Era l’aprile 2016 quando su queste pagine recensivamo il primo volume di L Tiers, pubblicato da Shockdom. Non era la prima volta: circa sei mesi prima, quando aveva iniziato a circolare (in una versione leggermente diversa) come autoproduzione, lo avevamo segnalato tra le principali sorprese dell’edizione 2015 di Lucca Comics & Games.
Nonostante alcune incertezze, comprensibili per un’opera prima, questo picchiaduro a fumetti di Walter Baiamonte ci era dunque piaciuto parecchio. Il mix tra la sensibilità pop dell’autore, la colorazione – di qualità stratosferica – il dinamismo e la leggerezza della composizione: tutti ingredienti che avevano dato l’impressione di trovarsi tra le mani qualcosa di davvero legato all’immaginario del nostro presente e non a un rimasticamento di visioni e intuizioni passate. Un traguardo notevole, al cui cospetto i vari difetti dovuti alla poca esperienza – come autore completo – di Baiamonte erano dettagli su cui valeva la pena sorvolare.
Tra pochi giorni Baiamonte inizierà a serializzare online, ogni mercoledì sulle pagine di Fumettologica e sulla pagina Facebook dedicata, il nuovo capitolo di questa trilogia, dove le cose cominciano a farsi davvero serie. L’azione è nonstop, i disegni non sono mai stati così ricchi e aggressivi, mentre la gestione delle meccaniche narrative si è fatta più sicura e consapevole. L’impressione è quella di una messa a fuoco di tutto il progetto e di un deciso passo avanti verso la maturità, senza per questo dimenticare quanto ci aveva conquistato fin dalla prima uscita.
Tornare a farsi sballottare tra le combo dell’Exp Tournament non è mai stato così piacevole. Per questo, in attesa di leggere il nuovo capitolo, troverete qua le prime 9 pagine in anteprima, che potete leggere subito dopo una chiacchierata con l’autore.
Cosa ne dici di ricordare a che punto eravamo rimasti? Come descriveresti l’universo di L Tiers a chi decidesse di saltare a bordo solo ora?
L Tiers è un fumetto che parla di videogiocatori che competono per vincere il torneo di picchiaduro più importante del mondo, esprimendo loro stessi negli scontri ed esponendo lati profondi della loro personalità all’interno dei combattimenti, finendo per fare amicizia e a scontrarsi, dentro e fuori il gioco, spingendosi oltre i propri limiti.
Rispetto al primo, questo nuovo capitolo sembra concentrarsi principalmente sull’azione pura. Perché ti sei dedicato a questo aspetto?
La narrazione aggressiva del secondo volume è stata una conseguenza di una scrittura dell’opera generale composta da molti cliffhanger e rivelazioni inaspettate sul finale: se il secondo volume sarà probabilmente il più selvaggio dal punto di vista dei ritmi narrativi, il terzo tornerà a una narrazione plot heavy (ovviamente con la sua enorme dose di botte).
In questo senso anche tratto e regia paiono essersi fatti più aggressivi. Nella recensione del primo volume non c’ero certo andato leggero e definivo alcune tavole come “al limite dell’amatoriale”. Mi pare che le cose siano cambiate parecchio. Su cosa hai lavorato di più in questi due anni per raggiungere un tale progresso?
Ricordo bene le batoste della tua recensione, di cui faccio vanto ancora oggi. Nonostante non mi ritenessi un disegnatore ma un colorista, l’attenzione di Fumettologica e le tue parole mi hanno spronato a fare di meglio. Come ho già detto spesso: imparare dai propri errori è il mantra e l’insegnamento più prezioso che insegnano i picchiaduro.
Durante questi anni non ho avuto molte occasioni di lavorare con il mio disegno, e mi sono ritrovato a dover posticipare di molto la data di uscita del secondo volume. Quindi ho sfruttato quel ritardo per calibrare il mio stile, “subendo” l’influenza degli amici (Claretti, Catalani, Guarnaccia, Bruni e ovviamente LRNZ), da altri disegnatori che ho colorato in questo periodo, da qualche lavoro sporadico come illustratore per poster di tornei (specialmente il poster realizzato per il Capcom Pro Tour italiano), commissioni per arcade stick e illustrazioni su commissione.
Pensi che senza questo miglioramento saresti stato comunque in grado di gestire meccaniche complesse come quelle della narrazione di un combattimento?
Ne dubito. I combattimenti di L Tiers 2 inseriscono delle dinamiche nuove all’interno dei match, fattori che esigono dal disegnatore la massima chiarezza narrativa grafica.
Una delle cose che mi ha colpito è che questa chiarezza spesso l’hai ottenuta guidando l’occhio del lettore con ogni trucco possibile. Dal layout delle tavole ai colori, passando proprio alla composizione della singola vignetta. Anche se è qualcosa di abituale nei fumetti, portarla a un livello così sfrontato mi pare sia frutto dell’influenza della progettazione dei videogiochi più moderni, dove la guida invisibile del giocatore è uno dei pilastri del game design.
Secondo me buona parte della differenza tra buono e cattivo level design sta nella capacità del disegnatore di indicare immediatamente al giocatore la via per proseguire senza mai essere espliciti. A causa della riduzione esponenziale della capacità di concentrazione, sempre maggiore in questi anni, diventa molto difficile riuscire a mantenere il giocatore coinvolto senza dargli indicazioni precise. Allo stesso tempo, questo fenomeno sta – grazie al cielo – portando a un’inversione di tendenza. A dimostrarlo c’è anche il successo di titoli tipo Dark Souls e il nuovo Zelda, che si fanno forza del fatto che molti giocatori si siano stancati di esser presi per mano continuamente come se non fossero in grado di cavarsela da soli.
Per i fumetti credo sia diverso, diventando quasi una questione di genere: ci sono fumetti che hanno come punto di forza l’atmosfera e la cura per i dettagli e che quindi vengono tendenzialmente affrontati più come un viaggio esplorativo che vuole il suo tempo per essere apprezzato. Credo invece che il genere “picchiaduro a fumetti” si avvicini di più a un’esperienza adrenalinica in stile Half Life che richiede di essere estremamente diretti verso chi legge\gioca, specie quando i combattimenti sono a forte contenuto strategico e con frequenti cambi di registro. Quindi cerco di fare il possibile tramite la composizione delle tavole e focus del colore, in modo da indicare subito al lettore le informazioni importanti per comprendere quello che sta succedendo durante gli scontri.
Il lavoro con i colori è notevole e riesce a rendere L Tiers davvero pop e contemporaneo. Fa piacere leggere qualcosa che non sia un riferimento ad altro o che richiami correnti estetiche passate. Si tratta di una cosa fortemente voluta o è solo una mia impressione?
Questo è sinceramente il complimento più grande che io possa ricevere riguardo il mio lavoro. Credo sia una cosa derivata dalla mia mentalità tendenzialmente proiettata verso il futuro. Non aborro il passato, anzi, come mi ha insegnato il mio maestro (che per motivi di sicurezza chiamerò ZRNL): il passato ci insegna quanto si possa crescere in maniera smisurata grazie ai limiti tecnici che ci costringono a studiare nella ricerca stilistica, e di questo faccio tesoro. Tuttavia non posso concepire la mentalità nostalgica che purtroppo continua ad essere un trend duro a morire. Troppi creativi e fruitori tendono a fossilizzarsi su ciò che amano non riuscendo a uscire dalla propria confort zone e accettare la novità nelle loro vite. Non voglio fare lo stesso errore.
Se dovessi pensare a un nome che per te è già ‘adesso’, e che per altri – noi inclusi – potrebbe essere ‘domani’, chi indicheresti? E perché?
Se dovessi pensare ad un artista attuale sinceramente non saprei rispondere. Goichi Suda era anni avanti nel futuro quando ha realizzato Killer 7, Eric Chahi lo stesso per Another World… Probabilmente Lucas Pope è l’unico che mi venga in che si avvicini a una visione più scollegata dal resto, ma nel suo caso è più una questione di indipendenza che di visione del futuro… È chiaro che il suo lavoro abbia forte influenze dal passato, almeno dal punto di vista grafico. Poi c’è l’evergreen Otomo che, secondo me, ha segretamente inventato la macchina del tempo per poi tornare indietro di 200 anni e cominciare a disegnare Akira.
La questione dell’influenza dei videogame nello storytelling di tutti gli altri linguaggi viene sempre fuori, figurarsi quando si parla di un fumetto che prende il via dai picchiaduro. Il tuo punto di vista sulla questione è facilmente deducibile dalle pagine di L Tiers. Ma se dovessimo chiederti di parlare del lavoro degli altri, sapresti indicare un videogame che ha effettivamente influenzato la narrazione? E un fumetto che abbia assorbito la lezione come si deve?
Questa domanda porta a una risposta forse inaspettata, e cioè: Slam Dunk. Trovo che più che al linguaggio dei videogiochi, L Tiers faccia riferimento al panorama agonistico generale. I picchiaduro sono chiaramente dei videogiochi, ma qualcosa li rende diversi, qualcosa che risiede nella parte più primitiva della competizione 1 vs. 1.
Ci sono svariati esempi di “giocatori di picchiaduro”, e attenzione: non si parla dei giocatori da “ci gioco per un paio di mesetti quando esce e sono il più bravo del mio gruppetto di amici, poi torniamo a platinare l’Uncharted di turno”, ma di “io non riesco a giocare a giochi che non mi mettano faccia a faccia contro un altro essere umano”. E la scelta che fanno questi giocatori deriva da una sensazione in particolare: per quanto possa essere meravigliosa, commovente ed empatica, la cosa più divertente da giocare con gli amici, raramente non è un videogioco 1 vs. 1. Perché ti dà la soddisfazione che si prova a battere un tuo eguale che farà delle scelte non programmate. È per questo che i picchiaduro si avvicinano a una forma d’arte, un po’ come gli sport. Ed è per questo che ritengo che L Tiers (con la sua ovvia dose di strategia JoJoesca a fare da fissante) si avvicini molto agli shonen agonistici, con le tecniche avanzate, i punti di forza, le qualità e le peculiarità dei vari sportivi.
Tra l’altro Slam Dunk era di una profondità devastante. Riesci a immaginarti un L Tiers meno esplosivo, ipercinetico e meno incentrato sull’azione?
In realtà credo che dentro L Tiers sia già nascosta (ma neanche troppo) una narrativa dai temi tradizionali, affrontata con un registro più estremo forse, ma che tuttavia racconta la crescita di protagonisti con forti problemi emotivi. Probabilmente è una cosa ancora impercettibile, ma con i prossimi episodi i lettori avranno modo di capire che l’opera non parla solo di combattimenti e strategia, ma anche dei personaggi al di fuori del gioco.
Eccoci qua: di seguito, le prime 9 pagine del secondo volume di L Tiers: