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Dan Archer il disegnatore nomade

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di Gianluca Costantini

Dan Archer è un viaggiatore, un disegnatore nomade inglese. Da alcuni anni utilizza il suo disegno per raccontare in maniera attiva alcune problematiche relative ai diritti umani. Una caratterista di Archer è quella di produrre progetti in collaborazione con istituzioni oppure organizzazioni presenti negli stessi luoghi da lui indagati, che possono andare da istituti scolastici a ONG. Dan non passa quasi mai da editori di graphic novel ufficiali perché il suo lavoro deve servire come strumento di formazione, rivolto a chi si trova a vivere sulla propria pelle questo tipo di problematiche.

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Per fare un esempio, il suo graphic novel The Disaster Capitalism Curriculum: The High Price of Education Reform in the United States è un fumetto prodotto da Asst Prof e dalla Public School Teacher Adam Bessie, imperniata sul dibattito politico attorno alla riforma dell’istruzione negli Stati Uniti. Un racconto che parte dalle problematiche del film Waiting for Superman di Davis Guggenheim e che analizza in maniera approfondita il sistema dei finanziamenti alle imprese e alle scuole private, fino all’opportunismo rapace e senza precedenti del post-Katrina di New Orleans. Il libro viene poi distribuito alle famiglie, ai professori, agli alunni interessati, per costruire una coscienza che possa poi crescere in lotta di gruppo, oppure in opposizione a un sistema di regole che pare calato dall’alto. Il web, di conseguenza, diventa il contesto prediletto per divulgare i suoi progetti: Archer utilizza la maggior parte dei social network per documentare ogni evoluzione del suo percorso, il viaggio, l’intervista, i disegni preparatori ecc…

Un esempio molto importante è quello del fumetto Things Are Like That, che racconta la prima parte del periodo che Dan ha trascorso in Nepal per approfondire il tema del traffico di essere umani, pubblicato sul sito web della BBC, sulla rivista digitale Symbolia e dal Poynter Institute. E’ Proprio da questo progetto che inizia l’ambizioso “Graphic Journalism Project on Human Trafficking in Nepal, Oct 2012-May 2013”, ovvero partendo da testimonianze dirette di sopravvissuti al traffico di essere umani, e cercando attraverso le domande di ricostruire il loro background (da dove venivano, dove sono stati spostati e per quali lavori, cosa sono stati costretti a fare e soprattutto come hanno trovato una via d’uscita da quella situazione terribile). I nomi sono stati sostituiti da nomi fittizi per preservare l’anonimato e la sicurezza delle vittime. I distretti visitati da Dan sono stati Lalitpur, Kavre, Banke, Dang, Bardia, Kanchanpur, Sindupalchok, Makwanpur, Bara, Dhading, Siraha, Sarlahi, Jhapa.

I loro racconti sono stati registrati, disegnati e fatti poi visionare agli intervistati, la loro approvazione e? fondamentale per Dan. Il lavoro finale è stato stampato in Nepalese oppure in lingua locale, e in collaborazione con gli operatori sul campo delle ONG (World Education, Child Development Society, Change Nepal, Nepal Youth Foundation, Shakti Samuha, PLAN Nepal) sono stati poi diffusi. Inoltre, in collaborazione con le università di Stanford e di Vanderbilt si è cercato di misurare il diverso impatto tra il fumetto e gli altri media: radio, brochure, teatro…) per capire quale strumento è Il più efficace per la sensibilizzazione verso questo tipo di argomenti.

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Per divulgare tutto questo materiale, Archer ha inaugurato un sito apposito: Graphic Voices. In esso si possono anche vedere le interessantissime interazioni del disegnatore con i luoghi da lui visitati, con piccole mostre improvvisate nei villaggi oppure con i diversi workshop con bambini da lui organizzati. Il progetto è stato finanziato anche attraverso KickStarter.

Il lavoro di Dan Archer, naturalmente, prende spunto dal fondamentale lavoro di Joe Sacco, ma per certi versi da esso si distingue ed estende , diventando un vero e proprio strumento divulgatore, grazie alla condivisione sia tecnologica che personale, e non rimanendo solamente un libro in una libreria. Il disegno è molto rozzo e veloce, anche se proprio grazie a questo stile riesce a cogliere maggiormente le sofferenze oppure le personalità delle persone, cercando in questo modo di dare meno importanza all’estetica e di più al contenuto.

E proprio sulla questione dello stile cercherò di tornare anche in futuro. Dal mio punto di vista di autore, infatti, ho la sensazione che negli ultimi anni si sta formando una vera e propria nuova scuola di disegno politico, che mi pare in grado di affrontare con metodi innovativi e costante riflessione un approccio al reportage ‘disegnato’ che amplia – e insieme complica un po’ – il panorama di quello che molti chiamano graphic journalism.

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