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Bill Watterson, una nuova intervista

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Sabato 22 marzo presso il Billy Ireland Cartoon & Library Museum in Ohio, verrà inaugurata una doppia retrospettiva su Bill Watterson, il papà di Calvin e Hobbes, e Richard Thompson, il creatore di Cul De Sac. Per l’occasione, la curatrice Jenny Robb ha parlato con Watterson sul futuro delle strisce a fumetti.

Il fatto che Watterson conceda interviste non succede così spesso – dopo molto tempo aveva recentemente rilasciato una dichiarazione sulla locandina per il documentario Stripped, da lui disegnata – mentre l’imminente mostra sulla sua carriera sarà solo la seconda in più di 30 anni (la prima si tenne nel 2001). Insomma, un evento raro. Di seguito un estratto dell’intervista condotta dalla Robb:

Calvin and Hobbes

Sono passati quasi 30 anni dalla prima uscita di Calvin e Hobbes, e quasi 20 dalla sua conclusione. Come ti senti nel riscoprire la striscia per questa mostra?

Oh, è un bel po’ strano. C’è una sorta di jet leg quando viaggi nel tempo attraverso il tuo stesso passato.

Nel creare una nuova striscia, venivano prima le immagini o le parole? O era un processo ibrido?

Molto spesso cominciavo con le parole. Generalmente, la scrittura passava attraverso tante revisioni che non c’era niente da disegnare finché il dialogo non era pronto. Comunque potevo sempre visualizzarmi le immagini.

Col declino della lettura dei quotidiani – e, di conseguenza, della produzione – pensi che ci saranno meno opportunità per i lettori occasionali di stringere un legame duraturo coi personaggi nel modo in cui la gente ha fatto con Calvin e Hobbes?

Questa sarebbe la mia ipotesi. Non posso davvero immaginare che un lettore occasionale si prenda il disturbo di seguire la piccola sezione dei fumetti, tanto meno che legga per mesi una striscia nuova e sconosciuta costruendoci un rapporto duraturo. C’è troppo altro materiale disponibile – subito e gratis – che non c’è ragione di girarci attorno se uno non viene immediatamente affascinato. Oggi, consumiamo tutto così velocemente e facilmente. In tale contesto, ho il sospetto che la connessione fra fumettista e lettori sia probabilmente superficiale e fugace, a meno che non si attinga a qualche interesse particolare e di nicchia. E quel pubblico, quasi per definizione, sarà molto piccolo. È un mondo molto diverso dai giorni in cui tutti, in America, sapevano chi fosse Popeye, Dick Tracy o Charlie Brown.

In che modo l’era digitale e dei social media ha reso liberi i fumettisti?

Ora chiunque può pubblicare, e senza restrizioni di gusto, approccio o soggetto trattato. Oggi non esiste più la figura di chi decide cosa pubblicare, così la prospettiva di voci nuove e diverse è eccitante. O quanto meno lo sarà se qualcuno le leggerà. E lo sarà ancora di più se qualcuno pagherà per farlo. È difficile pagare l’ingresso, quando non c’è un cancello.

LE FOTO DELLA MOSTRA

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