Quando ti diplomi al California Institute of the Arts assieme a Tim Burton e John Lasseter, le tue probabilità di successo sono bassissime. Dopotutto, come ben sapevano i fanti della prima guerra mondiale, il cannone non colpisce mai due volte nello stesso punto. La fortuna non tocca due volte lo stesso gruppo di mortali. Figuriamoci tre.
Invece, nel caso di Brad Bird, ha fatto un’eccezione. L’autore – perché lui è completo: i film li scrive, li dirige, li produce e, volendo, li doppia anche – forse non è prolifico come i due mostri sacri con i quali andava a scuola, ma ogni volta che spara un colpo fa centro. E questo secondo episodio della saga degli Incredibili, arrivato 14 anni dopo il primo, non solo becca il bersaglio: lo spacca anche.
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Bird, classe 1957, ha lavorato alla Disney (da giovanissimo era stato allievo di uno dei nove grandi vecchi degli studios di animazione dello zio Walt, per la precisione di Milt Kahl), ma soprattutto è sbocciato come autore completo prima con i Simpsons (otto stagioni in cui ha avuto un ruolo determinante nel definire la traiettoria dell’opera di Matt Groening) poi con un capolavoro del 1999 troppo spesso sottovalutato, The Iron Giant, e infine alla Pixar.
Qui ha sparigliato prima con Gli Incredibili del 2004, poi con Ratatouille – e ci ha vinto due Oscar, fra le altre cose. Poi ha avviato un gigantesco progetto da 200 milioni di dollari dedicato al terremoto di San Francisco all’inizio del secolo, intitolato 1906, messo poi in ghiacciaia (i timorosi produttori di Hollywood!)
Nel frattempo, prima di tornare alla Pixar, è stato contattato da JJ Abrams su richiesta di Tom Cruise, emozionato dal ritmo e dalla potenza del primo film degli Incredibili, che dopotutto è una parodia proprio dei film di “super eroici agenti potenti”. E qui è nata, in un intrigante sms spedito da Abrams (“Mission?”), il film live action Mission Impossibile – Ghost Protocol (secondo la critica il migliore della serie di Tom Cruise) e poi anche Tomorrowland (con George Clooney) per poi tornante alla animazione con questo secondo capitolo degli Incredibili.
Veniamo al film, distribuito negli USA il 10 luglio – dove ha già incassato oltre 500 milioni di dollari – e in arrivo nelle sale italiane il 19 settembre. Gli Incredibili 2 è un sequel che supera in tutti i modi il primo episodio. Fantastico, teso, spettacolare, ben costruito e con un ritmo serrato. L’atmosfera, che richiama costantemente il mondo dei super eroi, poteva in qualunque momento inciampare negli stereotipi del genere o nell’eccesso di citazioni. Invece è una macchinetta narrativa senza macchia e senza paura.
Chi va al cinema a vedere l’anteprima è, come il vostro cronista, quasi un “cinquantennial”, altro che millennial e figuriamoci poi un bambino. E infatti mi chiedo come possa un bambino diciamo di sette anni sopravvivere a un racconto così denso e ricco, a tratti spaventoso ma sempre giocato su mondi narrativi e visivi coerenti, citazionisti, antichi e profondi. Cosa ci trova? Cosa si porta a casa? Pixar ha sempre lavorato su un doppio registro che poi era un doppio piano: storie per bambini – tagliate chirurgicamente, purtuttavia con la sciabola delle emozioni essenziali, tra il bianco e il nero – ma con un gioco di fioretto e di arzigogoli, battute postmoderne e disincantate che toccano anche i genitori e li convincono che portare i pupi al cinema non sia poi così noioso e faticoso.
Altri hanno fatto di più e forse alla fine creato prodotti fin troppo disincantati, cinici, scoppiettanti di ironie e ammiccamenti: L’era glaciale, Madagascar e via dicendo. Però Pixar ha avuto un suo modo e un suo stile, sia nell’era pre che post Disney. Ma, all’interno di questo, c’è stata anche la spinta autoriale di Brad Bird, che è a sua volta completamente unica. Gli Incredibili sono questa cosa e molto di più.
Perché, a differenza dei miti primordiali di Toy Story e di Alla ricerca di Nemo, oppure di Cars e Planes (e dei loro sequel, alcuni commoventi, altri dimenticabili) Gli Incredibili gioca fin da subito una partita “meta”: citazionismi non solo nelle atmosfere, e questo ci potrebbe anche stare. Ma c’è di più. Perché quello di Bird è un film che rimette in gioco l’identità dei supereroi e lo fa in un momento storico in cui DC, ma soprattutto Marvel, dominano l’immaginario.
E poi, tra un film e l’altro, è successo di tutto. Nei 14 anni che dividono il primo dal secondo capitolo degli Incredibili il genere dei supereroi ha tracimato e, pur senza saltare nessuno squalo, ha raggiunto un’esposizione e una densità di storie dove praticamente non esiste quasi più nessuna combinazione rimasta libera. Come fare un nuovo film che non sia una bieca rifrittura di alcuni miti portanti legati all’idea dei supereroi? Oltretutto con un punto centrale di conflitto, cioè l’accettazione o no dei supereroi come parte della società che è anche la chiave di lettura di praticamente tutti i film e cartoni e fumetti con i supereroi dentro?
Su questo Bird ha lavorato imbastendo una storia netta e pulita, che segue un suo binario plausibile e che ha il sapore incontaminato dell’età d’oro dei comics, liberi dalla complessità nichilista di Marvel e dal cupo furore di quelli DC.
Non voglio spoilerare il film e andare oltre: parlare di DevTech, di Winston Deavor e di sua sorella Evelyn ha come solo e possibile risultato rovinare il piacere della visione di grandi e piccini. Perché vederlo è un piacere e il mio modesto consiglio è di portare la giovane creatura per poter giustificare la visione dell’ennesimo film Pixar senza dover troppo spiegare il proprio amore per le avventure della famiglia Parrs, gli Incredibili.