Monkey Punch, nome d’arte di Kazuhiko Katō, scomparso lo scorso 11 aprile, è noto ai più per essere stato il creatore di Lupin III. Una serie storica, dall’impatto devastante, con un dedalo di personaggi che hanno abbracciato e attraversato intere generazioni.

Il suo lavoro è stato inevitabilmente condizionato dalla fama raggiunta dalla sua creatura più nota, eclissando quasi definitivamente tutto il resto. E dire che intraprese la carriera di mangaka quasi per caso, spinto dal direttore dell’ospedale in cui lavorava come radiologo.

Come tanti altri colleghi in quel periodo, iniziò scrivendo e disegnando manga a sfondo erotico come Fukushu e Kaidan Yaro (1964), Playboy Nyumon (Come diventare un playboy, 1965). Successivamente creò la serie Pinky Punky in cui una donna avvenente si scontra con il suo nemico, uno scienziato pervertito. Una storia che nella sua ingenuità, contiene i semi che saranno gli elementi essenziali della sua carriera: gag, scontri epici, personaggi divertenti e un pizzico di malinconia.

lupin monkey punch

Dopo vari titoli, inizia a serializzare nel 1967 Lupin III: i tempi sono maturi affinché il personaggio si sintonizzi alla perfezione con i gusti del pubblico ma non solo. Lupin, grazie alla sua stravaganza, ai personaggi di contorno altrettanto forti nella caratterizzazione, è diventato icona popolare.

La bravura di Monkey Punch è stata quella di creare situazioni coinvolgenti, facendo confluire nella narrazione elementi assai diversi fra loro, ciascuno iconizzato da rispettivi personaggi.

Fujiko è stato il sogno erotico di molti lettori/spettatori per anni, la femme fatale degna dei migliori noir, personaggio amato e odiato eppure fondamentale; i compagni di Lupin, Jigen e Goemon, sono simboli di due culture distanti eppure facilmente conviventi.

Jigen, con il caratteristico cappello, la sigaretta sempre in bocca e l’abilità straordinaria nell’usare la pistola, è un ovvio tributo alla cultura cinematografica e non solo degli Stati Uniti, con particolare riferimento al western e ai cowboy. Jigen ha la stessa disillusione di quei personaggi che hanno popolato il genere da sempre. Goemon, al contrario, è sunto di una cultura più sospesa, riflessiva, orientale, sebbene entrambi conservino una saggezza inaspettata.

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In mezzo c’è Lupin, naturalmente, viveur, folle ma geniale, ottimista e adoratore della vita, in qualche misura tributo alla cultura europea a cui Monkey Punch era molto legato. Infine Zenigata, l’antagonista di Lupin, l’eterna nemesi. Forse in Zenigata si nasconde il segreto più celato del successo di Lupin III: la capacità di dar vita a un personaggio, rivale per eccellenza del protagonista, che è profondamente umano, imperfetto, credibile, una sorta di Fantozzi ante litteram.

La varietà di questi personaggi, unitamente al potenziale coinvolgente della narrazione, ha trasformato la serie in una bomba la cui esplosione avrebbe avuto eco persistenti negli anni. A prescindere dal fatto che, ormai, Monkey Punch collaborasse relativamente ai progetti legati a Lupin, la sua creatura più famosa è stata in grado di attraversare mezzo secolo mantenendo il suo fascino anche nelle generazioni più recenti.

È stata un’opera transmediale, sviluppatasi nel fumetto, nell’animazione, nel cinema dal vivo, nei videogiochi e persino a teatro: non che fosse una novità, in Giappone, dato che l’intreccio fra mercato dei manga e degli anime è alla base dell’effervescente produzione mediatica.

Insomma, per farla breve Lupin non è stato un successo casuale. Se n’era accorto anche Hayao Miyazaki, decidendo di esordire alla regia di un lungometraggio animato (dopo le varie esperienze alla Toei e soprattutto in Conan – il ragazzo del futuro) proprio con Lupin – Il castello di Cagliostro, in cui fece proprie le suggestioni dell’opera di Monkey Punch trasformandole in qualcosa di meraviglioso, pur mantenendone le caratteristiche prime.

Come i Kappa Boys hanno testimoniato sulla loro pagina Facebook, Monkey Punch era una persona squisita, che amava il suo lavoro e che adorava confrontarsi con il suo pubblico, sebbene la sua creatura gli fosse quasi sfuggita di mano, in balia di altre menti e artisti. E infatti rimase schiavo di quel personaggio così mastodontico.

Non che non ci abbia provato: nel corso degli anni Settanta e Ottanta realizzò, in veste di autore, diversi fumetti in cui tentava di elaborare i temi a lui cari, sempre con l’obiettivo di mescolare generi e referenze, sempre facendo sì che Oriente e Occidente convergessero verso un’unica, conciliante visione. Cinderella Boy, Bocchan e soprattutto Senya Ichiya Monogatari, la rivisitazione de Le mille e una notte.

Ma Lupin è stato davvero troppo per far sì che Monkey Punch potesse essere riconosciuto per altro: poco importa, non è da tutti dar vita a un personaggio talmente iconico da rimanere scolpito in maniera indelebile nella storia del fumetto e dell’animazione.

So long, Monkey Punch.  

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