Il mondo del fumetto continua ad offrire alcune sorprese al panorama dell’editoria, conquistando spazi riservati in passato solo alla prosa letteraria. Questa volta il caso riguarda il più prestigioso premio italiano dedicato alla letteratura di ambito storico, il Premio Manzoni.
Il graphic novel La vita che desideri, di Francesco Memo e Barbara Borlini, pubblicato da Tunué all’inizio del 2019, è infatti il primo fumetto ad aggiudicarsi un Premio Speciale assegnato dalla Giuria Tecnica del Premio Letterario Alessandro Manzoni, composta da autorevoli esponenti dell’editoria italiana: Ermanno Paccagnini (presidente), Alberto Cadioli, Gian Luigi Daccò, Gianmarco Gaspari, Luigi Mascheroni, Stefano Motta, Mauro Novelli, Giovanna Rosa.
La vita che desideri racconta la storia di un amore omosessuale in un’epoca di tumultuosi cambiamenti politici e sociali, e copre trent’anni della storia italiana: dalla Prima Guerra Mondiale all’indomani del 8 settembre 1943. Il libro, scandito da diverse dominanti cromatiche, mette in scena e riflette sui temi della violenza pubblica e privata, del conformismo, della Shoah, delle leggi razziali, delle deportazioni e dell’omosessualità. Al centro della narrazione c’è la vita di Giulio, che nel 1914 assiste a un omicidio passionale e viene poi mandato a combattere sul Carso. Lo ritroveremo nel 1935 quando lavora in un hotel sul Lago Maggiore, qui conosce Giorgio, accecato dall’ideologia fascista, con cui sviluppa una relazione. In fine nell’autunno 1943, Giorgio, oramai passato ai partigiani, riprende contatti con Giulio per condurre un’attività di spionaggio.
Istituito quest’anno per la prima volta, allo scopo di integrare i tradizionali Premio Romanzo Storico e Premio alla Carriera (quest’ultimo assegnato, negli anni, a figure anche non strettamente letterarie, da Luca Ronconi a Umberto Eco a Paolo Conte), il Premio Speciale attribuito all’opera di Memo e Borlini è dunque un segnale positivo rispetto alla pertinenza del fumetto nel dibattito tanto letterario quanto in quello storico.
Per sottolineare l’occasione, abbiamo chiesto a Ernesto Ferrero, critico e scrittore di importanti romanzi storici come N. (Premio Strega nel 2000), già direttore editoriale Einaudi e già direttore del Salone del Libro di Torino, un commento sul libro e sulla decisione di attribuire un Premio Manzoni ad hoc a La vita che desideri:
«Ci sono molti occhi attoniti, spalancati sul buio della notte del Novecento e sui pozzi oscuri dell’interiorità, nel romanzo grafico di Memo e Borlini, che ha ben metabolizzato un ampio spettro di suggestioni storiografiche, letterarie, figurative e cinematografiche. Adorno diceva che dopo Auschwitz non si può più scrivere poesia. Primo Levi gli opponeva che la poesia non può che occuparsi che di Auschwitz e dintorni. Di fatto, non abbiamo ancora fatto seriamente i conti con il fascista che è in noi.
La monocromia che connota e distingue i vari tempi dell’azione (il grigio, il bruno, l’oliva, il vinaccia) evoca efficacemente, da sola, gli intrecci fatali tra la Grande Storia e le vicende private, e le penombre della malattia morale che ha prostrato l’Europa , e che è ben lontana dall’essere debellata. L’impresa di Memo e Borlini, di discendenza manzoniana per l’uso civile della storia e giustamente ambiziosa sino alla temerarietà (Calvino, in odio alla facilità già dilagante negli anni ’70, sosteneva che ogni scrittore deve assegnarsi missioni impossibili e scrivere per un lettore che la sa più lunga di lui) dimostra che si possono tenere insieme il dovere della memoria, l’accuratezza storiografica, il piacere della narrazione e la sperimentazione di nuovi linguaggi.»
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