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Osamu Tezuka e la rivoluzione di Astro Boy

Tezuka Osamu fu il geniale traghettatore del manga nella modernità riuscendo a portarlo a pubblici diversi e, al contempo, ad affermarlo come forma d’arte ma, soprattutto, non smise mai di raccontare storie.

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Questo articolo è originariamente apparso su Lunus di ottobre 2019, e qui adattato per la ripubblicazione.

osamu tezuka
Osamu Tezuka

Il Dio dei manga; il “Padrino degli anime; il Walt Disney giapponese. Sono questi alcuni degli epiteti che Osamu Tezuka si è guadagnato nel corso di una lunga e prolifica carriera. Anche volendo parlare solo di numeri, le cifre sono impressionanti: 700 manga realizzati per un totale di stimato fra le 150.000 e le 170.000 tavole. La pubblicazione della sua opera omnia (o quasi, viste alcune eccellenti assenze) ha impegnato la casa editrice giapponese Kodansha per vent’anni, dal 1977 al 1997, per un totale di 400 volumi editi. Per non parlare delle molte serie animate e dei film sperimentali (spesso prodotti, sceneggiati, “storybordati” e diretti da lui stesso) che hanno, di fatto, posto le basi per la moderna industria degli anime giapponesi.

Eppure né i numeri né gli appellativi – necessariamente limitati, per quanto generosi – riescono a restituire appieno l’importanza di questo autore. Per chi è affezionato alle definizioni sommarie, forse quella che maggiormente riassume, ma senza esaurirla, la personalità di Tezuka è di Helen McCarthy:

«Tezuka è […] un modellatore di media, l’architetto in capo delle moderne industrie del manga e dell’anime. Gli occidentali, tentando di riassumere in poche parole la sua figura, alcune volte hanno chiamato Tezuka il Walt Disney del Giappone. In realtà era più Walt Disney, Stan Lee, Jack Kirby, Tim Burton, Arthur C. Clark e Carl Sagan in un unico e incredibilmente prolifico autore.»

Ciononostante Tezuka è stato, anche, molto più di questo: Schulz, Crumb, ma anche Dostoevskij, Kafka, Stravinskij. Al di là di una certa vulgata che lo vuole come principio generatore di tutto ciò che riguarda l’animazione e il fumetto giapponesi, Tezuka non inventò il manga, ma lo traghettò verso la modernità, esplorandone le capacità implicite e riuscendo nell’impresa di affermarlo come un prodotto culturale al pari, ad esempio, del teatro o del romanzo e dandogli la forma grafico-narrativa (e anche editoriale) che conosciamo oggi. 

La sua figura è ancora un punto di riferimento così importante per diverse generazioni di autori e di lettori che il suo racconto rischia di sconfinare nell’agiografia, eppure questo tipo di entusiasmo, a tratti vicino al fanatismo, non rischia certo di sottostimare la sua importanza.

Le storie che Tezuka ci ha lasciato in eredità dopo una morte precoce a soli sessant’anni sono un patrimonio grafico narrativo enorme. Ridurne l’opera a un genere o a una corrente – come spesso accade basandosi esclusivamente sui suoi personaggi più noti – è non solo impossibile, ma scorretto. 

linus ottobre 2019
La copertina di Linus dell’ottobre 2019, da cui è tratto questo articolo

Ripercorrendone il suo intero corpus narrativo passeremmo con disinvoltura dal racconto fantascientifico (Metropolis) all’adattamento letterario (Delitto e Castigo, Faust, Neo Faust, Pinocchio); dall’imponente biografia storico-spirituale offerta da Buddha all’indagine senza filtri sulla storia recente del Giappone (come in Shumari o in Ayako).

E ancora: il racconto di samurai (Shinsengumi) e la sua parodia antieroica (Io sono Sasuke Sarutobi); il racconto di yōkai (spettri, Dororo) e la tragica riflessione sulla medicina svincolata da ogni vincolo etico (Kirihito e Black Jack). Tezuka, acuto osservatore di caratteri, capace di conferire ai suoi personaggi un’umanità spesso tragica, ci ha raccontato la perversione capitalistica nel realistico Gringo ma anche l’identità di genere nel fiabesco La principessa Zaffiro; la condizione della donna nella società contemporanea in Barbara e la perdita dell’etica e il trasformismo ne La cronaca degli insetti umani e in I.L.. Opere spesso pensate per età e pubblici differenti. Così la vocazione ambientalista dell’autore parla sia attraverso gli animali della foresta africana (Kimba, il leone bianco) sia tramite i protagonisti tragicamente umani e contemporanei di MW.

Solo una piccola parte delle opere di Tezuka, la cui pubblicazione è tardivamente iniziata nel nostro Paese a partire dalla fine degli anni Novanta, è conosciuta fuori dal Giappone. Fra quelle che maggiormente attirarono l’attenzione c’è sicuramente La storia dei tre Adolf, uno dei drammi più cupi e realistici dell’autore. Una delle storie a fumetti che maggiormente contribuirono, anche da noi – al pari di Maus di Art Spiegelman – a costruire la percezione che il fumetto potesse essere una forma narrativa “alta” e complessa, capace di affrontare, senza paura di confronti, tematiche mature e scenari controversi.

Commedia, horror, fantascienza, racconto di formazione, dramma: forse la conquista più grande di Tezuka è stata quella di riuscire ad affermare che il fumetto potesse raccontare ogni genere di storia utilizzando ogni possibile registro, rivolgendosi alla totalità della platea dei lettori, portando quindi questo medium sullo stesso livello di riconoscimento ufficiale dedicato alla letteratura, al cinema e al teatro.

Osamushi
Tezuka nasce da una famiglia di avvocati, medici e militari, il 3 novembre 1928 a Toyonaka, nella prefettura di Osaka. Precocissimo disegnatore e ideatore di storie, il giovane Osamu trascorrerà un’infanzia e un’adolescenza perlopiù felici, anche se attraversate dallo spettro della guerra imminente e, successivamente, dall’occupazione alleata. La famiglia Tezuka è fautrice di un’educazione rigida ma, al tempo stesso, sostiene le passioni del figlio, permettendogli di coltivarle e di crescere a contatto con stimoli culturali diversi, dai classici giapponesi ai grandi della letteratura Occidentale, fino ai film americani.

Uno yonkoma di Tezuka

Poco dopo aver iniziato l’apprendistato per diventare medico, a nemmeno diciotto anni, pubblica la sua prima opera, Il diario di Ma-Chan (1946), una serie di yonkoma (racconto umoristico composto da quattro vignette verticali) che racconta le avventure quotidiane del bambino che dà il nome al manga.

L’anno successivo è quello della svolta. Viene pubblicato in volume La nuova isola del tesoro (1947). Come unanimemente riconosciuto, nasce il manga moderno, quello che verrà definito story manga, per distinguerlo dai manga a gag in cui si identificava la quasi totalità della produzione precedente.

Basato su una storia di Shichima Sakai, molto liberamente ispirata al famoso e quasi omonimo romanzo di Robert Louis Stevenson, La nuova isola del tesoro è una vera opera spartiacque. Oggi verrebbe da definirla come il primo graphic novel giapponese, ma, al di là della sua compattezza narrativa e della forma lunga che la caratterizza, sono le innovazioni stilistiche a decretarne l’enorme successo (con 400.000 copie vendute). Rispetto alla stragrande maggioranza dei manga precedenti l’occhio da appassionato di cinema e da futuro regista di Tezuka è evidente. Il punto di vista cambia di frequente, e le tavole, pur mantenendo un layout classico, sono quanto di più dinamico visto fino a quel momento: carrellate, alternanza di piani, zoom in e zoom out frequenti. La freschezza della sequenza di apertura rappresenta il miglior biglietto da visita di quest’opera.

Tezuka non è il primo, come spesso anche da lui riconosciuto, a utilizzare queste tecniche che, in opposizione a un uso statico e teatrale dei piani e dei punti vista, chiamiamo cinematografiche, ma eleva questo stile di racconto dinamico a vette che non sono state ancora raggiunte.

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La copertina de La nuova isola del tesoro dall’edizione di Rizzoli Lizard

La nuova isola del tesoro rappresenta il più influente e importante manga del secondo dopoguerra, sancendo il boom degli akahon, volumi di scarso pregio rivolti prevalentemente ai ragazzi che esistono già dal periodo Edo. Dalle brevi gag umoristiche e dalle vignette satiriche il manga ha intrapreso il cammino che lo porterà, tramite la differenziazione dei generi, dei formati editoriali e narrativi e degli stili, a poter raccontare qualsiasi cosa in qualsiasi modo. Il successo di Tezuka e di altri autori dà il via alla moderna industria del fumetto in Giappone.

Dopo La nuova isola del tesoro Osamushi, come i suoi fan affezionati iniziano a chiamarlo, diventa il golden boy del settore. Spinto da quella frenesia artistica che lo accompagnerà per tutta la vita Tezuka pubblicherà, dal 1947 al 1950, diversi altri manga, esplorando i generi, dal fantasy alla fantascienza, spedendo i suoi protagonisti indietro nel tempo, al centro della Terra, nel Far West. 

È però nel 1950 che arriva la seconda grande svolta nella carriera di Tezuka. Jungle Taitei (Jungle Emperor – da noi più conosciuto come Kimba, il leone bianco), è probabilmente la serie a fumetti più famosa del mangaka dopo Astro Boy. Concepito come una sorta di risposta all’adorato Bambi, Kimba racconta di un leone albino rimasto orfano che, cresciuto fra gli umani e successivamente riconquistato il suo ruolo di “Imperatore della giungla” cerca di instaurare un regno dove i deboli non debbano soccombere ai forti.

Una tavola da Kimba, il leone bianco

Kimba, che ha avuto occasione di conoscere i due mondi, quello degli umani e quello degli animali – cioè quello “tecnologico” e quello “naturale” – si offre come mediatore tra i due estremi, fra la brutalità della savana e il materialistico cinismo degli esseri umani. Concepito come una favola per bambini, Kimba però si offre a molteplici livelli di lettura. Se qualcuno, leggendo questo breve sunto, avesse ravvisato qualche somiglianza con il successivo Re Leone della Disney si rassicuri: non è stato certo il primo (ne abbiamo parlato qui).

A soli 22 anni Tezuka è ormai così famoso che, subissato dalle richieste di consigli, pubblica Manga Daikaku (Manga College, 1950), probabilmente il primo manuale per aspiranti mangaka. 

Arriva Astro Boy
Tetsuwan Atomu (letteralmente “Atom dal braccio di ferro”) conosciuto fuori dal Giappone come Astro Boy, è sicuramente il personaggio più iconico della produzione di Tezuka. Questo robot atomico dal cuore d’oro fa la sua prima comparsa in Atom l’ambasciatore (1951), una storia di convivenza fra umani e alieni (provenienti da una Terra parallela) in cui si può ravvisare una metafora di un’altra difficile coabitazione: quella fra giapponesi occupati e alleati occupanti. Il successo di Atom fra i più giovani convince però Tezuka a farne il protagonista di una serie tutta sua.

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La grande avventura di Astro Boy, di Osamu Tezuka, volume antologico edito da J-Pop

Astro Boy inizia con la storia di un lutto. Tobio, figlio adorato del Dottor Tenma (direttore del Ministero della Scienza) muore in un incidente stradale. Incapace di reagire alla tragedia, Tenma costruisce un robot con le sembianze del figlio: nasce così Atom/Astro Boy. Inizialmente le cose sembrano funzionare, ma ben presto Tenma si rende conto che Atom non potrà mai essere davvero come Tobio. Lo vende così a un circo, dove sarà costretto ad esibirsi come attrazione. Per sua fortuna, di lì a poco, verrà salvato dal nuovo direttore del Ministero della Scienza, il Dottor Ochanomizu, difensore dei diritti dei robot.

Ochanomizu crea quindi per Atom una famiglia artificiale. Atom vivrà così una doppia vita: da bambino “normale” e da giustiziere votato alla causa dell’uguaglianza fra umani e robot. Questi ultimi sono costretti a fare i lavori più umili, vengono maltrattati, sono senza diritti: la metafora antirazzista è lampante. Così com’è evidente l’influenza che quest’opera avrà, anni dopo, nella realizzazione di A.I. Artificial Intelligence di Steven Spielberg. Entrambi i giovani protagonisti delle due opere hanno, comunque la si pensi, un antenato in comune: il collodiano Pinocchio, il burattino che voleva essere un bambino.

Non il primo robot della storia del fumetto giapponese, Atom si impone per via del conflitto che lo definisce: un robot che non è riconosciuto come umano ma che è programmato come tale e quindi si rivela essere più pietoso degli uomini. Le questioni etiche che, sullo sfondo di avventure mirabolanti, vengono poste al lettore, non sono di poco conto.

Astro Boy è dunque uno dei tipici personaggi duali di Osamu Tezuka: come Kimba, aspira all’umanità, con il risultato di essere spesso fuori posto in ognuno dei due mondi cui appartiene. Osteggiato dagli umani è spesso combattuto anche da altri robot, i quali preferirebbero metodi meno pacifici per appianare le diseguaglianze.

Il contesto in cui nasce Astro Boy è chiaro: la guerra è finita da pochi anni. Il Giappone sta cercando di risollevarsi e pare che l’impresa sia destinata al successo: la vocazione tecnologica della nazione, seppur ancora in nuce, è chiara. Il nome Atom è un chiaro messaggio di speranza. Se l’energia atomica era stata usata come implacabile forza distruttrice, magari in futuro sarebbe stata imbrigliata per scopi pacifici. Il mondo del futuro architettato da Tezuka, siamo nel 2003, pur presentando elementi di slancio positivistico, come visto, però è ben lontano dall’essere un’utopia.

Una tavola da La grande avventura di Astro Boy

Astro Boy non nasce dal nulla. Il design dei personaggi è chiaramente ispirato a quello dell’animazione seriale americana degli anni Trenta e Quaranta (Disney, ma non solo) mentre il look del robottino, con i suoi caratteristici capelli a punta, ricorda da vicino il Topolino a fumetti di Gottfredson, specie quando i due sono rappresentati di tre quarti. Eppure, la messa in scena grafica, gli audaci layout, l’utilizzo delle linee cinetiche, sono tutti elementi frutto dell’abilità e dell’inventiva dell’autore.

Forte dell’importante successo di Astro Boy, e del buon successo riscosso dal lungometraggio Saiyuki (conosciuto in Italia come Le 13 fatiche di Ercolino), a sua volta tratto da un manga dello stesso Tezuka, l’autore fonda una propria casa di produzione, la Mushi Production (già Tezuka Osamu Productions Doga-bu). Dopo aver realizzato degli ottimi mediometraggi sperimentali, decide di produrre e in parte dirigere una serie TV in bianco e nero sul suo eroe di punta.

Come universalmente riconosciuto, nel 1963, con la messa in onda del primo episodio (di 193) della serie televisiva animata in bianco e nero di Tetsuwan Atom nasce l’industria moderna degli anime. Fin dal primo episodio la serie è un enorme successo in patria, dà vita a innumerevoli prodotti dedicati al personaggio e, nello stesso anno, inizia la trasmissione della stessa negli Stati Uniti, primo cartone animato nipponico a varcare l’Oceano.

La volontà di controllo di Tezuka, nel contesto di una produzione di stampo industriale come quella degli anime, considerati anche i suoi altri lavori come mangaka e la fondazione di una rivista, COM, deve essere necessariamente frustrata. La serie animata in parte fagocita quella a fumetti e, forse, Tezuka non si riconosce più in quel personaggio che ha creato e che ha assunto una caratterizzazione eccessivamente eroica e meno conflittuale, soprattutto per ciò che riguarda il tema per lui portante, cioè la convivenza fra uomini e robot.

Nell’ultimo episodio della serie TV (31 dicembre del 1966) Atom si getta nel Sole per salvare la Terra. Immediatamente (gennaio 1967) Tezuka riprende in mano Atom e comincia a pubblicare brevi storie che riprendono il filo da dove la serie si era interrotta. Nella prima pubblicazione sul quotidiano Sankei Shinbun ritroviamo così Atom salvato dalla distruzione e accolto su un’astronave di cavallette senzienti. Scara, la moglie del suo soccorritore, gli manifesta il desiderio di vivere sulla Terra, dove i due si recheranno.

Per la raccolta in volume di questo ciclo di storie (1969) lo stesso Tezuka modificherà ancora questo preambolo. Atom è, quindi, nell’anno 2017, di nuovo sul suo pianeta di origine dove, accidentalmente, viene coinvolto nell’esplosione del razzo di Scara. Un universo alternativo? Un diverso piano temporale? Probabilmente non importa. È un nuovo inizio, uno dei molti che Atom affronterà nella sua lunga e inconclusa carriera.

Tezuka non abbandonerà mai il personaggio più iconico della sua produzione, riprendendolo in maniera più o meno sporadica fino alla fine degli anni Ottanta e creandone persino una parodia, Atom Cat (A Tom Cat, 1986-87).

Dopo l’enorme successo di Astro Boy, la carriera di Osamu Tezuka proseguirà fra alti e bassi (quasi mai dal punto di vista della qualità), ma sarà nei decenni successivi che produrrà i suoi capolavori. Ridurre la sua figura a quella di Atom, ancora così famoso in patria da essere stato legalmente registrato come cittadino giapponese ed essere stato nominato ambasciatore ufficiale della cultura del Giappone nel mondo, è riduttivo se non addirittura ingiusto. Eppure il potere iconico di questo robottino con i capelli a punta, la sua profonda umanità, i mai banali conflitti che la sua duplice natura ha veicolato, lo rendono una delle icone immortali del Novecento e oltre.Questo articolo è originariamente apparso su Lunus di ottobre 2019, e qui adattato per la ripubblicazione.

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