Quando diventa racconto la fantasia segue regole ferree, per rendere abitabile un mondo altrimenti impossibile. C’è un metodo e soprattutto una coerenza anche nella follia. E questo metodo e questa follia seguono poi scelte stilistiche e di tono che segnano la capacità della storia di reggersi in piedi e di convincere. Hellboy, nonostante la natura soprannaturale del personaggio, non fa eccezione. Anzi, conferma appieno questa idea.
Per questo il giudizio non è completamente positivo. Hellboy è un bel film, tecnicamente ben fatto, forse troppo splatter (però ci sta) ma nobilitato con due presenze attoriali notevolissime (il protagonista, perfetto, David Harbour, e una clamorosa Milla Jovovich nella parte della strega cattiva) e con un difetto enorme. Perde la gravitas, quell’accento di durezza, nero, demoniaco, fatto di sofferenza, che fa da contraltare al disincantato tono del ragazzo dell’inferno, il vero mostro.
Hellboy è una narrazione che si è sempre retta su una linea sottile, tracciata di volta in volta sulla sabbia: comico, ridicolo, slapstick, esagerato (qualcuno ha detto: gargantuesco?), ma anche denso, drammatico, graffiante, gotico. Dopotutto è (anche) l’incarnazione di una serie di miti e di storie che riguardano l’infanzia e – in modo politicamente molto scorretto – la toccano ancora. Storie di bambini rapiti, bambini abbandonati, bambini ritrovati, bambini persi, bambini orrendamente macellati e mangiati. Baba Yaba, insomma. Ma anche lo stesso Hellboy.
Il dramma dipinge quella che è una profonda ansia, una paura di essere persi e di perdere le figure centrali, l’affetto e l’amore della propria infanzia. La paura di scoprire che il proprio destino è in realtà misero e orribile.
Hellboy è tutto questo oltre che fumetto, eroismo, un cuore molto più grande del cervello, e un quintale – anzi una tonnellata – di ossa di nemici tritati e tanto tanto splatter.
La regia è precisa e veloce, il tono scivola rapidamente nella farsa anziché nell’orrore e nel paranormale. Tutto torna, ma una delle anime si è persa: quella più gotica e nera, che rendeva Hellboy una storia molto particolare. Vedremo se nell’immancabile sequel verrà ritrovata. Intanto il film vale la visione non fosse altro che per la Jovovich e per un paio di scontri fulminanti. Ah, e poi per Hellboy, personaggio che in realtà è perfetto. Anche se non è quello di Guillermo Del Toro ma “solo” di Neil Marshall, talentuoso ma discontinuo regista e sceneggiatore horror.
La grande ambizione del progetto, però, è quella di fare il reboot del fumetto creato all’inizio degli anni Novanta dal veterano Mike Mignola per Dark Horse. E, nonostante l’impostazione sia diventata quella di un fumetto – e quindi di un film – di supereroi, in realtà Hellboy è sempre stato pensato come un fumetto d’autore.
È in questa sottile differenza, in questo spazio limitato, che si gioca la partita di Hellboy come prodotto editoriale. Un fumetto d’autore che cavalca gli stili e le passioni del fumetto supereroistico e che crea un universo coerente ma differente da quello tradizionale, plasticato e disincantato dei supereroi tradizionali. La poca accelerazione in questa area porta il film appena sopra la sufficienza, ma lontano da quei traguardi molto poi elevati ai quali questi personaggi e questa produzione avrebbero potuto ambire. Come abbiamo detto, vedremo il sequel (se ci sarà).
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