Il fumetto di satira politica moderno, in Italia, ha un padre indiscutibile. Si chiama Alfredo Chiappori, classe 1943, nato e tutt’ora residente a Lecco, dove il sottoscritto è andato a chiedergli il permesso di pubblicare le splendide tavole inedite che qui presentiamo, in collaborazione con Linus, insieme a una breve intervista (qui in una versione più estesa). Su Linus di Maggio, inoltre, Tuono Pettinato racconta Chiappori in un fumetto di due pagine, all’interno della suo ciclo “Fumettisti Ragguardevoli”, di cui vi mostriamo di seguito un piccolo estratto.
Incontrare Alfredo Chiappori è come trovarsi di fronte a un pezzo di storia del fumetto e non avere niente di intelligente da dire che lui non abbia già detto. L’autore di Up il sovversivo è davvero un decano dei disegnatori satirico-politici, il primo a usare il fumetto per colpire – da sinistra verso destra – il sistema democristiano-clerico-fascista sotto il quale la sua generazione ha trascorso un’irrequieta giovinezza. Prima delle sue tavole – pubblicate da Feltrinelli a partire dal 1970, e subito dopo ospitate dal Linus di Oreste Del Buono – gli schieramenti erano troppo rigidi e inflessibili per permettere a un autore di fumetti di mostrare il (macroscopico) lato grottesco della battaglia politica. Chiappori fu il primo ad alzare il pennino, come altri all’epoca alzavano sanpietrini, e a dare l’esempio, seguito da Pericoli & Pirella, Altan e poi da Forattini, Sergio Staino ecc…
Ma il merito di Alfredo Chiappori non è solo quello di avere aperto la porta a una generazione di disegnatori allegramente incazzati. In realtà, il suo primato più significativo è un altro e – salvo smentite – non ha paragoni con autori nostrani. È infatti lui il primo e unico autore a occuparsi della storia del Risorgimento non in chiave meramente didattica, bensì umoristico-politica. Satirica, appunto. Le sue Storie d’Italia, pubblicate da Feltrinelli tra il 1977 e il 1981, sono un documento prezioso, un’opera a fumetti unica che prima o poi – si spera – dovrebbe trovare posto nei programmi scolastici. Di questo lavoro, soprattutto, si è parlato durante l’intervista, per poter presentare una piccola perla perduta che potete vedere nella gallery di seguito: le prime tavole realizzate da Chiappori ispirate all’unico romanzo di Giuseppe Garibaldi: Clelia, o il governo dei preti. Anche in questo caso, come si desume dal titolo, un’opera che ha un valore più che mai attuale. Perché certe cose – specialmente in Italia – non cambiano mai.
———
Chiappori, quando nasce l’idea di raccontare i personaggi e le vicende del Risorgimento a fumetti?
Un giorno, Oreste Del Buono mi disse: “Invece di occuparti della politica attuale, perché non provi a realizzare la satira che non c’è mai stata?”. L’idea era quella di produrre un lavoro di racconto critico su ciò che aveva contribuito a creare le condizioni nelle quali ci trovavamo – e nelle quali tutt’ora ci troviamo. Così sono nate le Storie d’Italia. Inizialmente, il progetto era quello di coprire un periodo di cento anni, ovvero dal 1846 fino alla nascita della Repubblica. E l’idea di Feltrinelli, che con grande entusiasmo decise di pubblicare i volumi, fu quella di chiedere l’intervento di storici importanti come Giorgio Candeloro e Franco Della Peruta. Decidemmo di chiamare il progetto Storie d’Italia – non “Storia” – perché fino a quel momento avevamo come l’impressione di conoscere solo tante belle storie, non la versione di come andarono realmente le cose.
Fare satira politica su eventi di oltre un secolo prima è un esperimento che ha pochi paragoni. Personalmente ho imparato di più leggendo questi volumi che durante tutto il mio percorso di studi.
Saranno contenti gli storici! Il fatto è che c’era, allora, una sorta di diffidenza nei confronti del fumetto, una posizione che lo relegava a una produzione minore, destinata prevalentemente all’evasione e all’intrattenimento. Secondo me, invece, con il fumetto si poteva e si può raccontare tutto, davvero tutto, e non solo la Storia.
Nelle Storie non c’è solo il racconto di come andarono le cose, ma troviamo una narrazione coinvolgente, i retroscena più tragici del processo che portò all’unità d’Italia e allo stesso tempo si ride – e molto – dei comportamenti a tratti infantili dei nostri “padri della patria”.
Per lavorarci, ho usato lo stesso criterio di lavoro che – per parlare delle mie tavole sull’attualità – Oreste Del Buono definiva “iperrealista”. Non inventavo nulla. Quando disegnavo Fanfani, in fondo, i dialoghi li scriveva lui stesso. Ho fatto la stessa cosa con la Storia. Mi sono accorto così che, studiando approfonditamente certi momenti, i personaggi emergevano finalmente non più come immagini stereotipate ma che si potevano conoscere attraverso le loro attività pratiche, le loro lettere, i verbali delle loro riunioni. L’obiettivo era arrivare a raccontare la Storia attraverso la cronaca. Da questo punto di vista, non ho cambiato il modo con cui lavoravo, ma solo l’oggetto del mio lavoro. E il ritmo delle tavole, infatti, è sempre dato dalla scansione del testo, prima che del disegno. È il testo che determina il tutto e dal ritmo del testo nasce la struttura della tavola. Se le Storie hanno qualità, il merito è dato principalmente dall’incontro tra un mezzo ritenuto nazional-popolare come il fumetto e un lavoro da storico erudito “serio”.
I volumi sono stati pubblicati originariamente da Feltrinelli (nel 2011 riproposti da Black Velvet). Come ebbe inizio la collaborazione con l’editore?
Era il 1969 e io ero assolutamente sconosciuto come autore. Oltretutto Feltrinelli non aveva mai pubblicato fumetti. Grazie a Valerio Riva, giornalista de L’Espresso, ebbi la possibilità di far leggere il mio primo libro (Up il sovversivo – NdR) direttamente a Giangiacomo. Mi telefonò Mainoldi, allora direttore de L’Universale Economica, e mi disse che l’editore aveva letto le tavole e che si era molto divertito. E che quindi il libro si faceva. Dopo qualche giorno mi arriva una nuova telefonata. Era ancora Mainoldi. Si chiedeva come mai il libro, che aveva divertito Giangiacomo la prima volta, adesso non lo faceva più ridere. Certo, risposi io: la prima volta si ride, la seconda si pensa.
Quando ebbe inizio la collaborazione con Linus?
Conoscevo OdB come direttore di Linus e lo incontrai mentre lavoravo al mio secondo libro (Alfreud) per il quale scrisse la prefazione, su richiesta di Feltrinelli. Così come fece per il terzo volume (Vado l’arresto e torno). Mentre lavoravamo ai libri, Del Buono mi chiese di pubblicare le prime strisce su Linus. Era il 1973.
Odb diceva che la satira politica in Italia, dopo il fascismo, era nata tardi, non prima degli anni ’60, principalmente grazie al suo lavoro e a quello di pochi altri.
Prima del fascismo c’era “L’asino”, “Il Becco giallo”, tra gli autori Scalarini e Podrecca e pochi altri. Il Ventennio cancellò tutto quanto. Dopo la guerra, in Italia erano in pochissimi a fare satira: c’era Giovanni Mosca, Fortebraccio, Guareschi, ma erano casi isolati. Fino agli anni ’60 non esisteva un vero e proprio movimento di satira politica in Italia. Il clima allora era drammatico, tra strategia della tensione, stragi, movimenti neofascisti ecc… Tutto ebbe inizio grazie al Maggio francese. Alcuni miei amici andarono a Parigi nel ’68 e portarono indietro alcune riviste dove erano presenti disegni di satira. Rimasi folgorato. Senza Wolinski e il gruppo di Charlie Hebdo, forse Up il sovversivo non sarebbe mai nato.
E arriviamo a Garibaldi. Quando lesse Il governo dei preti la prima volta decise subito di fumettarlo?
Mi ero occupato a fondo di Garibaldi attraverso il mio lavoro sulle Storie d’Italia. Quando scoprii che aveva scritto un romanzo, decisi immediatamente di trasformarlo in un fumetto. Anche se va detto che il romanzo, di per sé, è brutto, di un’ingenuità narrativa incredibile. Però, insomma, era Garibaldi! E il suo odio per i preti era molto interessante… Noi italiani sappiamo bene che cosa significa vivere a contatto con il potere del clero. Ne parlai con Odb e mi incoraggiò subito a lavorarci.
Oggi chi le piace nel mondo della satira politica?
In Italia i migliori sono ancora, per qualità di disegno e narrazione, Sergio Staino e Altan. E dopo comincio a faticare per trovare altri esempi… Mi sembra che oggi ci sia poco interesse da parte dei giovani verso la satira. Si raccontano molte storie intimiste, personali, ma si lascia in pace la politica. Ma la satira non deve fare il solletico, deve danneggiare il re e dare fastidio ai monarchici. La satira non è solo comica, deve essere anche tragica. Deve usare il comico, non identificarsi in esso. Ecco quello che manca oggi.