Ogni settimana su Sunday Page un autore o un critico ci spiega una tavola a cui è particolarmente legato o che lo ha colpito per motivi tecnici, artistici o emotivi. Le conversazioni possono divagare nelle acque aperte del fumetto, ma parte tutto dalla stessa domanda: «Se ora ti chiedessi di indicare una pagina che ami di un fumetto, quale sceglieresti e perché?».
Questa domenica ospitiamo Giorgio Carpinteri, fumettista, art director e pubblicitario. Nato nel 1958 a Bologna, è tra i fondatori del gruppo Valvoline, nato all’inizio degli anni Ottanta e composto da personalità molto diverse (Lorenzo Mattotti, Daniele Brolli, Marcello Jori, Igort, Jerry Kramsky), tutte però concentrate sull’esplorazione di nuove forme di racconto. All’attività di fumettista (Aquatlantic,Polsi sottili, Pop Eye, svariati racconti su Frigidaire, Il Mago e Alter Linus) ha affiancato quella di art director per la televisione e di pubblicitario per marchi come Vespa, Piaggio, Batida, Toschi, Fendi e Swatch.
Ho scelto una pagina da Rolf di Richard Corben. Praticamente una qualunque.
Avevo in mente tante tavole, di altri autori, che mi hanno colpito per bellezza compositiva e astuzie narrative ma, in realtà, ho sempre preferito pensare il fumetto come un flusso di vignette più che un flusso di tavole. Spesso, non sempre, le tavole con architetture complesse mi distolgono dal racconto e finisco per trovarle un po’ auto-compiaciute (neppure l’incredibile Chris “cervello” Ware, alla fine, è esente da questa sensazione personale).
Quindi, ecco qui Richard Corben, un autore che ho cominciato ad amare, negli anni Settanta, acquistando i suoi albi underground, come Fantagor, Anomaly, Grim Wit, eccetera.
In lui trovavo quel mix energetico di grottesco, (iper)realismo, umorismo e dramma che ho sempre apprezzato in alcuni autori. In fondo anche Andrea Pazienza ha sfoggiato, a modo suo, questa gamma di spropositata ampiezza per raccontare le sue storie. Ecco il punto: mi piaceva Corben perché sembrava darti 10 nonostante il suo potenziale fosse 100.
Intendo dire che il suo amministrare le energie creava impennate sorprendenti, da storia in storia o, semplicemente, all’interno della stessa vignetta. Per esempio, un personaggio poteva avere il corpo tozzo e, apparentemente, “tirato via” ma la fisionomia del suo volto, la sua espressione, ti regalava un pezzo di “realtà” che ti prendeva alla sprovvista. Quel personaggio/pupazzo illuminava di senso la vignetta con caratteristiche fisionomiche precise e una espressività inedita (apprezzamento che faccio spesso a Manuele Fior per la ricchezza di espressioni non stereotipate con cui arma i suoi personaggi).
A Corben gli stereotipi piacciono: le donne sono generalmente formose, gli uomini sono spesso dei culturisti ma tra quelle icone scontate infila sempre un dettaglio che ti spiazza per originalità o concretezza, possono essere le pieghe di un vestito, le rughe di un vecchio o la silhouette di un castello.
Di questa tavola in particolare cosa ti piacerebbe indicare come elementi d’interesse?
Nella prima vignetta, la protagonista guarda a lato con l’espressione di chi ha un presentimento. In quello sguardo vede oltre la vignetta, e noi, con lei, capiamo che incombe una minaccia e accadranno cose misteriose.
Nella stessa vignetta trovo un esempio di “praticità” alla Corben: si dedica a illustrare, con dovizia di particolari, i lati (destro e sinistro) della pergamena che sostiene titolo e didascalie introduttive, ma non perde tempo nel fare sentire l’effetto anticato nel resto della pergamena. Corben è un po’ “brutale” e non si vergogna neppure un po’ delle sue soluzioni sbrigative.
Infine trovo interessante il combinare l’approccio ingenuo e bonario, quasi da illustrazione per l’infanzia, con cui descrive l’ingresso della casa del mago (quarta vignetta) con l’approccio drammatico e fosco con cui ci mostra il volto di Sortrum, il mago, nella vignetta successiva. Corben sembra dirti “Tranquillo, divertiti, è solo una fiaba… ma, sta attento, anche le fiabe possono mordere.”.
Quando hai scoperto per la prima volta Rolf (o Corben in generale)? Ti ricordi che età avevi e grazie a chi?
Ho scoperto Corben nei primi anni Settanta, sugli albi che ti dicevo. Avevo 13 o 14 anni e amavo molto il genere horror (Creepy, Eerie, poi la EC Comic). Corben spaziava in vari generi ma tratteneva la crudezza dell’Horror anche nella fantascienza. Rolf l’ho letto solo nel 1976 sulle pagine di Alter Linus.
C’è una lezione che hai imparato da Corben e che usi nel tuo lavoro? O la tua passione per lui è più da lettore che da autore?
Direi che la mia ammirazione per Corben è principalmente da lettore e fruitore delle sue immagini, ma gli autori come lui hanno il potere di farmi venire voglia di disegnare (Will Eisner è un altro di questi). In Rolf c’è qualcosa di contagioso. Quel modo giocoso e caldo di raccontare nefandezze e sentimenti puri come quelli del protagonista a quattro zampe, be’… Ogni volta che mi domando se vale la pena disegnare un fumetto, mi basta sfogliare qualche pagina del Corben anni Settanta e mi precipito al tavolo da disegno. Cosa si può chiedere di più a un autore.
Però, ora che ricordo, all’epoca scopiazzai un paio di disegni, mi sembra proprio da Rolf, per capire meglio la sua tecnica. Come prova della sincerità della mia scelta mi sembra che basti.