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Fantascienza e epica del volo. Intervista a Sydney Jordan, creatore di Jeff Hawke

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Sydney Jordan

Sydney Jordan è uno dei grandi nomi della fantascienza a fumetti, creatore di Jeff Hawke, di cui 001 Edizioni ha riproposto per ora le prime 1939 strisce, circa un quarto dell’intera opera, in un mastodontico volume. È una serie ascrivibile al filone della hard Sci-Fi, la fantascienza “realistica” di Arthur C. Clarke e di certo Isaac Asimov, in cui tutto deve essere plausibile e spiegabile in modo scientifico; questo la rende una lettura dal sapore decisamente vintage (è un genere che riscuote sempre meno successo dagli anni Settanta in poi) ma anche molto complessa e ricca. 

Non siamo dalle parti degli alienini verdi o dei mostroni che assaltano la terra di molti comic book del periodo – basti pensare alle storielle delle testate antologiche Marvel, pur firmate da nomi come Lee, Kirby o Ditko. Siamo più vicini alla migliore letteratura d’anticipazione dell’epoca, che in Italia trovava spazio e successo su Urania e veniva nobilitata nelle antologie curate da Fruttero & Lucentini.

Ed è proprio nel nostro paese che Jeff Hawke ha avuto successo, grazie alla Milano Libri che lo pubblicò su Linus già dal 1965, per poi raccoglierlo in volumi cartonati che gli hanno garantito la sopravvivenza per lungo tempo in libreria, nei mercatini e nelle biblioteche degli appassionati.

Scozzese di Dundee, classe 1928, Jordan è un uomo imponente e lucidissimo, con gli occhi vispi e le mani ancora ferme, conscio della qualità del fumetto che ha realizzato e fiero di quella che è stata la sua carriera. 

Ho avuto la fortuna di incontrare Jordan qualche anno fa, nel dicembre 2017, in occasione della 59a Mostra Mercato del Fumetto di Reggio Emilia. Sono riuscito a intervistarlo dopo aver atteso a lungo che terminasse di dedicare i volumi ai numerosi fan che erano giunti per incontrarlo – tra i quali, a sorpresa, non ero il più giovane!

jeff jawke
Una sequenza con Jeff Hawke, il suo fido Mac, tanti extraterrestri e soprattutto Chalcedon, spietato dittatore alieno, nemico giurato del nostro

Cominciamo dall’inizio. Come ha deciso di diventare un fumettista? Non ha studiato per fare l’aviatore?

Penso che bisogni dire che il mio cuore non era davvero attratto dal volo. Fu piuttosto l’epica del volo che mi condusse a studiare presso Miles Aircraft.

Quando ero giovane in Scozia c’era una famosa serie di racconti illustrati, pubblicata cinque giorni la settimana da DC Thomson Press di Dundee. Prima della Guerra pubblicavano delle storie molto intelligenti, di respiro letterario.

In una di esse la Terra era sul punto di essere distrutta e la popolazione era costretta ad abbandonarla; si chiamava L’ultimo razzo per Venere. Tutti sarebbero partiti su quell’ultimo razzo tranne un ragazzino. L’ingiustizia della trama era che qualcuno sarebbe dovuto rimanere indietro a premere il bottone per far partire l’astronave, e io pensavo che fosse una cosa davvero sbagliata. Era ingiusto, no? Ovviamente, però, alla fine della storia – che era pubblicata a puntate su più settimane – il ragazzo salvava la Terra.

Stavo già iniziando a formare il mio gusto per la fantascienza e per le storie stranianti.

Una delle pubblicazioni di fantascienza di DC Thomson Press che Sydney Jordan divorava da ragazzino.

Quando lasciai Miles Aircraft, dove avevo studiato da ragazzo, avevo imparato come come sono fatti gli aeroplani e come fanno a volare, così quando mi misi a disegnare fumetti volli che tutto sembrasse reale e sviluppai uno stile fotografico perché pensavo che la fantascienza dovesse essere credibile. Questo derivava direttamente dalle mie conoscenze sulla costruzione di aeroplani e razzi ed è per quello che ho previsto con dieci anni di anticipo l’allunaggio. È stata serendipità avere praticamente imbroccato la data esatta, ma ero certo che sarebbe stato nel 1969 perché sapevo in che modo costruivano le astronavi, come venivano costruiti i razzi lunari.

Quindi tutti i miei studi mi hanno permesso di dare alla striscia un background solido, a differenza di Dan Dare, che pure era una striscia disegnata in modo splendido. Dan Dare è però imprigionato in un periodo, gli anni Cinquanta, e non funziona fuori di esso.

Per me era diverso perché avevo un amore per le storie con il finale aperto. Jeff Hawke poteva indifferentemente vivere avventure domestiche, rimanere sulla terra o andare nello spazio. Avevo anche deciso che ne avevamo abbastanza di invasioni marziane alla Orson Wells. Per questo ho reso i miei marziani e i miei alieni molto simili a noi: sono permalosi, hanno un brutto carattere. In alcuni degli episodi scritti dal mio amico William Patterson abbiamo sviluppato un tipo di storia unica per le strisce a fumetti.

Quando mi guardo indietro mi rendo conto che le prime strisce erano abbastanza “ok”, e che poi la pressione delle scadenze mi ha obbligato a prendere scorciatoie e ad accelerare, così che sono stato pian piano costretto a diventare bravo. Guardo indietro al mio lavoro e mi rendo conto di come ho imparato le cose quasi senza accorgermene, ho migliorato il disegno, imparato bene l’uso dei retini e questo genere di cose. E penso che questo sia successo alla maggior parte dei fumettisti.

Per imparare guardavo ai disegni di Alex Raymond, alle sue figure bellissime, ai suoi segni bellissimi. E per le trame e i layout mi ispiravo a Terry e i pirati di Milton Caniff, che era davvero una serie molto intelligente. E disegnava degli aerei che sembravano pronti per volare!

Portai l’idea di Jeff Hawke al Daily Express (noto quotidiano londinese di area conservatrice. N.d.R). All’epoca non lo sapevo, ma Lord Beaverbrook, che era proprietario del giornale, era un canadese che era venuto nel Regno Unito durante la Guerra per aiutare Churchill a potenziare la produzione degli Spitfire. Suo figlio Max Aitken Jr era uno dei piloti del cosiddetto Squadrone dei Milionari, perché tutti i piloti che ne facevano parte erano rampolli di ricche famiglie. E Max Aitken Jr era sopravvissuto alla guerra e dirigeva il giornale per suo padre, e quando vide il mio fumetto decise che sarebbe dovuto essere pubblicato sul suo giornale. Questo perché aveva smesso da poco di essere un pilota. In fondo, sono stato fortunato!

Ed è così che ho iniziato, avevo poco più di vent’anni, era davvero tanto tempo fa.

La prima striscia di Jeff Hawke

La sua striscia, Jeff Hawke, è molto realistica, e anche Dan Dare, per quanto più fantastica, lo è abbastanza, certamente più dei fumetti americani di fantascienza: Flash Gordon, Buck Rogers, che sono molto più naif. Pensa che ci sia uno stile britannico basato sul realismo per i fumetti di fantascienza?

Ci sono un sacco di ottimi scrittori americani di fantascienza, hanno segnato la strada per il genere. Nei tardi anni Cinquanta leggevo della splendida fantascienza e le storie erano davvero difficili.

Ma penso che la natura dei giornali britannici chiedesse una maggiore aderenza alla realtà. Eravamo usciti da poco dalla guerra e la gente era molto informata di questioni di meccanica, da quella bellica alla costruzione degli aeroplani, allo sviluppo dei motori a reazione. Penso che la vita della mia striscia sia andata di pari passo con i progressi del volo spaziale e che questo mi abbia dato un vantaggio perché la mia opera era realistica.

Lord Beaverbrook credeva nell’Impero Britannico e investiva molti soldi per fare il miglior giornale possibile. E io ero una piccola parte di quel giornale, letto da un pubblico molto attento.

Ricevevo lettere da piloti ed ex piloti, gente che aveva volato nella Seconda o addirittura nella Prima Guerra Mondiale sui Sopwith Camel, perché la striscia aveva un’impostazione militaresca e la Gran Bretagna in qualche modo è sempre stata una nazione militarizzata.

Ma fu l’etica della striscia, la sua empatia nei confronti degli alieni, il tentativo continuo di insegnare loro l’umanità, che suscitò l’interesse di molti studenti e professori universitari. Penso che la ragione sia che era una striscia adulta: certo, adatta anche ai bambini, ma che ha più appeal per i meno giovani.

E qui in Italia ne ho le prove perché la gente che viene a incontrarmi ai festival porta con sé i figli, oppure vengono i figli ormai adulti e mi dicono che sono stati i loro padri, ormai scomparsi, a introdurli alla striscia. Ed è una cosa davvero toccante. E ti fa sentire in dovere di fare le cose per bene.

Un servizio della serie Fumo d’inchiostro dedicato a Sydney Jordan, prodotto dalla Tv Svizzera nel 1978, segno dell’interesse per l’autore dalle nostre parti.

Com’è iniziata la sua collaborazione con William Patterson? E soprattutto, chi era? Ci sono pochissime informazioni su di lui.

Purtroppo è morto troppo giovane…

William era a scuola con me, all’accademia a Perth, e andavamo spesso insieme in biblioteca a divorare tutti i libri che potevamo. Aveva studiato greco e latino a scuola, letteratura, musica classica e si dilettava di scrittura, quindi si dedicava sempre a libri molto difficili. Amava anche l’egittologia, ovviamente, cosa davvero bizzarra: era affascinato da tutto quello che era bizzarro.

Iniziò col darmi qualche idea per le strisce e passò poi proprio a scrivere le sceneggiature. Non scrisse mai, però, vignetta per vignetta se non gli chiedevo espressamente di farlo. Non mi diceva come sarebbe dovuta essere una scena ma come avremmo dovuto andare avanti con la storia. E per tutto il tempo non abbiamo mai dovuto cambiare un’idea che aveva avuto perché quando le trasformavo in disegni funzionavano sempre perfettamente. Le sue idee erano davvero buone!

Non dimentichiamo che una cosa è scrivere un romanzo o un racconto, un’altra una striscia quotidiana a fumetti, perché devi dosare quello che scrivi lettera per lettera. Stai scrivendo un’immagine con qualche parola sopra, è l’idea che deve sostenere il tutto.

Per far parlare gli alieni, Willy volle basarsi sul latino. Mi ricorderò sempre di quella volta che, dal nulla, tirò fuori questa battuta di Sua Eccellenza, capo della Federazione Galattica, quando il suo aiutante Kolvorok lo sta facendo impazzire: «Ecco, di nuovo stiamo ammucchiando Pelion su Ossa». Sapevamo che poche persone avrebbero colto il riferimento: Pelion e Ossa sono due monti della Grecia, quindi ammucchiare il Pelion sull’Ossa è un lavoro lunghissimo, devi andare avanti per un sacco di tempo, non è una cosa che puoi fare in un paio d’ore. Ma abbiamo inserito lo stesso la frase per vedere cosa sarebbe successo e varie persone ci scrissero fiere di aver colto il riferimento.

Willy donò un forte sapore letterario alla striscia.

La striscia citata da Jordan, numero 2180 della serie, che fa parte del ciclo Il ritorno di Chalcedon.

Per molte persone, quella della nostra collaborazione fu l’età d’oro di Jeff Hawke e non l’ho mai negato. Willy era un’ispirazione.

È morto nel 1986, ma all’epoca aveva già abbandonato da tempo il fumetto. Aveva dei disturbi mentali e il giornale, molto gentilmente, si era offerto di fargli fare gli esami del caso. Provarono di tutto ma lui divenne sempre meno presente con la testa. Alla fine gli dissi “Dammi soltanto le idee, non stare a scrivermele, te le pago direttamente io” perché il giornale lo stava per licenziare.

Fece anche altre cose oltre a Jeff Hawke, scrisse dei fumetti per Amalgamated Press, che poi divenne Fleetway. Sarebbe probabilmente finito a scrivere Judge Dredd o fumetti simili perché aveva davvero una grande immaginazione.

Avevate il completo controllo sulla striscia?

Sì. Era il modo di lavorare della redazione, non avevo alcuna interferenza. Un paio di volte provarono a non farmi usare la parola “esseri” – nel senso di “esseri di un altro pianeta” – perché non piaceva e gli editor provarono a non farmela usare, ma alla fine rimase sempre, non la cambiarono mai. Mi avranno corretto soltanto un paio di parole in oltre venti anni di striscia. Sono stato molto fortunato.

E penso che una ragione del successo della striscia fu perché io e Willy eravamo gli unici a metterci mano, nessun altro.

Riguardo le sue ispirazioni, mi ha citato Alex Raymond e Milton Caniff. Ci sono romanzi o film che l’hanno ispirata particolarmente?

Mi affascina soprattutto quando qualcuno ci mette grande impegno. Ad esempio, l’inizio di Cielo di fuoco (Twelve O’Clock High), il film sui piloti delle fortezze volanti americane che si ribellano al loro comandante che li vuole mandare in una missione suicida: quel film inizia in un modo davvero intelligente!

Vediamo un uomo che compra un cappello, è chiaramente un americano. Compra il cappello in una cittadina inglese, esce dal negozio e dice “Grazie mille per avermi regalato due ore splendide a comprare un cappello”. Sale sulla bicicletta con il cappello nella scatola sul portapacchi e lo vediamo arrivare a un campo di volo. L’erba cresce sulla pista di decollo e la torre di controllo è in rovina. E lui sta fermo lì, guardandosi intorno – è chiaramente un americano.

E poi sente nell’aria  – è questo il tipo di idea che mi ispira – sente cantare una canzone militare. Lui guarda davanti a sé e noi cominciamo a capire: è già stato in quel luogo! Tira un calcio a una zolla d’erba e all’improvviso sentiamo questo suono – viene chiamato “tosse da avviamento” – di motori che si mettono in moto. Sentiamo “Iiiiih brrrrbrrrrbrrrr” [imita il suono di un motore di aereo che si accende] e l’erba inizia a ondeggiare… e ci siamo! Siamo tornati indietro! E vediamo arrivare dei bombardieri e la pista non è più in rovina.

Quando lo vidi pensai “Gesù! Quale folle fa iniziare così un film? È geniale!” Questa è una cosa che mi ha ispirato, iniziare il racconto a metà per interessare il pubblico. È per questo che facevo i prologhi alle storie con il diavolo e il troll buffo, che raccontavano la storia mentre si prendevano in giro e parlavano di qualcosa che stava già avvenendo nella storia.

Amo anche Shakespeare, ovviamente.

Perché ha creato Lance McLane?

Negli anni Settanta il giornale voleva qualcosa di diverso da quello che facevo. C’era un nuovo editor che voleva pubblicare solo strisce che potessero essere interrotte in qualsiasi momento. Per questo preferivano le strisce umoristiche perché non c’era il rischio di interrompere a metà la trama e scontentare i lettori.

Per questo me ne andai, e dopo di me tutti gli altri un po’ alla volta. Inizia quindi a disegnare questa nuova striscia per lo Scottish Sunday Mail. Decisi che Lance McLane sarebbe dovuta essere una serie più dura, più adulta. In Jeff Hawke non viene ucciso praticamente nessuno, mentre in McLane la gente uccide senza problemi.

A molte persone, soprattutto ai giovani, Lance McLane piaceva più di Jeff Hawke, forse perché era più simile a quello che leggevano in 2000 AD, e anche i disegni non mi dispiacciono, però non è certamente buono quanto Jeff Hawke.

Le prime strisce di Lance McLane

Per tutto il tempo in cui feci Jeff Hawke non percepii alcun diritto, anche se era stata pubblicata in syndication. All’epoca in cui smisi di disegnare la striscia, il Daily Express ne vendeva i diritti all’estero e qualche poco tempo dopo il mio abbandono rimase senza materiale, quindi, un po’ scioccamente, gli lasciai usare Lance McLane come Jaff Hawke.

[Per compensare la mancanza di materiale e l’impossibilità di realizzare due serie in contemporanea, McLane e Hawke, Jordan realizzò una striscia in cui il suo primo eroe finisce nel futuro e “diventa” McLane: fu così possibile riutilizzare le strisce del secondo, modificandole leggermente NDR]

A quel tempo io non avevo alcun diritto sulla serie, avevano loro il copyright e avrebbero potuto in qualsiasi momento chiamare un altro disegnatore a portare avanti la serie la striscia. Io avevo la proprietà intellettuale, c’era scritto “Jeff Hawke creato da Sydney Jordan”, ma loro avrebbero potuto comunque sbattermi fuori in qualsiasi momento. Lo feci per continuare a far girare la ruota.

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