illustrazioni furono selezionate alcune da cui sceglierne una per la copertina del numero successivo. La mia illustrazione ebbe fortuna e fu scelta, ma ovviamente ce ne sono state molte altre realizzate con l’intenzione iniziale della gallery – che non c’è stata – a non essere state usate.
Tornando al tuo stile. Come è nata la scelta di lavorare con bianco e nero e col carboncino?
È da molti anni che lavoro così, ma all’epoca in cui studiavo avevo seri problemi col bianco e nero, dovevo ancora trovare la mia strada. Un giorno, un editor mi commissionò un libro, offrendomi libertà espressiva. Un sogno che si realizzava, adattare e illustrare un classico; e scelsi di farlo in bianco e nero (intitolato Snowhite, il libro è uscito originariamente nel 2002 e in Italia nel 2011 per Logos Edizioni. NDR). Per realizzarlo, guardai quindi al passato e vi trassi ispirazione.
L’immaginario che evoca un libro come Lacrimosa è molto oscuro, dark. Da dove nasce, sia visivamente, che narrativamente?
Se penso alla letteratura, ti posso dire Poe; mentre nell’arte Käthe Kollwitz, che era una artista tedesca attiva ai tempi della Seconda Guerra Mondiale. La ammiro molto per l’uso del carboncino e il suo bianco e nero molto espressivo ed emotivo.