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Ragazzi del futuro: sulle sigle di Ken il guerriero e Conan

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di Demented Burrocacao*

si trasforma in un razzo missile demented burrocacao
La copertina del libro Si trasforma in un razzo missile di Demented Burrocacao, pubblicato da Rizzoli Lizard, da cui è tratto questo articolo

Il 26 aprile del 1986, all’improvviso, la fantascienza irrompe nelle nostre case. Esplode la centrale nucleare di Cernobyl e il suo fetore radioattivo si spande nell’aria raggiungendo l’Europa e l’Italia. Scatta una psicosi senza precedenti, la gente evita di mangiare verdura e latte, il terrore di mutazioni genetiche è tangibile. La zona dell’esplosione è un disastro, non resta che un parco degli orrori. Tanti bambini cresciuti in quell’area vengono spediti in giro per il mondo, Italia inclusa, ospitati da famiglie che li accolgono a braccia aperte: quelle povere creature hanno un disperato bisogno di cambiare aria. Ma anche da noi nascono i primi figli del nucleare. Molti nati in quell’anno presentano infatti delle malformazioni, più o meno gravi.

Appena undici giorni prima, ci eravamo già presi un bello spavento. Il 15 aprile 1986, la Libia spara due razzi verso un insediamento Nato a Lampedusa. L’azione libica (che andò completamente a vuoto) era una risposta all’attacco che poche ore prima gli americani avevano sferrato su Tripoli: un raid aereo nel quale persero la vita almeno una quarantina di civili. Potete immaginare l’effetto di questa catena di eventi sugli italiani: tutti pensano che stia per scoppiare la Terza guerra mondiale, la gente si precipita nei supermercati per fare spese da bunker antiatomico e si barrica in casa.

Il 1986 è l’anno della follia. Alberto Moravia scrive L’inverno nucleare intervistando personaggi di fama internazionale, pensatori, scrittori, ricercatori: li interpella su questioni urgenti, spaventose, come l’ipotesi della fine della razza umana. Questa tensione generale non si è ancora dissipata quando, nel 1987, in tv arriva un cartone animato che è lo specchio distorto di quella realtà invivibile. È il cartone animato più new wave di sempre, ai confini con l’industrial. Pieno di brutalità su vittime innocenti, donne e bambini inclusi. È un capolavoro di ultraviolenza postatomica, ambientato in un mondo in cui oramai i sopravvissuti non conservano alcuna traccia di umanità, solo pochi, pochissimi superstiti si battono ancora per il bene. È Ken il guerriero.

In questa landa desolata, i buoni sono costretti a usare le maniere forti. Colpendoli nei celebri “punti di pressione”, Ken fa esplodere i suoi nemici spappolandoli come cachi. E i nemici non sono semplici cattivi, ma esseri di una malvagità sfrenata, pieni di ambiguità e al limite con la pazzia, come il mio preferito tra loro, Yuda: un esteta glamster che si trucca come una Barbie ed è spietato come un carnefice nazista.

La sigla italiana è un must, racchiude tutti i sentimenti di quel periodo storico. Di primo acchito sembra il brano di un gruppo post punk italiano di quelli sconosciuti ma ultraseri, tipo i Tan Zero (centrali nella colonna sonora dell’Imperatore di Roma di Nico D’Alessandria), un gruppo dal sound fatto di synth oscuri e testi apocalittici, una voce ispirata senza dubbio al fu Ian Curtis e una produzione che fa le scarpe ai Moda di Andrea Chimenti, ai Litfiba e a molti altri nomi della scena alternativa italiana di quegli anni. E invece no, a suonare e cantare non è un giovane waverolo, ma un veterano del pop, ovvero Claudio Maioli, nascosto dietro lo pseudonimo di Spectra. Maioli è l’artefice delle tastiere psych di molti album di Lucio Battisti, come l’imperdibile Anima latina, nonché di dischi mitici di Ivan Graziani come Pigro. Il testo è opera di un ispiratissimo Lucio Macchiarella, autore dei testi per le sigle delle Avventure dell’Ape Magà e di Candy Candy, ma soprattutto collaboratore nel 1978 per il primo Lp di Cicciolina: Ilona Staller.

È incredibile come Maioli e Macchiarella siano riusciti a cogliere e rappresentare l’umore dei giovani postindustrial, tanto che il brano diventerà una leggenda per tutti i darkettoni d’Italia. Ma come capita, tutto questo successo ha sempre un rovescio della medaglia: la sigla, infatti, venne pubblicata solo a sette anni dalla prima messa in onda, nel 1994. Il perché di questo ritardo resta un mistero, come lo scioglimento del sangue di san Gennaro.

Illustrazione di Simone Tso tratta dal libro Si trasforma in un razzo missile di Demented Burrocacao (Rizzoli Lizard, 2019)

Ispirato da Ken e dalla sua poetica, co-fondai la mia prima band del liceo, gli Hammers. Un progetto difficilmente disciplinabile, anche se in studio (e per “studio” si intende casa mia, registravamo su un quattro tracce a cassetta) funzionavamo bene. Il mio amico Luigi scriveva i testi, sempre pervasi da un pessimismo postatomico. Eravamo così postpostatomici che di fare concerti con i nostri pezzi originali, che erano bell’e registrati su una demo, non se ne parlava.

Quando tentavamo di fare prove in vista di un’esibizione dal vivo, usciva solo l’impossibilità di disciplinarsi: eravamo allo sbaraglio come le popolazioni di Ken il guerriero. Rappresentavamo la nuova onda, quella che poi evaporerà sempre di più negli immateriali mp3. Non sapremo mai se lì è finita la mia innocenza di bambino oppure se da quel punto questa stessa innocenza è ripartita sotto un’altra forma.

D’altronde tutto deve ricominciare, come nel 1981 recitava la sigla di uno degli anime più belli della storia, Conan il ragazzo del futuro, opera del grandissimo Hayao Miyazaki, quello del Mio vicino Totoro e della Principessa Mononoke, per intenderci. Anche in questo cartone l’orrore nucleare e una scienza corrotta dalla voglia di soggiogare gli uomini sono al centro della storia. Manca poco al 2028, l’anno in cui si svolge questa storia, e i suoi scenari distopici oggi sembrano quasi realtà: il livello del mare si è innalzato fino a inghiottire tutte le città costiere e l’acqua potabile è un bene estremamente prezioso. In questo mondo si muove Conan, un ragazzino nato all’indomani di un terribile disastro nucleare. I suoi genitori facevano parte di un gruppo di astronauti che, cercando inutilmente rifugio fuori dall’orbita terrestre, sono stati scaraventati con la loro navicella su un’isola deserta.

Eppure Conan, a differenza di Ken, è un ottimista: l’isola su cui è cresciuto non è veramente deserta. Non solo con lui c’è suo nonno (che in realtà è semplicemente l’unico sopravvissuto del gruppo di astronauti), ma un giorno, sulla spiaggia di quel pezzetto di terra affiorata, Conan trova una naufraga. È Lana, una ragazza della sua età, che è fuggita dall’incubo totalitarista di Indastria, una città-Stato che – non contenta delle pessime condizioni in cui versa il pianeta – continua ciecamente a dichiarare guerra a quel che resta degli ultimi pacifici insediamenti umani. Sarà Lana a spiegare a Conan che lui e il nonno non sono affatto soli al mondo come credevano. Questa scoperta illuminante cambia il corso della sua vita tranquilla, che di colpo diventa una vera e propria odissea di lotta e sofferenza. Ma nonostante tutto, il ragazzo del futuro non perde mai la speranza: secondo lui l’umanità può ripartire dalla pace.

Ed è proprio questo il concetto ribadito dalla sigla, in versi che lasciano poco spazio all’interpretazione come «C’era allegria / c’era felicità / ma la guerra è una follia» o «Ma se qualcuno / sorride a te / un domani ancora c’è». Il brano è semplicemente stupendo, delicato, in perfetto equilibrio tra la speranza di un futuro migliore e la consapevolezza degli orrori del passato. Non c’è da stupirsi che, anche dietro queste parole così dense e leggere, ci sia la penna di Macchiarella. Il suo è un testo degno di essere letto nelle scuole, perché sa descrivere con amarezza la crudeltà dell’uomo, ma non dimentica la sua forza d’animo, la sua voglia di reagire. La musica è di Massimo Buzzi, già batterista in Il giorno aveva cinque teste di Dalla, e l’arrangiamento è di Mario Scotti, collaboratore di Renato Zero: un pop levigato perfetto e leggermente sintetico, da lacrime, pelle d’oca e autentica commozione che sgorga dal cuore (fa il paio, da questo punto di vista, con “La balena Giuseppina”), anche grazie alla mirabile interpretazione vocale di una giovane Georgia Lepore. La sigla di Conan è il manifesto della nostra generazione: tutti i miei coetanei, ogni volta che ascoltano questo brano, non riescono a nascondere l’emozione, una commozione tradita da mille mimiche facciali che affiorano dal profondo dei ricordi.

Perché l’unica cosa che ci può salvare dal torbidume dell’età adulta non sono né i robot né gli eroi di carta, ma è il sentimento in tutte le sue trasformazioni, quella forza bambina che tra le stelle sprinta e va.

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Demented Burrocacao (pseudonimo di Stefano Di Trapani) è nato a Roma nel 1975. È un musicista che milita in svariati progetti, tra i quali System Hardware Abnormal, Micropupazzo e Trapcoustic. Con Calcutta ha realizzato Forse… (2012, come produttore) e The Sabaudian Tape (2013, come coautore). Oltre a suonare in giro per il mondo, Demented è il massimo esegeta dei Pooh e scrive per Vice, Esquire, Il Tascabile e Noisey.

Questo articolo è un estratto del libro Si trasforma in un razzo missile, pubblicato da Rizzoli Lizard.

© Rizzoli Lizard – Demented Burrocacao – Si trasforma in un razzo missile

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