Come si scrive una storia per Topolino? «Sembra facile – dice Roberto Gagnor – E invece è un lavoro. Bellissimo e complesso, meticoloso e artigianale, fatto di molte abilità e qualche trucco del mestiere».
A partire dal 1 marzo, sarà proprio Gagnor, ad oggi uno dei più apprezzati e prolifici sceneggiatori di fumetti disneyani in circolazione, a spiegare il modo in cui affrontare questo lavoro. Scuola Holden gli ha infatti chiesto di tenere cinque lezioni in cui studiare le basi della scrittura a fumetti, lavorando in particolare sui personaggi Disney.
L’obiettivo: scrivere un soggetto e alcune pagine di sceneggiatura che saranno vagliate da Tito Faraci, selezionatore di nuovi talenti per la redazione di “Topolino”.
Per l’occasione, abbiamo chiesto a Roberto Gagnor di anticiparci qualche informazione, di svelarci qualche trucco del mestiere e di raccontarci – in breve – come nasce una storia Disney.
«Il corso parte il 1°marzo ed è una Palestra Holden: cinque incontri per imparare a scrivere una storia Disney, partendo dalla primissima idea per arrivare a un soggetto e alle prime pagine di sceneggiatura. Darò molta importanza al lavoro sui personaggi: imparare a capirli e a utilizzarli (oltre ad amarli… ma questo mi sembra sottinteso!) è la base di questo lavoro. Ci saranno esercizi pratici in classe e compiti a casa: sì, correggo i compiti e sgrido quando necessario.»
«Soprattutto, vorrei raccontare quanto sia difficile, eppure appagante, lavorare per e con questi personaggi. Un lavoro artigianale, prima di tutto, che porta a una forte disciplina di scrittura. Dico sempre che imparare a scrivere per Disney è così complicato che, dopo, qualunque altra cosa si scriva (dal cinema alla TV alla radio) è più semplice. Ci sarà qualche excursus interdisciplinare: parleremo anche di film, di TV… e naturalmente di altri fumetti.»
«Alla fine i partecipanti avranno i loro bravi soggetti e qualche pagina di sceneggiatura: i tre migliori soggetti finiranno sulla scrivania di Tito Faraci, che non ha bisogno di presentazioni e che al momento si occupa anche di selezionare i nuovi talenti del Topo.»
Come nasce una storia di Topolino
«Molto semplicemente? Da un’idea.»
«E se fai questo lavoro, di idee devi averne tante, perché le idee brutte, deboli o già sentite hanno un altissimo tasso di mortalità. L’idea deve potersi raccontare in fretta e bene. Semplice, ma non banale. Deve essere un buon pitch, prendendo un termine dal linguaggio cinematografico. E naturalmente deve rispettare i personaggi (Topolino minaccia Gambadilegno con una motosega? Magari no) e avere un suo chiaro svolgimento. Spesso serve cercare nelle pieghe del mondo Disney, chiedersi cosa NON abbiamo ancora raccontato. Ad esempio, il ponpon del cappello di Paperoga ha una storia? Eccome, e ce l’ho in mente da un po’. O i cartelli “VIA! SCIO’!” del Deposito.»
«Poi scrivo una scaletta in bruttissima copia, usando anche un po’ d’inglese. Perché l’inglese? Perché ai tempi del liceo, quando ho iniziato a scrivere, un po’ mi vergognavo e non volevo che nessuno mi leggesse. Per cui scrivevo, in un certo senso, in codice, per non farmi capire dal resto del mondo. Sì, poi sono cambiato. Un pochino.»
«Questa è la primissima scaletta di Topolino e il passaggio al Tor Korgat (uscita su Topolino 3013): dalla prima idea alla sceneggiatura sono cambiate parecchie cose.»
«Poi si scrive un soggetto in una o due pagine, spiegando i vari snodi della storia in paragrafi dedicati. Un po’ di dialogo ci sta benissimo, per fare capire le gag, ma soprattutto il flusso della storia. Funziona tutto? Ha senso? I personaggi si comportano come dovrebbero? Sono LORO?»
«Il soggetto va poi all’editor, nel mio caso l’ottimo Davide Catenacci, che decide se approvarlo o meno. Questa fase è molto creativa: con Davide posso testare idee, accogliere le sue proposte, trovare altre possibilità o semplicemente “cazzeggiare” trovando altre gag o nuovi snodi narrativi. Avere dalla tua parte una persona così attenta e interessata al tuo lavoro è importantissimo, perché è il primo, fondamentale barometro del valore della tua storia. Il rapporto tra autori e redazione è naturalmente stretto, dando però ai primi la giusta libertà creativa: un tratto distintivo della direzione di Valentina De Poli, che secondo me si sta dimostrando vincente, in termini di qualità delle storie. Se per l’editor la storia funziona, si va a sceneggiare!»
«Prima, però, come tanti sceneggiatori, faccio come ci ha insegnato un importantissimo autore Disney, Massimo Marconi: disegno tutto, in brutta. Questi grezzissimi layout, che capisco solo io, sono fondamentali, perché servono prima di tutto a capire GLI SPAZI della storia. Dove metto la quadrupla? Sto dedicando il giusto spazio alle varie parti della storia, il ritmo c’è? L’ultima vignetta della tavola dispari ti spinge a girare pagina? Riesco a fare stare quell’astronave aliena in una singola (no) o è meglio metterla in una doppia (sì)?»
«Ecco parti del layout di una delle mie storie (metto una bella X sulle pagine finite!). Come vedete, è un gran casino. Ma mi basta per capire cosa fare. Potrei disegnare tutto, come faceva Cimino: sono un mediocre disegnatore ma posso cavarmela. Però preferisco lasciare che sia il disegnatore a metterci del suo: lui si diverte di più e io non vedo l’ora di essere stupito dalle sue idee.»
«Quando il layout funziona, scrivo. Tre volte.»
«La prima stesura è semplicemente uno scatenarsi, un buttare fuori tutto (Judd Apatow, quello di 40 anni vergine, lo chiamerebbe “vomit draft”): idee, gag, scemenze, cose dell’ultimo momento, improvvisi cambiamenti del layout. Non mi soffermo su nulla, scrivo e basta, molto velocemente: sette, anche dieci tavole al giorno. Poi lascio lì la sceneggiatura e scrivo altro, per almeno una settimana.»
«La seconda stesura ripulisce il tutto, soprattutto i dialoghi. Qui faccio anche ricerca d’immagini e controllo di non aver fatto errori. Smonto certe tavole e certe sequenze se non funzionano, taglio i dialoghi ridondanti, eccetera. Poi, anche in questo caso, lascio il tutto a riposare per qualche giorno.»
«Nella terza stesura controllo che sia LEGGIBILE. La leggo come un lettore: scorre? I personaggi parlano nel modo giusto, PENSANO nel modo giusto? Funziona tutto?
Se va tutto bene, la mando a Davide. E si ricomincia. Perché, nel frattempo, ho scritto almeno un altro soggetto, o ho rifinito un soggetto lasciato a metà, o recuperato qualche idea vecchia ma mai sviluppata. Insomma, non ci si ferma mai.»
«Perché amo questo lavoro e mi diverto tantissimo.»
Brigittik e il romantico finale contrastato
«Nel numero di Topolino oggi in edicola c’è una delle mie storie con Brigittik, alter-ego supereroistico di Brigitta. Una supereroina un po’ patetica e pasticciona, proprio come Brigitta: romantica e coraggiosa nel suo mai corrisposto amore per Paperone, ma proprio per questo tragicomica. Per questo stesso motivo il nome è Brigittik, un semplice calco di Paperinik. Ad alcuni non piace, ma è il succo del personaggio: è una wannabe, un personaggio un po’ disastroso che prova a fare il supereroe.»
«La storia parte dal rapimento di Steven Loffat, che non è altro che Steven Moffat, lo sceneggiatore inglese: sono un tremendo fan di Sherlock e volevo metterlo a tutti i costi! Poi si parla del mondo delle soap, citando naturalmente anche un po’ di Beautiful… e Boris.»
«I disegni sono di Vitale Mangiatordi, che ha realizzato le prime due storie di Brigittik, oltre alle mie storie dell’Arte con Paolo De Lorenzi. Il suo stile classico ma elegante, moderno e pieno di movimento in chiaroscuro, è perfetto per questo tipo di storie. Le sue papere sono sexy e i suoi paperi sono perfetti. Mi piace moltissimo lavorare con lui! Il costume di Brigittik, nelle mie prime intenzioni, era diverso. Per fortuna, Vitale ci ha messo del suo, rendendola più eroina DC e più glamour.»