Martedì 24 aprile è morto all’età di 77 anni il grafico e disegnatore norvegese Terje Brofos, più conosciuto con il nome d’arte di Hariton Pushwagner. Noto nel campo della grafica e delle belle arti, Pushwagner deve la sua fama principalmente al fumetto Soft City.
Realizzato tra il 1969 e il 1975, ma mai pubblicato sino al 2008, Soft City è una storia lisergica e apocalittica sull’alienazione del mondo contemporaneo e sulla rottura prematura dei sogni post-Sessantotto. Il libro è inedito in Italia.
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Nel 2016 Chris Ware, l’autore di Jimmy Corrigan nonché uno dei più importanti fumettisti contemporanei, ha curato l’edizione statunitense di Soft City, pubblicata da New York Reviews Comics, definendolo «un capolavoro assoluto del fumetto».
Pushwagner ebbe una vita piuttosto movimentata, soprattutto in gioventù. Negli anni Cinquanta, dopo essere stato una promessa del tennis frequentò non senza difficoltà la scuola d’arte e design di Oslo. Poi, tra gli anni Sessanta e Settanta, periodo in cui gettò le basi di Soft City, visse di elemosina, fu arrestato, subì un trattamento sanitario obbligatorio in un ospedale psichiatrico in seguito all’uso di LSD e hashish, fuggì da un incendio in un hotel.
Girò il mondo (Europa, Medio Oriente e Stati Uniti) e conobbe lo scrittore Axel Jensen, di cui fu anche molto amico, le cui opere ebbero una grande influenza su di lui, così come il movimento hippie, gli scritti di William Burroughs e quelli del filosofo Georges Ivanovič Gurdjieff. Visse tra Parigi, Londra, Stoccolma, Madeira e New York. L’ex moglie di Pushwagner, Ellen Elisabeth Alstad, ha ricordato quel periodo della loro vita in un’intervista al quotidiano norvegese Dagbladet: «Vivevamo spesso ai confini della fame. Non avevamo soldi o un posto dove vivere. Vivevamo solo per l’arte».
Nel 2010, a settant’anni, Pushwagner aprì la sua galleria personale a Oslo. Tra le sue molte opere ci sono quadri e disegni in cui l’utilizzo dei colori rimanda all’estetica pop.