Ci sono Todd McFarlane e Gary Groth che parlano di fumetti su The Comics Journal. È il 1992, Todd è il disegnatore del momento, viene dal successo di vendite di Spider-Man e ha lasciato Marvel Comics insieme ad altri sei fumettisti (Jim Valentino, Erik Larsen, Marc Silvestri, Whilce Portacio, Jim Lee e Rob Liefeld) per fondare Image Comics, compagnia pensata come porto sicuro per i lavori creator-owned. I sette disegnatori hanno firmato serie di successo, stabilendo record di vendite e venendo tacciati – chi più chi meno – di non essere granché bravi con la matita. Groth e la sua rivista The Comics Journal sono tutto quello che non è Todd. Bandiera del fumetto autoriale, TCJ vede con astio un certo tipo di produzione supereroistica, non risparmiando bordate a chiunque sia associato a quella «spazzatura semi-letteraria» (definizione di Groth). Famigerato è Lies We Cherish: The Canonization of Carol Kalish, un editoriale dell’anno prima in cui si demonizzava l’addetta alle vendite della Marvel Carol Kalish, deceduta da poco, per aver snaturato un’industria a colpi di copertine da collezione fluorescenti. Un pezzo che, per quanto lucido, pagava il tempismo della pubblicazione ed era stato subissato di critiche. Giusto per inquadrare la situazione.
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Dicevamo: nell’aria non si respira il profumo di stima verso Todd McFarlane. Non perché la linea editoriale sia contro i fumetti popolari – Groth con la sua Fantagraphic pubblicherà negli anni Duemila l’edizione integrale di Peanuts – semmai non gli vanno a genio le corporazioni. Dovrebbe quindi piacergli la vulgata che ritraeva McFarlane e i suoi come ribelli in lotta contro il Padrone. Invece, ha occhi per le ipocrisie sottese alla nascita di Image, come l’essersi associati inizialmente alla Malibu Comics, rea di non aver pagato i propri dipendenti (quindi non diversa dall’angarica Marvel). E poi perché, «in base al loro livello d’educazione, questi qui pensano davvero di esprimere loro stessi nelle loro opere, di essere artisti». Michael Bay che si crede Kubrick, Liala che si pensa Joyce.
La conversazione si può ascoltare quasi tutta grazie agli archivi di TCJ, e ascoltarla, invece che leggerla, fa capire dove stanno le vere risposte (nell’incertezza di un “no” o di un “sì”, nei respiri tra una frase e l’altra). McFarlane si mostra per quello che è, un autore con grandi intuizioni e un semplificatore di dinamiche che per Groth sono molto più complesse. È vero anche il contrario: nonostante mostri al canadese alcune sue contraddizioni («non mi interessa il mercato, disegno per me» vs. «il mio capo sono i ragazzini che comprano gli albi»), il critico si lascia sopraffare dal suo stesso integralismo, permettendo a McFarlane di segnare qualche punto. A un certo punto, il disegnatore lo spiazza chiedendogli se indossasse dei jeans. «Per te è giusto indossarli? I blue jeans sono commerciali. Sono confortevoli e pratici. Questo li rende sbagliati?». Segue tentennamento di Groth.
Quello che dà fastidio di Todd McFarlane è l’essere un autore con una sua poetica – come lo è Michael Bay del resto – e uno stile che influenza il gusto del lettori. Anch’io, come fa Todd nell’intervista, sto semplificando, perché il Nostro non dirotta da solo le preferenze visive del pubblico. Come diceva uno dei miei cinque professori di storia del liceo, questo genere di cambiamenti si articola in un’onda del mare che a un certo punto incontra gli scogli. Noi vediamo solo l’impatto, ma la strada che ha fatto l’acqua è stata lunga. Allo stesso modo, Todd è l’esempio più fulgido di un movimento sotterraneo che percorre tutti gli anni Ottanta. Tanto per cominciare, nel 1987, Jim Shooter abbandona il ruolo di editor-in-chief della Marvel, dopo anni di regime definito «draconiano» con il quale ha imposto un’egemonia espressiva sulle testate principali. Come una febbre adolescenziale, la reazione del suo successore, Tom DeFalco, apre i cancelli e predispone la crescita di stili prima impensabili.
Sono le lezioni di Neal Adams, le bizzarrie iperdettagliate dei vari Michael Golden, Walter Simonson su Thor e Arthur Adams (co-creatore di Longshot) a spianare la strada per il segno di McFarlane. Adams ha debuttato durante il regno di Shooter ed è stato allo stesso tempo aiutato e costretto dall’editor, perché Shooter era il tipo di supervisore che si metteva al tavolo con te e ti spiegava passo passo come si costruisce una tavola in stile Marvel. Una volta libero dai dettami di Shooter, la sua mano non riesce a star dietro al suo estro, e la lentezza produttiva si scontra con la fame dei fan. McFarlane, invece, una volta compresa la forza di Adams, Golden e Simonson, sa mantenere un ritmo da sportivo qual è, sfornando pagine a profusione. In un anno di lavoro cambia il volto dell’Uomo Ragno, e tutte le testate sorelle (Spectacular Spider-Man, Web of Spider-Man) sono tenute ad adottare il suo stile.
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L’ascesa di McFarlane è come quella del gruppo Image, repentina. È anche un po’ la grande parabola di una generazione autodidatta. Quasi nessuno dei fondatori Image ha frequentato scuole d’arte, corsi o apprendistati vari. È gente che si è messa a disegnare ed è diventata brava a forza di tentativi, esercitandosi fino alla nausea. I loro stili sono convergenti perché crescono in un humus che li porta a cercarsi a vicenda. Chi più chi meno abile, si imporranno come lo stile dei comics negli anni Novanta, generando una schiera di emuli ufficiali e ufficiosi.
Todd è un canadese sui generis, perché di solito i canadesi sono persone cordiali e affabili. Voglio dire, lo sportivo più gentile che esista sulla Terra è l’hockeysta Wayne Gretzky, canadese. Todd stesso sarebbe dovuto diventare un giocatore professionista, di baseball, ma un incidente alla caviglia ha posto fine ai sogni di gloria e lo ha dirottato verso i fumetti. Al contrario di Gretzky, il Nostro è scontroso, testardo e individualista. Se non lo fosse stato, le oltre trecento lettere di rifiuto degli editori lo avrebbero dissuado dal suo obiettivo e non sarebbe stato pubblicato in una storia secondaria apparsa su Coyote di Steve Englehart (anno 1984). Nei tre anni successivi lavora su Infinity, Inc. e Batman: Anno due per DC Comics, passa alla Marvel con l’Hulk di Peter David e poi su The Amazing Spider-Man con David Michelinie.
È in quelle pagine – e in New Mutants di Rob Liefeld, Uncanny X-Men di Marc Silvestri e X-Men di Jim Lee – che fiorisce lo stile Image, che ognuno dei sette membri declinerà a modo suo: la monomania dell’accessorio, il particolarismo nervoso, la tavola senza sosta. Nel caso di Todd, si combinano il realismo del dettaglio con l’esagerazione dei cartoni animati. Come negli altri sodali, in lui attecchisce poco il rispetto delle norme, della variatio e della coerenza. Nel primo numero di Spawn appaiono e scompaiono varie appendici del costume del protagonista, la testa dell’Uomo Ragno è sempre a tre quarti. Le vignette sono tagliate come se stesse succedendo tutto a un centimetro di distanza dal lettore, con inquadrature che spesso rischiano di collassare per il sovraccarico di informazioni che ci inserisce. E poi ha una strana ossessione per Felix the Cat.
Nella scrittura mcfarlaniana, Spawn non ha un mantello, ha un’entità senziente che piega, annoda, riavvolge se stessa. Spider-Man è capace di toccarsi la punta del gomito con la lingua. Lizard e Venom sono mostruosità con schiere di denti e bava e muscoli. Nello specifico, cosa vuol dire che ha cambiato i nostri gusti? Prendete l’Uomo Ragno. Le storie che scrive sulla testata Spider-Man, creata apposta per lui, sono «riuscite solo parzialmente». La citazione è presa dalle note dell’edizione italiana (Star Magazine n. 8), ed è tutto dire che neanche loro riescano a dirne bene. I suoi disegni non sono giusti nel senso accademico del termine, sono giusti perché colgono l’essenza di quella finestra temporale.
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Quando inizia a disegnare The Amazing Spider-Man, il protagonista della testata si trova in una situazione difficile. Da anni i disegnatori che si sono succeduti alle matite non hanno fatto altro che imitare John Romita, restando fermi a quella rappresentazione. Classica, corposa, fuori dal tempo. Passi che Peter Parker abbia un taglio vecchio stile, ma che Mary Jane, che in quel momento storico faceva la supermodella di lavoro, porti i capelli come negli anni Settanta è una mina al potere attrattivo del fumetto. Quindi cotonature a manovella, bei fisici e pochi abiti. Lo shock della crescita coinvolge anche la parte supereroica: il costume si infittisce di linee, gli occhi si ingrandiscono e il corpo si piega in pose aracnoidee, a scapito della corretta anatomia, in un recupero – che è allo stesso tempo rilancio – della sghangheratezza diktiana. Dopo John Romita, nessuno si era mai messo lì a pensare a come disegnare un Uomo Ragno diverso, visto che quello dell’italoamericano era insuperabile. E quindi quelle erano le pose, quelli erano i calci e i pugni.
Soprattutto, quelle erano le ragnatele. La disegnavano così: una rete, delle linee unite nel mezzo da fili a raggiera o incidentali, ottime per le vedute laterali, un macello se le volevi direzionare verso lo spettatore e creare visuali con del mordente. Così Todd McFarlane s’inventa una corda sfilacciata e appiccicosa (la descrive come «quattro fili di pongo tenuti insieme da un quinto filo che li avvolge»), la disegna a metri in tutte le vignette e la fa diventare elemento decorativo, come lo sarà il lazo di Devil nei disegni di Joe Quesada. ‘Inventa’ è una parola grossa, diciamo ‘porta in auge’. Ci sono almeno due occorrenze della “ragnatela a spaghetti” (©Tom DeFalco). Michael Golden (The Nam) in un calendario del 1980, e Arthur Adams in Web of Spider-Man Annual #2, nel 1986. Rispettivamente otto e due anni prima del tentativo iniziale di McFarlane, segnato Amazing Spider-Man #298.
La tela, il costume, i capelli. Tutti dettagli che c’entrano poco con la storia, sono solo tanta energia e zero sofisticazioni. McFarlane riesce a sfruttare questi particolari nel loro insieme, in un atto di ingegneria fumettistica che fa la differenza tra una copia venduta e una lasciata sullo scaffale. Oggi non succede lo stesso con il nuovo Spider-Man in Captain America: Civil War? È il terzo Uomo Ragno cinematografico nello stretto giro di nove anni. Abbiamo visto ogni possibile variazione del costume classico. Quindi, il nuovo Spider-Man, per risaltare sugli altri, deve adattare dai fumetti qualcosa che gli altri non avevano mai tentato, cioè l’espressività, la capacità di aguzzare o spalancare gli occhi del costume a seconda delle necessità drammaturgiche. È un dettaglio, una pagliuzza che non intacca la narrazione, però nell’impianto estetico è una trave.
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Alla fine degli anni Ottanta, la visione del Nostro piace ai fan, le vendite vanno benone e, per tenerselo buono, i dirigenti gli offrono una serie tutta sua (testi e disegni), dal semplice titolo Spider-Man. E visto che non gli era mai piaciuto che qualcuno gli spiegasse come fare le cose, anche al fine di migliorare il prodotto finale, i boss gli lasciano carta bianca. Dentro ci mette poliziotti corrotti, molestie a minori, droghe. Ma Todd era stato abituato bene dal permissivo editor dell’Uomo Ragno, Jim Salicrup, un’eccezione in un ambiente di lavoro contrario al principio del laissez-faire. E’ proprio un’interferenza creativa relativamente modesta a fargli abbandonare la Casa delle Idee. Nel culmine del crossover Sabotaggio, in cui Spider-Man e X-Force combattono contro il Fenomeno, Shatterstar trapassa il criminale con la sua spada, conficcandogliela in un occhio. La scena è esplicita, e DeFalco ordina al disegnatore di edulcorarla, per paura che non ottenga il visto della Comics Code Authority. Todd McFarlane esegue e poi saluta tutti.
Dopo l’abbandono alla Marvel, Todd va a fondare la Image, crea Spawn e mette assieme un nuovo immaginario di spunzoni, teschi e catene, aiutato dai colori digitali di Steve Oliff. Nel picco della popolarità è coinvolto in film (Spawn, The Dangerous Lives of Altar Boys) e video musicali (Do the Evolution dei Pearl Jam, Freak on a Leash dei Korn, che gli fa vincere un Grammy). Trova anche il tempo di battezzare la McFarlane Toys, una ditta di giocattoli che colma il vuoto tra action figure da grande magazzino e statuine da collezionismo stile Sideshow Collectibles, anticipando le varie Hot Toys.
Come il suo Spider-Man, cartoonesco eppure realista, la bellezza del McFarlane personaggio risiede nelle sue contraddizioni. La voglia di indipendenza artistica fa a pugni con il ruolo di imprenditore non molto generoso con i propri collaboratori. Ce lo ricorda la faida con Neil Gaiman sui diritti di Angela, l’altra, sempre con Neil Gaiman, sui diritti di Miracleman e lo testimonia pure Luca Scatasta nel 1994: nei primi numeri della rivista contenitore Image giustifica il prezzo, all’epoca sopra la media, dicendo che la casa madre è stata esosa nella cessione delle licenze.
Scrive Sean Howe, su Marvel Comics. Una storia di eroi e supereroi: «la sincerità delle sue risposte era insopportabilmente grossolana o rinfrescante perché priva di pretenziosità, a seconda dei punti di vista». E questo gli permette di essere supponente in un periodo in cui, in fondo, se lo può permettere. Entità come Wizard contribuiscono ad alimentare il culto della personalità (il web è pieno di interviste inginocchiate, ma, davvero, Wizard toccava vette che in confronto le telecronache di Mauro Suma sembrano Frost/Nixon) in un feedback positivo per cui la stampa stimola un certo tipo di dichiarazioni smargiasse che a loro volta titillano le riviste. Parliamo di un autore che si è citato addosso una, due, infinite volte. Oggi non so quanto le sue sparate attecchirebbero – immagino ci sia sempre pronto un Robert Kirkman pronto a smentirmi dichiarando di voler salvare l’industria del fumetto.
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Vent’anni dopo, Todd McFarlane scrive e disegna (pochissimo) solo Spawn – gli altri suoi progetti a fumetti (Haunt, Savior) hanno avuto vita breve – e si è fatto imprenditore e mogul matto. Non saprei come definire altrimenti uno che compra una palla da baseball per quasi tre milioni di dollari, solo perché è stata protagonista di un record del settore, cioè il 70simo home run in una sola stagione del battitore Mark McGwire, il primo a infrangere il record in trent’anni di storia dello sport (con l’aiuto delle proteine). Todd McFarlane di fuoricampo ne ha battuti tanti, può essere che all’epoca fosse stato dopato dalle contingenze. Però, ragazzi, quant’era divertente vedere la palla scomparire tra la folla degli spalti.