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Lucifer: la discesa dagli inferi alla tv

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In un periodo in cui l’industria dell’entertainment americana produce centinaia di serie televisive in un anno e tra quelle di maggior successo molte sono tratte da fumetti (basti pensare all’inesauribile corsa di The Walking Dead o all’ampliarsi dell’universo DC in tv), il meccanismo produttivo che si va a creare ha dato un ulteriore colpo ai serial tradizionali (quelli senza continuity), intorno ai quali tradizionalmente ruotava buona parte dell’intrattenimento televisivo (i crime, tanto amati anche da noi).

L’evoluzione narrativa seriale non si è affermata in tv grazie ai fumetti, ma di certo trova da tempo consolidamento con essi e grazie a essi. C’è pur sempre anche tutta una fetta di serial ispirati alla narrativa romanzesca, ma si tratta di una situazione diversa, all’interno della quale lo storytelling preclude già una conclusione, a differenza delle – teoricamente – infinite possibilità che offrono gli universi fumettistici.

A portare nuova linfa al tradizionale stile del crime – a farle resistere – negli ultimi anni è il filone che ruota attorno all’occulto (che nel passato recente dava sì successi, come Medium, ma con limiti di target, giovanile o femminile). Un titolo come Grimm, che va avanti trovando sempre nuova linfa ed evoluzione, ne è esempio. Ma si tratta di un genere complicato, nel quale unire l’immaginario fantasy al genere investigativo rischia molto spesso di sfociare nel pacchiano, e i fallimenti sono dietro l’angolo; è il caso di Forever, interpretato da Ioan Gruffudd, il volto di Reed Richards in Fantastic Four e Fantastic Four: Rise of the Silver Surfer, ma anche il caso di Constantine, se vogliamo, fallito anche per come poco era riuscito a evocare lo spirito violento e sopra le righe del fumetto originale, preferendo schemi narrativi troppo ordinari.

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In questo solco si inserisce anche un’altra serie tv ispirata a un personaggio dei comics – sempre DC Vertigo – il recente Lucifer (in USA sul canale FOX). Lo show è basato sul personaggio creato da Neil Gaiman, Sam Keith e Mike Dringenberg (inizialmente la sua immagine era ispirata a quella di David Bowie), nato dalle pagine di Sandman e dal 2000 al 2006 proseguito su una propria testata durata 75 numeri. Con essa il serial tv ha in comune ben poco, distanziandosi dai temi mistici e raffinati. A oggi sono stati trasmessi 3 episodi, dei 12 previsti, l’audience è passata dai 7,16 milioni di spettatori del primo episodio ai 5,47 del terzo; per ora rispettabili se si pensa che Constantine aprì sul network NBC con poco più di 4 milioni senza mai superare i 3 per tutta la stagione, subendo quindi la chiusura.

In Lucifer vediamo il protagonista Lucifer Morningstar (il Signore degli Inferi) sceso sulla Terra dall’Inferno per vivere a Los Angeles, poiché annoiato dagli Inferi; gestisce una discoteca e sembra annoiarsi pure nella nostra realtà, tanto che appena conosciuta una detective pensa bene di mettersi a darle una mano a risolvere crimini. Non proprio il passatempo che ci si aspetterebbe da Lucifero. Infastidendo la detective, ma anche intrigandola, si intromette nelle indagini e utilizza i propri poteri senza farne troppo mistero.

Lo schema è piuttosto ordinario, sia dell’impianto generale che delle singole indagini. Niente delle indagini affrontate o degli ambienti mostrati contiene particolari elementi di sorpresa, tanto che fino ad adesso la serie ha fatto notizia quasi esclusivamente per le continue proteste dell’associazione One Million Moms, indignata per come la serie «glorifica Satana rappresentandolo come un individuo in carne e ossa premuroso e affascinante». Tutto questo mentre il New York Times ci va giù duro e apre un articolo su Lucifer dicendo che «il Demonio si meriterebbe di meglio…».

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Ma allora cosa distingue Lucifer e cosa potrà salvarlo nello spietato ed esigente contesto televisivo americano? Forse solo la figura del protagonista, che fa di tutto per risultare divertente, costituendo un elemento di appeal (per il grande pubblico, non per i fan hardcore dei comics).

Lucifer è una macchina da punchline, sparate peraltro a raffica, una dopo l’altra e in accento britannico. Di fatto si tratta di battute scritte con gusto, il solo problema è che a pronunciarle è una figura parodistica sopra le righe, che sfugge vacuamente alla comprensione. Lucifer è una macchietta sessualmente ambigua, sempre in bilico tra il birbante e l’irritante. Poi c’è il suo accento british, che le produzioni USA usano o per dare tono solenne o per ridicolizzare, ma in questo caso finisce troppo spesso per cadere nella prima. Il contesto californiano, glitterato e assolato, se da una parte serve a rafforzare l’allure di contraddittorietà che avvolge Lucifer (fuggito dall’Inferno non va certo a trovare sollievo in una città oscura, anzi), dall’altro rischia di accentuare il tono da crime classico, facendola sembrare una sorta di CSI, anzi “CSI: Inferno”.

Nei primi episodi, si accenna la possibilità dello sviluppo di una tematica affrontata con forza anche nel fumetto, quella del libero arbitrio e del desiderio, ma finora l’aspetto sembra limitarsi ai poteri del protagonista; mentre un’altra problematica è quella della personalità di Lucifer, apparentemente combattuto tra il desiderio di indipendenza e di affermazione personale, ma poi sempre – ovviamente – pronto a cadere nella soddisfazione di piaceri effimeri.

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