Il mondo delle Bédé è in estrema agitazione in questi ultimi giorni a causa di una modifica del loro piano previdenziale che prevede un aumento dei contributi per la pensione complementare obbligatoria. La comunicazione del RAAP, pervenuta per posta e senza alcuna consultazione degli stessi autori, ha destato profonda preoccupazione tra gli interessati, in quanto l’aumento prevede una somma pari all’8% a fronte, invece, di una quota minima di 200 euro, che veniva versata annualmente.
Il Syndicat National des Auteurs et des Compositeurs de Bande Dessinée – il sindacato dei fumettisti – ha indirizzato all’attenzione del ministro della cultura Aurélie Filippetti una lettera aperta, firmata da 750 autori, tra cui si possono leggere i nomi di alcuni Grand Prix D’Angoulême come Gotlib (nonché Cavaliere della Legione d’Onore), Bilal Enki, Jacques Tardi, Baru, Charles Berberian, Philippe Dupuy, Lewis Trondheim, Alfred e autori titolati e premiati come Pénélope Bagieu, Christophe Blain, Yslaire e Joan Sfar.
I firmatari fanno notare come già durante il Salon du Livre de Paris, lo scorso Marzo, il Consiglio Permanente degli Scrittori aveva esposto numerosi problemi che mettevano a rischio l’avvenire della professione. Nel caso specifico della bédé, un impoverimento crescente degli autori, a causa dell’abbassamento tanto degli anticipi sui lavori, quanto delle percentuali sulle vendite, che non premierebbero così che i distributori. Su questa situazione – che creava già enormi timori – è caduto con un fulmine a ciel sereno, la notizia dell’aumento della quota di iscrizione al programma di pensione complementare obbligatoria. I “travaillieurs de l’esprit”, gravati da un regime che non prevede i vantaggi tipici degli altri lavori, cioè disoccupazione, ferie pagate, tredicesima etc etc., si sono pertanto appellati direttamente al Ministro della Cultura, facendo notare come i limiti di reddito, spesso al di sotto dello SMIC (i.e. il salario minimo inter-professionale garantito), non permetterebbero a molti di sostenere il nuovo regime, costringendoli così ad abbandonare un lavoro non redditizio, ma che alimenta un mercato da quasi sei miliardi di euro. Pertanto, le richieste avanzate dagli autori prevedono la sospensione della nuova riforma e l’adozione di nuovi sistemi di tassazione.
Il presidente della RAAP, Frédéric Buxin, ha risposto celermente, rassicurando gli autori che sino all’entrata in vigore della riforma, cioè nel 2016, le richieste di altri finanziamenti, indipendenti dal reddito degli stessi, saranno presi in considerazione come una seria alternativa. Il ministro Filipetti ha, invece, preferito rispondere con un tweet allo scottante problema dei pensionamenti. Ma, molto probabilmente lo spazio occupato da 140 caratteri è abbastanza risibile per mettere a tacere un diffuso malcontento e una crescente ansia.
Sulla questione è entrato in merito il già citato Joann Sfar durante la rubrica che cura per France Inter. Un resoconto del suo intervento è apparso sulle pagine di ActuaLitté:
Ci sono un sacco di disegnatori che lottano affinché il loro lavoro non vada sprecato, in rapporto a come vengono considerati dalla legge. Ogni anno i precari dell’industria dell’intrattenimento si lamentano perché temono di perdere i loro benefici. I disegnatori non hanno nulla di tutto ciò […] Nessuno si preoccupa se un disegnatore blocca una strada. Al massimo si può fottere 5 minuti su France Inter, ma non può fare molto di più…Questa professione sta semplicemente morendo. Prima che io facessi questo lavoro un disegnatore poteva vivere dignitosamente senza dover vendere milioni di copie, la maggior parte dei disegnatori viveva bene.
Un tempo, continua Sfar, «gli artisti potevano lavorare anche per le riviste, ma queste sono scomparse. La mia generazione è arrivata nel momenti in cui i fumetti erano i vincitori e i fumettisti erano considerati quasi come degli scrittori. Vale a dire che si è pagati in funzione delle vendite dei nostri libri e basta». E spesso, aggiunge, per “sopravvivere” sono costretti a lasciare questa professione.
La questione – come è facilmente intuibile – porta alla luce un problema strutturale dei professionisti del mondo della cultura e dell’arte: un precarietà cronica e una mancanza di strumenti di tutela e di garanzia di alcuni diritti fondamentali che si riverberano in maniera preoccupante sul futuro. Le richieste dell’applicazione della Legge Bacchelli in Italia sono una prova lampante di come spesso autori, artisti e gente che lavora nell’ambito culturale a causa di una legislazione evasiva e priva di reali e concreti benefici, che ne disconoscono la stessa importanza, vivono in un limbo e in una dimensione che non gli assicura una vecchiaia dignitosa nonostante i loro meriti culturali. Le parole di Sfar sollevano, comunque, un problema collaterale di notevole importanza.
Secondo l’autore de Il gatto del Rabbino, non solo la scomparsa di riviste interessate ai fumetti, ma anche il “trionfo” del formato libro ha minato la stessa professione del disegnatore. Sembra quasi esserci una sottile assonanza con le critiche che Alan Finkelkraut aveva mosso alla bédé, definendola come arte minore. La spiacevole e ambigua assimilazione del fumetto alla letteratura e il voler o dover necessariamente rendere il fumetto un libro ha forse portato alla scomparsa di una vasta aria di applicazione del fumetto come arte minore, o meglio – per fugare termini ormai ambigui e anacronistici – come arte applicata. Forse sarebbe da far tesoro di un’esperienza trasversale come quella di Will Eisner per capire la capacità adattiva del fumetto: non solo romanzo, non solo strip, ma anche una miniera di possibilità comunicative inedite e potentissime. Bisognerebbe tornare sui PS Magazine che Eisner produceva per il Ministero della Difesa statunitense (ottima l’edizione italiana a cura della Bao Publishing) per capire un po’.
Al di là, di considerazione che potrebbero fastidiosamente sfociare nella solita querelle, sarebbe forse opportuno fare tesoro di quanto avviene in Francia per riconsiderare anche qui in Italia lo statuto di professioni culturali come quella del fumettista sempre sull’orlo di un incomprensibile disconoscimento.