Ogni settimana su Sunday Page un autore o un critico ci spiega una tavola a cui è particolarmente legato o che lo ha colpito per motivi tecnici, artistici o emotivi. Le coversazioni possono divagare nelle acque aperte del fumetto, ma parte tutto dalla stessa domanda: «Se ora ti chiedessi di indicare una pagina che ami di un fumetto, quale sceglieresti e perché?».
“Notorious” sarebbe l’aggettivo giusto per l’ospite di questa settimana: Mike Diana, artista underground di opere come Angelfuck e Boiled Angel, fumetto che portò alla ribalta l’autore a cause delle accuse di oltraggio alla pubblica decenza. Diana diventerà il primo fumettista americano incarcerato per il proprio lavoro. La sua storia è stata raccontata con abbacinante maestria da Evil Monkey su queste pagine e nel documentario di Frank Hennenlotter (Basket Case) The Trial of Mike Diana.
Questa è Horror of Mixed Torsos, storia breve tratta da Dark Mysteries #13 (agosto 1953) e disegnata da Dick Beck. A cosa si deve la scelta?
Sono nato nello stato di New York, ma la mia famiglia si trasferì in Florida nel 1978. Qualche volta mi capitava di andare ai mercatini delle pulci nel vicinato, a qualche quartiere di distanza da casa mia. A uno di questi mercatini scoprii una pila di adesivi strambissimi. A un’altra trovai un pacco di vecchi fumetti. Quelli a solo dieci centesimi. Erano fumetti di genere funny animal. Non esattamente roba che mi entusiasmava. Compravo i fumetti nuovi all’edicola. Ma non avevo mai visto i fumetti horror pre-comics code e non sapevo nemmeno che esistessero, avevo dieci anni. Quindi mentre pensavo se spendere i miei 25 centesimi per un vecchio fumetto, non sapevo nemmeno il prezzo. Poi un vecchio che viveva lì e che avevo notato seduto nel garage su una sedia a sdraio, mi urla «Prendili. Prendi tutto il pacco e levameli da davanti». Così presi la pila e scappai più in fretta che potessi prima che cambiasse idea.
Una volta a casa, nella privacy della mia cameretta, iniziai a ispezionare la pila. Il cuore accelerò per l’eccitazione quando mi accorsi del fumetto horror alla fine del mucchio. La copertina con i prigionieri e le gambe mutilate (ma sembravano vive) in catene. Ero così trepidante di aprirlo e vedere cosa c’era dentro a questa nuova scoperta.
E cosa hai scoperto?
Quando vidi la copertina per la prima volta fui sconvolto ed entusiasta nel voler guardare dentro. Lo aprii e rimasi scioccato dal fatto che la prima pagina fosse così sanguinolenta e schifosa, e immagino non avessi mai concepito che una cosa del genere potesse anche solo essere disegnata, figurarsi stampata, in un fumetto. Il tizio finisce con l’uccidere una coppia e mischiare i toraci delle vittime, causando il loro ritorno dal mondo dei morti per ottenere vendetta. Puoi immaginare quanto piaccia a un bambino, ma anche adesso, quel tipo di storia senza senso.
La storia ebbe un effetto su di te anche come artista?
Sì, ebbe un effetto sul mio stile. Iniziai a disegnare i miei mostri e le mie storie di violenza. All’epoca disegnavo già da un po’ di tempo. Avevo creato questa spia di nome Povile. Povile la spia si chiamava. E Corky, che era modellato su un tappo di sughero, con degli spilli per braccia e gambe. Questi fumetti non erano affatto violenti. Morivo dalla voglia di leggere più fumetti horror pre-comics code ma avrei dovuto aspettare un altro anno prima di trovare un catalogo di fumetti ordinabili via posta con una sezione horror.
La pagina che hai scelto è davvero un pugno nello stomaco.
Sì, ed è una pagina ben pensata. Iniziare di getto con così tanta violenza è una cosa notevole. I fumetti EC di solito mettevano il pezzo forte nell’ultima pagina. Questa invece, in una sorta di competizione con la EC o forse anche solo facendosi ispirare dai loro titoli horror, supera EC e si spinge nell’estremo. È disegnata bene, si vede che il disegnatore ci ha messo pensiero e passione. Buona parte dei vecchi fumetti horror era spazzatura, disegnata male e scritta peggio. A me piacciono per quello che sono. Ma quando introdussero il comics code uccisero l’intera industria. Riesci a immaginare le città radunate per bruciare fumetti dell’orrore per poter “salvare” i loro bambini, impedendogli di diventare delinquenti?
Come reagirono i tuoi genitori di fronte alla tua passione per il genere?
Non mostrai il fumetto ai miei genitori. Non penso me l’avrebbero requisito ma mi sembrava fosse meglio tenerlo nascosto, credo. Come se fosse così fosse più divertente. Alla fine nel 1982 aprì una fumetteria a Largo e scoprii le ristampe dei fumetti horror della EC. Quelli sì che mi fecero esplodere il cervello perché erano tutto un altro livello di storie e disegni. E poi, grazie a Heavy Metal, nel 1984 ordinai un pacco di fumetti underground dalla Kitchen Sink Press di Denis Kitchen, che poi sarebbe diventato uno dei fondatori del Comic Book Legal Defense Fund. Avevo 14 anni e dovetti firmare una carta in cui dichiaravo che ne avevo 18.
E con i tuoi amici?
Avevo portato alcuni dei miei fumetti a scuola, quando andavo alle superiori, ma le reazioni dei ragazzi furono opposte alle mie. Mi dissero che non avrei dovuto possedere del materiale adulto. Capii che nessuno di loro aveva mai visto niente del genere prima. Dopodiché li tenni per me.
È corretto dire che questa pagina ti ha reso l’artista che sei?
Penso di sì, che abbia segnato il mio futuro come artista, anche nel desiderio di essere estremo e superare quello che avevo disegnato il giorno prima. Il mio ragionamento era che se negli anni Cinquanta disegnavano quella roba e negli anni Sessanta la roba underground allora io negli anni Ottanta avrei dovuto confrontarmi con il livello successivo. Guardai alla mia realtà in Florida, quindi i miei fumetti parlavano di serial killer e religione andata a male, mischiati all’horror malato degli anni Cinquanta. E poi il sesso delle opere underground, di cui ero un fan. Mi piace pensare di essere stato in grado di influenzare gli altri con i miei fumetti dando loro il via libera a disegnare quello che diavolo volessero. È una questione di libertà.
Questa cosa dell’influenza è interessante. Pensi che il tuo stila sia derivativo di quelle letture o solo più vicino alla tua sensibilità?
Ero giovane e in cerca di uno stile quando imitavo i fumetti pre-comics code, anche se non me ne rendevo conto. Quando sei giovane tendi a disegnare in maniera difficile. Poi, crescendo e cercando di affrontare seriamente i fumetti, abbracciai quelle forme semplici. Mi concentrai sull’energia senza gli sfondi ingombranti, non sentivo come necessari tutti quei dettagli o ogni singolo attrezzo da cucina sullo sfondo. Non importava. Io sono stato influenzato da Basil Wolverton e da gente come Roy Tompkins e Bob X. Quelli erano tizi che dicevano, fanculo, disegno questa stronzata folle. Ed erano dieci anni più vecchi di me, però guardavano alle stesse cose a cui guardavo io, gli sticker della Topps e le repliche dei Flintstones in tv.
Uno dei miei primi fumetti pubblicata, Head Stomper, era inserito in un’autopubblicazione horror chiamata Festering Brainsore. Avevo proposto i miei disegni a qualche schifoso magazine horror generalista e ricevetti solo lettere di rifiuto. Ero felice di vedermi pubblicato, in seguito feci un paio di cover per quella fanzine. Comunque, nel numero successivo a quello su cui pubblicarono Head Stomper un lettore scrisse sulla pagina della posta «Trovo Head Stomper davvero disturbante, ha lasciato un cattivo gusto nella mia bocca per giorni, quel tizio diventerà famoso». Era il 1988, un anno dopo il mio diploma di maturità.
Sei stato un modello di paragone per gente come Johnny Ryan e Benjamin Marra. Pensi di aver lasciato in eredità qualcosa a questi artisti?
Spero di averli spinti a cercare nuove direzioni. Molti mi hanno detto che io li ho resi spavaldi e in grado di disegnare qualsiasi cosa. Gene che non conosco. Se vado in una piccola città mi capita che qualcuno dica che li ho aiutati a superare un periodo difficile durante la crescita in questi paesi conservatori e con genitori rigidi. È difficile mettere a parole quanto sono onorato della cosa, non so come sia successo, forse semplicemente perché sono un artista onesto. Disegnavo perché ne avevo bisogno. Anche se nessuno mi guardava, avrei continuato a farlo.
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