Nella tavola di Little Nemo del 31/12/1905 a dominare la scena – ovvero la pagina stessa, tramite il suo incastonamento nel trittico delle prime vignette – è Padre Tempo (Father Time), che riceve una lettera con la quale il Re di Slumberland lo esorta a recarsi nel regno in compagnia di Nemo.
Per il piccolo Nemo, l’augurio di buon anno con cui il Signore del Tempo lo sveglia è un momento importante: il 1905 che si chiude è il primo anno di vita della serie (inaugurata il 15 ottobre 1905), e la tavola lo sottolinea con un breve ma sofisticato racconto fondato proprio sulle cifre. McCay, infatti, crea ben tre dimensioni o linee narrative connesse al ruolo dei numeri.
Una prima dimensione è quella più evidente, perché scenografica: tutte le vignette della parte centrale del racconto sono tappezzate di numeri. Si tratta delle “scatole” (una sorta di loculi) del grande archivio del Tempo, ciascuna numerata dal suo Signore con una cifra.
La seconda dimensione dipende proprio dalle cifre che targano questi loculi, toccate le quali – stringendole in mano – Nemo “invecchia” istantaneamente, assumendo l’aspetto di sé stesso via via ragazzino, adolescente, adulto, anziano. Il susseguirsi del gioco dei numeri equivale, quindi, al susseguirsi delle metamorfosi di Little Nemo.
Infine, con una soluzione alquanto rara in McCay (e invece comune, ad esempio, nel Corriere dei Piccoli dell’epoca), una terza modalità di apparizione dei numeri è affidata alle didascalie, che descrivono in un contrappunto fiabesco la concitata “sequenza evolutiva” dell’invecchiamento di Nemo, fino al risveglio finale.
In questo diluvio di cifre, dal risvolto senza dubbio inquietante, la tavola assume invece uno splendido equilibrio coreografico. Nella pagina di McCay il trascorrere del tempo si innesta su un piano sia sequenziale che tabulare, in una perfetta e rara inscindibilità l’uno dall’altro, rappresentata dal movimento studiatamente irregolare e declinante delle vignette, che si incastrano fra loro come tasselli di un complesso mosaico temporale, in parte ricorsivo, e in parte invece progressivo, a sottolineare l’andamento verso il basso di quella “scala del tempo” che è la vita. Una scala in discesa, naturalmente.