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Alessandro Tota: «Mi ricordo Canicola»

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In occasione del quindicesimo anniversario di attività di Canicola Edizioni, dopo un’intervista ai responsabili della casa editrice, pubblichiamo un testo del fumettista Alessandro Tota (autore di Estate, Charles, Il ladro di libri, Fratelli) che ripercorre, da un punto di vista personale, i primi anni di attività del gruppo di autori che animarono i primi passi di questa originale e seminale esperienza editoriale.


*di Alessandro Tota

Bologna, inizio anni Duemila. Sono appena arrivato da Bari: alto, magro, diciannovenne. Sono di un’ingenuità disarmante e voglio fare fumetti. Mi iscrivo all’Accademia di Belle Arti, imbratto tele giganti con chili di acrilico e ducotone, studio storia dell’arte, cazzeggio selvaggiamente, e dopo un anno mi ritrovo in una profonda crisi: sono completamente smarrito e ho dimenticato cosa fossi venuto a fare a Bologna.

Poi, la svolta: l’associazione Hamelin indice un concorso di fumetto per studenti dell’Accademia. Faccio un fumetto bruttissimo, che credo essere un capolavoro. Nessuno mi si incula, ma se non altro mi serve a ricordare qual era la mia missione: fare fumetti!

Al diavolo la pittura. Butto tele e pennelli e mi rimetto a macinar pagine. L’anno dopo ci riprovo, la qualità del mio lavoro ha avuto un miglioramento notevole, arrivo terzo. Classificati davanti a me, un ragazzo e una ragazza. Entrambi bassi. È la congiura dei bassi: sono Michelangelo Setola e Amanda Vähämäki. Tempo qualche settimana e un nordico nasuto e un siciliano discreto ci coinvolgeranno in un progetto di rivista/collettivo/famiglia: sarà la nascita di Canicola.

Una tavola di Alessandro Tota da Canicola 2

Mi sono sempre chiesto fino a che punto il mio lavoro si integrasse con quello degli altri autori di Canicola. Venivo da un’altra cultura, quella del fumetto underground di Crumb, della scrittura di Lauzier, e dal modello narcisistico-poetico di Pazienza. Inoltre, mentre gli altri erano già maturi al primo numero, io avrei trovato la mia dimensione di autore solo molto più tardi, con i fumetti autobiografici che avrei cominciato a fare una volta trasferitomi in Francia.

Gli altri disegnatori della rivista venivano da esperienze diverse e andavano altrove, si rivolgevano dall’intimismo, alla sperimentazione, al realismo fantastico, al realismo tout court… Mi sono trovato in Canicola perché operavo nella stessa area geografica, la Bologna dell’inizio degli anni Duemila, perché ero un giovane autore in crescita, sinceramente ossessionato dal fumetto, di buon carattere, un po’ mattacchione, e ci stavo bene nel gruppo, smorzavo l’atmosfera, perché non dovete dimenticare che Canicola non era un gruppo di professionisti del fumetto che si riunivano per discutere sobriamente bevendo il tè, ma un misto di percorsi diversissimi e di caratteri parecchio difficili da gestire, un miscuglio piuttosto esplosivo.

C’erano un paio tra di noi che motivavano gli altri e guidavano il gruppo, Andrea Bruno e Edo Chieregato, che erano all’origine del progetto, ma eravamo un manipolo di persone che facevano questa cosa per necessità esistenziale, per il piacere di farlo, con livelli di consapevolezza diversi. Come dei ragazzi che si mettono insieme e fanno un gruppo musicale, anche se poi litigano sempre, si scannano, si mandano delle mail deliranti, si insultano, vanno a suonare in locali sgangherati e i concerti finiscono male perché si è bevuto troppo… fino al momento fatidico in cui l’esperienza si chiude, il gruppo si scioglie, e ti guardi indietro domandandoti: «Ma è successo davvero?».

Una tavola di Alessandro Tota da Canicola 4

Qualche parola sui miei compagni di avventure: Amanda e Michelangelo erano due ragazzi prodigio, miei coetanei, quindi poco più che ventenni, già maturi all’esordio, e contribuirono a imporre la matita come tecnica per il fumetto indipendente, e infatti furono tradotti dappertutto – Stati Uniti compresi – e molto copiati.

Giacomo Monti lavorava in Autogrill. Non lo capivo, né lui né i suoi fumetti. Adesso li considero esempi di storie brevi tra i migliori del fumetto italiano, bastano da sole a rappresentare una stagione del paese, e non solo fumettistica.

Giacomo Nanni dava tantissimo al tono generale del progetto, sperimentava senza sosta, e da lì a poco avrebbe pubblicato il suo primo libro, Storia di uno che andò in cerca della paura, che lessi in casa mia a Bologna in versione fotocopiata, restando senza parole.

Poi c’era Andrea Bruno che era per me già un classico, leggevo i suoi fumetti quando ero al liceo. Lo consideravo un grande autore e non ho cambiato idea, molto del tono generale della rivista derivava da lui, era un po’ la colonna portante.

Infine c’era Davide Catania, che era un po’ il bassista, con il suo lavoro dava la pulsazione giusta che amalgamava il tutto.

Questi i disegnatori.

Poi c’erano, alla panchina di fronte, Edo e Liliana.

Liliana parlava poco ma era Santa, «Santa Liliana!» esclamavo quando si parlava di lei. Quando arrivava ti sorrideva ed eri mondato da tutte le porcherie che avevi fatto. Edo era come Belzebù, conosceva tutti i peccati e tutti i peccatori, e voleva far sprofondare anche te nel girone infernale del fumetto, dove i diavoli ti avrebbero infilzato il culo con le Matitone di Satana. La sua tecnica consisteva nel parlare fino a confonderti, poi tu avresti detto «siiì» a qualunque cosa. Mi ha infinocchiato proprio l’altro giorno con la sua vecchia tecnica… ci casco ancora dopo 15 anni, che sega che sono.

Il momento clou di Canicola erano le Riunioni. Le riunioni, che col tempo sarebbero state rimpiazzate dagli infernali Giri di mail.

Le riunioni si svolgevano ai Giardini di San Leonardo, col caldo o col freddo. Non ricordo assolutamente niente di quello che si diceva, ma posso asserire con relativa certezza le seguenti verità: Edo teneva banco e parlava moltissimo. Andrea interveniva con appunti sintetici, sensati e pragmatici. Io ogni tanto parlavo ma sicuramente non dicevo cose sensate. Michi parlava solo se interrogato. Amanda non parlava neanche se interrogata. Monti a un certo punto se ne doveva sempre andare. Davide parlava poco ma aveva le idee chiare e le cartine. Nanni parlava e aveva il tabacco. Liliana era santa. Dopo le riunioni si andava a mangiare la pizza in via Centotrecento.

Alessandro Tota Canicola
Il brainstorming per decidere il nome durante le prime riunioni.

Dopo un anno di riunioni e un certo numero di fanzine, venne fuori il numero uno della rivista, con la copertina di Giacomo Nanni e la grafica di Andrea. A quel punto passammo alla modalità Giri di mail. Le mail di Edo erano lunghissime, per rispondere ci volevano ore. Io rispondevo sempre a tutti i punti, e penso che niente di quello che dicevo abbia mai influito minimamente sulle scelte del gruppo. In ogni caso le cose degeneravano in fretta, tempo di due o tre botta e risposta e ci si mandava a fanculo. Se dal vivo ci si trattiene, perché si è di fronte alle persone in carne ed ossa, nelle mail no, si obbedisce agli istinti più bestiali. Erano insulti continui, gli scambi più saporiti erano quelli tra Edo e Nanni, ma anche l’insospettabile Amanda poteva darci dentro. Ogni tanto cercavo di mediare. Monti non aveva tempo per rispondere perché se ne doveva andare. Davide penso che nemmeno le leggesse, le mail.

Con l’uscita del primo numero, e per via delle traduzioni in inglese che conteneva, cominciarono a invitarci all’estero, e viaggiamo un bel po’ in quel periodo. Andrea che era già un veterano, mi annunciò «Questo è un campo in un cui non si guadagna una lira, però se non altro si viaggia parecchio». La cosa mi sembrò splendida, io conoscevo solo Bari e Bologna, qualunque posto che non cominciasse con la B per me era il massimo.

Siccome all’epoca ero giovane e sconvolto, non ho ricordi precisissimi, e sono incapace di ricostruire l’ordine cronologico di alcunché. Salterò quindi di palo in frasca.

Ricordo il nostro primo banchetto a un festival dove, probabilmente ubriaco, stavo spiegando ai miei compagni la verità sul fumetto italiano, liquidando tutti i maestri viventi o morenti a suon di insulti. Ne avevo per tutti: Pratt, Battaglia, Micheluzzi… tutta gente che naturalmente adoro, ma che in quel momento mi appariva come la quintessenza del vecchiume. Con Pratt ci andai giù pesante, e Nanni, per prendermi per i fondelli, tornati al nostro banchetto scrisse grande su un foglio: «Pratt non è paragonabile a niente se non a un mucchio di… firmato: Alessandro Tota». Per orgoglio demente non cancellai la frase, e Giuseppe Palumbo, di passaggio, mi prese in giro aggiungendo sullo stesso foglio la scritta «…e Palumbo, allora?». Uscì anche un articolo su Cuore, in cui mi si dava (a ragione) del coglione, ma io ero giovane e p-p-punk e feci così il mio ingresso nel mondo del fumetto. Adesso mi pagano per fare conferenze sulla storia del fumetto italiano nelle università, ma evito di raccontare questo aneddoto di fronte alle platee svizzere e francesi.

Ricordo una volta a Stoccolma che Edo mi sfidò a imbucarmi a una festa e io vinsi riuscendo a farci salire tutti. Ma poi la festa era una loffata, ci impossessammo del dj set, stravolgendo la programmazione, sperando di farci cacciare per avere un finale memorabile. Ma erano tutti gentilissimi, e continuavano a sorriderci, per cui ce ne tornammo in albergo un po’ mogi.

Una notte a Helsinki finimmo nel bar di Kaurismäki a giocare a biliardo, ma né il grande regista ne il suo attore Matti Pellonpää si manifestarono, con nostro grande disappunto.

Una notte, sempre a Helsinki, un cantante ciccionissimo vestito soltanto di mutande di cuoio e due cinghie che gli fasciavano la panza e le menne si esibiva dimenandosi e schizzando sudore dappertutto, e io non so perché in quel bar ero solo ed aspettavo gli altri e temevo che il ciccione mi prendesse a cinghiate.

Una mattina dovevamo partire per Lucerna, io avevo passato la notte in bianco a disegnare un fumetto western per un concorso, e quel che è peggio non ero potuto andare al Covo al concerto di Micah P. Hinson, che invece tutti gli altri erano andati a vedersi. Quando arrivai alla macchina al mattino, completamente sfatto, Edo profetizzò «Tu hai la stoffa per diventare un fumettista». A quel concorso arrivai ultimo.

Michi aveva la macchina e ci portava sempre in giro, e in macchina ascoltavamo: Micah P. Hinson, Modest Mouse, Archive e la colonna sonora di Dead Man di Neil Young.

Una volta (molte volte) che Amanda faceva la dog sitter, e ci sedevamo sui gradini della chiesa, lasciando i cani ad annusarsi il culo, fumando sigarette scroccate e poi andando a bere alla latteria con gli inquilini di Amanda che lasciavano commenti anonimi sul mio blog (lo scoprii anni loro che erano loro).

Alessandro Tota Canicola
Il design del logo realizzato da Giacomo Nanni

Che quando uscì Canicola 1, morì mio padre, e io dopo il funerale andai a Napoli Comicon per il lancio, e parlai con Monti, e poi sul treno di ritorno parlai con Edo e mi fece un gran bene, ed ero un ragazzino e tutti mi volevano bene.

Che tutti si interessavano al lavoro di Amanda e Michi e non al mio, e io ci stavo male, ma poi ho capito che era giusto così.

Che una volta, parlando con una ragazza che cercavo di sedurre a Parigi le dissi «ho fondato un giornale, si chiama Canicola» e lei si convinse che io fossi ricchissimo perché avevo fondato un giornale! Ma a nulla valse, vano fu il tutto e non rimorchiai.

Che quando vincemmo il premio BD Alternative al festival di Angoulême, che allora aveva ancora l’orrido titolo di Prix Fanzine, andammo a ritirarlo io e Michelangelo, ed eravamo uno alto alto e uno basso basso parevamo Gianni e Pinotto e dissi «merci! … c’est tout ce que je peut dire sans faire des erreurs» e tutti applaudirono.

Che una volta venne Amanda a trovarmi a Parigi con Paulina Makela e finimmo a bere su dei giochi per bambini e io amavo queste ragazze finlandesi.

Che Edo mi portò a montare una mostra di Bacilieri/De Luca e conobbi il mio idolo, Paolo Bacilieri, che adesso siamo amici pur essendo lui rimasto uno dei miei autori preferiti e mi fece un disegno bellissimo che persi anni dopo in un trasloco.

Che una volta Andrea Bruno e Davide Catania mi volevano spiegare che i Joy Division erano più grandi dei Beatles e io pensai che fossero pazzi.

Che Edo metteva la liquirizia nella grappa e quando andavo da lui mi faceva sempre da mangiare la pasta con le alici e poi bevevamo questa grappa buonissima senza cagarci addosso come senz’altro succederebbe adesso che siamo vecchi e il cagotto ci sorprende a ogni superalcolico.

Che conoscemmo Gipi quando non se lo filava nessuno, ed era già un eroe, ma non per i fumetti, ma per le canzoni che aveva registrato e che ascoltavamo sempre a casa di Michi, e andammo a mangiare la pizza con lui in via Centrotrecento, e io pensai «che tipo questo Gipi, chissà come sono i fumetti che fa!»

Che io suonavo la chitarra e a Bologna ero più famoso come cantautore punk che non come fumettista e una sera a casa di Marina Pierri seduto su un materasso a terra improvvisai un sacco di pezzi tra cui uno su Liliana Cupido in cui il mondo finiva e si salvava solo Liliana.

Che Edo ascoltava sempre il disco di Fabio Viscogliosi Quasi nello spazio, e adesso Fabio lo conosco ed è pure simpatico.

Che una volta ad Angoulême conoscemmo Alvin Buenaventura che ci riempì di regali.

Che una volta i tipi della casa editrice belga Frémok mi scambiarono per Michelangelo Setola! Mi portarono in giro, e parlavano, parlavano, mi intortarono per ore, offrendomi da bere, dandomi sigarette, si arrivò a prendere accordi per pubblicare le mie opere (di Setola!). Io all’inizio non capii che si erano sbagliati, e vissi un momento di vera gloria come mai più ne ho avuti. Solo dopo un po’, mi resi conto che c’era qualcosa che non andava, parlavano del mio intimismo, del mio uso della matita… ma quale intimismo, ma quale matita? Per vendetta mi guardai bene dal dirlo, e restai al bar fino a tardi. Quando il giorno dopo si accorsero dell’errore, non mi rivolsero’ più la parola.

Dall’albo Il genio di Alessandro Tota

Insomma potrei andare avanti per ora… Preferisco i ricordi alle analisi. Dirò semplicemente che a me sembra che Canicola abbia espresso qualcosa di forte, che sia una delle ultime volte in cui un gruppo di autori italiani si è posto in dialogo con lo zeitgeist internazionale, e non si è impelagato nel provincialismo e nella sfiga nostrane.

Negli anni, con i traslochi, i figli e tutto il resto il gruppo iniziale si è smembrato, Edo e Liliana hanno trasformato il collettivo in una casa editrice, con Andrea Bruno e Setola sempre vicinissimi, con nuovi splendidi arrivi, tra cui basterà citare il magnifico Vincenzo Filosa come garante per tutti gli altri. Canicola è attualmente una delle migliori casa editrici d’Europa, con un catalogo intelligente e coraggioso, che non vuol dire che tutti i libri mi piacciano, vuol dire che esprimono un pensiero, un discorso: con la collana degli albettoni, con gli spillati per gli esordienti, con la ristampa di Tsuge, con i progetti per bambini…

Quindi, da domani comprate un libro di Canicola al mese, ed Edo farà arrivare anche a casa vostra le Matitone di Satana.

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