HomeFocusProfiliCutting Edge: dall'Italia alla Francia e ritorno. Intervista a Francesco Dimitri

Cutting Edge: dall’Italia alla Francia e ritorno. Intervista a Francesco Dimitri

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di Enrico Piscitelli

A ottobre dello scorso anno, Panini Comics ha pubblicato il primo volume di una serie già pubblicata nel 2013, in Francia, da Delcourt: Cutting Edge. I due autori sono italiani: Francesco Dimitri, prolifico scrittore di storie dense di magia e immaginario, e Mario Alberti, che ha all’attivo lavori con Marvel, DC, Bonelli, Les Humanoïdes Associés. Non è la prima volta che un fumetto italiano uscito in Francia viene poi ripubblicato da un editore italiano (due esempi: Sky Doll di Barbucci e Canapa e Morgana di Enoch e  Alberti, sempre lui) ma è un ottimo spunto per fare qualche domanda a Francesco Dimitri.

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Francesco, che cos’è Cutting Edge?

Non saprei definire bene Cutting Edge: è nato dalle passioni (e ossessioni) sia mie che di Mario, quindi è un po’ una bestia ibrida. È una storia corale, character-driven, come dicono qui [Francesco vive a Londra, N.d.r.]. È un thriller soprannaturale, o meglio, “magicamente realista”. Ed è, mi piace pensare, un inno alla speranza in tempi difficili.

Come è nata l’idea e come avete lavorato?

È nato tutto su Facebook. Mario aveva comprato un mio libro, Alice nel Paese della Vaporità, gli era piaciuto e mi aveva contattato. Io sono appassionato di fumetti da tempi non sospetti (il mio primo tatuaggio, fatto a 18 anni, è lo stemma di Superman…). Abbiamo deciso di fare qualcosa insieme, ma non sapevamo cosa. Io gli ho mandato un po’ di idee che mi frullavano in testa, e una di queste l’ha incuriosito: una sfida globale tra personaggi larger than life. Abbiamo iniziato a rimbalzarci idee, personaggi, situazioni, in uno scambio di email e chiamate su Skype fittissimo (ma fittissimo), durante il quale siamo anche diventati molto amici. Il progetto è davvero di entrambi, in ogni aspetto, e credo che si senta. Poi abbiamo continuato a lavorare così, sentendoci via mail o su Skype ogni volta che uno dei due aveva bisogno di qualcosa. Le mie sceneggiature sono piuttosto dettagliate, ma Mario cambia sempre qualcosa, e la cambia sempre per il meglio.

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Com’è arrivata la pubblicazione con Delcourt? E perché vi siete rivolti a un editore francese?

La via per la pubblicazione è stata relativamente liscia: abbiamo preparato un dossier molto sostanzioso, con storia, schizzi, ambienti, idee, e quant’altro, e lo abbiamo portato in Delcourt. E in Delcourt l’hanno comprato. Abbiamo pensato alla Francia prima che all’Italia per diversi motivi. Il principale è che per produrre una storia come Cutting Edge, la Francia è un po’ il posto naturale: è una serie d’avventura per certi versi molto classica e per altri per niente, e il formato francese permette una serie di giochi linguistici e artistici che nessun altro formato al mondo permette. E poi David Chauvel, il nostro editor, è uno spasso, ed è davvero bello lavorarci.

Yu hai decisamente un immaginario differente da ciò che ci si aspetta da un autore italiano – a parte Valerio Evangelisti e pochi altri. In Alice nel Paese della Vaporità, che ha conquistato Mario, costruisci un mondo che è insieme steampunk, un’ucronia, un omaggio a Lewis Carroll e molte altre cose. Cosa ti porta a questo, a voler costruire interi mondi nelle tue narrazioni?

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Io mi sento molto poco Italiano – e vivo felicemente all’estero da quasi sette anni, a ben pensarci (‘azz, come passa il tempo). Non è che abbia pregiudizi verso produzioni italiane, e ce ne sono state (e ce ne sono) alcune di altissimo livello. Anche alcune che mi piacciono molto: solo per pescare i primi due nomi che mi vengono in testa, Hugo Pratt e Milo Manara sono per me dei mostri sacri. E Bonelli e Disney hanno un livello medio davvero elevato. Però sono cresciuto soprattutto con libri e fumetti inglesi e americani. Leggevo Arthur Machen più che Alberto Moravia, Algernon Blackwood più che Dino Buzzati, Stephen King più che Enrico Brizzi, e così via. E sì, Evangelisti, ma lui non conta come Italiano.  Credo sia naturale che quelle siano le influenze che si sentono, e mi fa piacere si sentano. È una questione di sensibilità, di gusti.

Che differenza c’è tra scrivere romanzi e scrivere fumetti?

Sono due tipi di scrittura molto diversi. Quando scrivi un romanzo hai in mente soltanto i lettori: stai facendo la cosa che i lettori avranno per le mani. Ma quando scrivi una sceneggiatura, hai in mente prima di tutto il disegnatore: è un documento di dialogo con lui. Se provi a scrivere un romanzo come se fosse un fumetto, o un fumetto come se fosse un romanzo, finisci per fare porcate. Ho scritto in molti diversi media (romanzi, fumetti, giochi, magazine, crowdsourced storytelling, film), e trovo che la scrittura di fumetti sia, da un punto di vista tecnico, forse la più difficile in assoluto. Ma è così appagante, quando un maestro come Mario ti mostra una tavola…

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