“We view Apps different than books or songs, which we do not curate. If you want to criticize a religion, write a book. If you want to describe sex, write a book or a song, or create a medical app. It can get complicated, but we have decided to not allow certain kinds of content in the App Store.”
Quante volte avete letto la frase qui sopra nell’arco dell’ultimo paio di anni? Ve lo dico io, un sacco di volte. Più o meno ogni volta che la policy (o la presunta policy, come vedremo tra poco) Apple ha finito per bloccare la pubblicazione di un prodotto su uno dei suoi negozi digitali (anche se l’estratto fa riferimento solo alle App). Puntualmente si è finiti a scrivere fiumi di inchiostro circa la gravità della nuova censura di Cupertino e, con altrettanta precisione, la discussione veniva soppressa dal richiamo alle righe qui sopra. Tratte pari pari dal regolamento interno dei suddetti esercizi online. Il senso è chiaro: non stiamo parlando di un ente pubblico o di un servizio senza scopo di lucro, ma di un’attività economica. Che come tale ha il potere di decidere in totale autonomia (e in maniera del tutto legittima, mettendolo in chiaro fin dalle prime righe del regolamento – vedi sopra) cosa diffondere attraverso i suoi scaffali.
Era successo con un videogioco che voleva sensibilizzare l’opinione pubblica circa la questione del lavoro minorile (“Sweatshop”), del costo umano dei droni militari (“Drone+”) e della guerra civile in Siria (“Endgame: Syria”). Poi siamo passati ai fumetti, dalle trasposizioni di Joyce in cui si intravedeva un seno a circa un terzo del catalogo Kodansha (casa editrice giapponese). Eppure, nonostante l’impasse politica fosse evidente, tutti sembravano presi dalla smania: buttarsi a capofitto nell’eroica impresa di gettare fango sulla campagna anti-porno di Jobs. Come se il problema fosse quello. Come se il panettiere sotto casa fosse obbligato a tenere in vendita DVD a luci rosse. Il punto della questione era ben altro.
Nel mese di aprile si è scatenato il putiferio per la mancata messa in vendita su Comixology del numero di 12 di Saga, forse il più celebrato fumetto seriale dell’anno. Il motivo era la presenza, minuscola e del tutto pertinente alla trama, di una sfuggente scena a base di sesso – ancora! – orale gay. Inserita oltretutto in una serie non esattamente casta, che ha toccato temi quali la prostituzione minorile come intrattenimento di lusso, o le avances “piuttosto esplicite” portate avanti dalla protagonista nel numero 15 (“We haven’t been together in weeks. I want to suck your cock. Where do you want to do it? All over my tits? My face?”).
Pochi giorni fa è successo lo stesso con Sex Criminals #3, ennesima serie targata Image. Anche qui il pomo della discordia è il sesso tra due persone dotate di pene. In questo caso niente fellatio, solo un bacio a torso nudo. Da notare che la serie è un continuo, esilarante sproloquio a base di sesso. Nel primo numero – regolarmente venduto su piattaforme Apple – nel corso di un delirante corso accelerato di educazione sessuale nei bagni di una scuola, vengono passate in rassegna una serie di pratiche non proprio convenzionali. Diciamo che nella liberale California ci si può sì defecare addosso a vicenda senza problemi (pag 18 del numero 1 di Sex Criminals), ma è importante non azzardarsi a scambiare effusioni con gente del nostro steso sesso. Al limite ci si può fare infilare dolcetti nel didietro dalla propria fidanzata (pag. 17, sempre da Sex Criminals #1).
Nella liberale California sono tanto liberali che fumetti come Black Kiss 2, Sex e XXX Zombies sono passati dal vaglio senza problemi (e almeno quest’ultimo poteva essere cassato, in quanto veramente brutto). A rimanere chiusi fuori dalla porta sono rimasti, nel 2013, qualcosa come 59 fumetti fra cui manga yaoi, Prison Pit di Johnny Ryan, un’antologia LGBT di Fantagraphics e, tra gli altri, anche The Boys: Herogasm. Un fumetto fuori dalle mie letture, ma che dubito non contenga almeno un maschietto intento a sollazzare un altro fusto in calzamaglia.
Allora Steve Jobs non è (era) contro il porno, ma proprio contro i gay!
E qui ci si sbaglia ancora. La faccenda è molto più grave. Perché la Apple non ha mai dovuto neppure valutare queste uscite. Semplicemente Comixology – per stessa ammissione dei suoi dirigenti – non le ha neppure presentate alla commissione destinata a vagliare cosa è degno di essere venduto o meno tramite i vari servizi della Mela. Che così risulta più pulita che mai. Dopotutto, Cook e compagnia non hanno censurato nulla. Tantomeno materiale politico o sessualmente non allineato alla placida visione tradizionale della cosa.
Aveva ragione Bruce Sterling: i cinque stacks del web (acronimo traducibile come “social media e servizi online a integrazione verticale” e comprendente Google, Facebook, Amazon, Apple e Microsoft) hanno conquistato il mondo in maniera molto più profonda di quello che pensavamo. E non ce ne siamo neppure accorti. Sono talmente potenti da non avere neppure più bisogno di censurare. L’ultimo esempio è il libro En Amazonie del giornalista francese Jean Baptiste Malet, dossier di denuncia sulle condizioni dei lavoratori di Amazon. Come ha pensato di disinnescare questa mina vagante il gigante dell’editoria? Facendo in modo che, a ogni ricerca via web relativa al volume, uno dei primi siti a comparire nei risultati di ricerca dell’utente sia proprio la pagina di Amazon dove comprare il libro. Sulle pagine di Vice lo stesso autore ha commentato con un laconico “Con questa mossa Amazon ha ottenuto ciò che voleva: far sì che apparissi come un giornalista che alimenta una contraddizione, un giornalista che denuncia lo stesso sistema che gli permette di mettere in vendita il suo libro. È stata una bella trovata.” Che le accuse fossero valide o meno – non stiamo discutendo quello – ora non importa più nulla. Tutto è stato normalizzato.
Impossibile tracciare una conclusione della faccenda: Apple fa benissimo a mettere in vendita solo quello che vuole. Il segreto del suo successo sta dietro alle scelte prese ogni giorno dalla dirigenza. Alla stessa maniera Comixology fa altrettanto bene a proporre solo quello che reputa valido, risparmiando tempo e risorse. Tutto si riconduce a noi, gli utenti finali. Liberi di procurarci i nostri amati fumetti come meglio crediamo. Magari, però, facendo finire i soldi direttamente in tasca ai diretti interessati, scavalcando così ognuno di questi schizzinosi intermediari.