In merito ai fatti di Charlie Hebdo, Tim Kreider nel suo pezzo per il New York Times ha raccontato come, negli Stati Uniti, l’ultima volta che una vignetta avesse davvero fatto la differenza – incidendo sulla vita delle persone grazie al suo fare al contempo satira, denuncia e azione civile – fosse stato oltre 140 anni fa. Grosso modo, cioè, l’epoca di Thomas Nast, il ‘fondatore’ della satira disegnata americana.
Sarò breve – due paragrafetti, promesso – sulla storia del disegno satirico negli States. Perché voglio arrivare subito a lui: Thomas Nast. Tanto potente allora quanto ignoto oggi, soprattutto in Italia.
Storia della ‘vignetta politica’, in breve
L’editorial cartoon, la vignetta politico-satirica, nacque in Inghilterra a metà del XVIII secolo. Basta scorrere la pagina Wikipedia dedicata alla voce per appuntarsi i passaggi e nomi essenziali: l’inglese William Hogarth è indicato come il precursore del genere, anche se è ricordato più per i suoi meriti artistici che per quelli satirici. Il mezzo espressivo iniziò a fiorire – complice la Rivoluzione Francese – sotto la guida di James Gillray, George Townshend e Thomas Rowlandson. Gillray, in particolare, si dedicò a sbeffeggiare le ambizioni di Napoleone.
L’evoluzione proseguì con la nascita di Punch nel 1841, rivista che riscosse un grosso seguito in tutta la nazione. Fu proprio Punch a coniare il termine ‘cartoon’, prendendolo a prestito dall’italiano ‘cartone’, quando degli schizzi per gli affreschi del Palazzo di Westminster vennero mostrati al pubblico. Con le nuove tecniche di stampa e la diffusione delle pubblicazioni, le vignette satiriche presero piede e, per la metà del XIX secolo, quasi tutti i maggior quotidiani del mondo le presentavano sulle loro pagine. Fine del riassunto.
Mister Thomas Nast, il tedesco che reinventò Babbo Natale
Negli Stati Uniti, il padre dell’editorial cartoon è Thomas Nast. Nato nel 1840 a Landau, nel sud-ovest della Germania, Nast emigrò negli Stati Uniti in tenera età, a causa dei dissidi del padre con il governo locale. Come illustratore, si fece una reputazione commentando eventi di grande presa sul pubblico, come gli incontri di pugilato o – guarda un po’ – le imprese di Garibaldi durante l’unificazione italiana. Risalirebbe a lui l’iconografia moderna del Babbo Natale in carne con guance rubiconde, abito rosso e renne al seguito – come riconoscono anche alla Coca-Cola – e quella dei simboli dei due partiti politici statunitensi, l’asino (i democratici) e l’elefante (i repubblicani).
Vicino allo stile ad acquerello monocromatico in gioventù, Nast introdusse nei suoi disegni un caratteristico tratteggio fitto ispirandosi all’illustratore inglese John Tenniel (l’indimenticabile autore delle immagini di Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie). Tra le sue peculiarità grafiche: l’influenza realistica della madrepatria tedesca, l’uso di riferimenti fotografici e una composizione articolata che abbandonerà per una definizione centrata della vignetta.
Le dure battaglie satiriche
Nei suoi lavori Nast si scagliava spesso contro i cattolici – rei di minacciare, all’epoca, i sani valori americani – e contro gli irlandesi, che vedeva come ubriaconi violenti e pericolosi, capaci solo di raggrupparsi in gang mafiose. Simpatizzava invece con gli Indiani d’America, i cinesi e i neri, opponendosi con forza alla schiavitù e alle segregazioni razziali. Introdusse inoltre la pratica, poi diventata consueta, di riprendere scene shakespeariane per adattarle ai tempi moderni, con un evidente sottotesto politico. La sua, come l’intero sistema satirico, era una satira condizionata tanto dalle proprie idee quanto dalle pressioni sociali (forse il limite più grave del genere): non era raro vedere quelle popolazioni di colore ora difese ora sbeffeggiate e ridotte a stereotipo da romanzetto d’appendice.
Il suo apporto maggiore fu però aver contribuito alla caduta di William M. Tweed, detto Boss Tweed, politico e leader di Tammany Hall, l’organizzazione controllata dal partito democratico che teneva in pugno la New York del tempo e la cui base elettorale era composta dagli immigrati irlandesi tanto odiati da Nast.
In qualità di commissionario per i lavori publici della città, Tweed e la sua cricca, ribattezzata «l’Anello», frodarono la città di milioni di dollari gonfiando i conti dei fornitori, a loro volta collusi con l’organizzazione. La stampa denunciò i soprusi dell’Anello, ma pezzi come quelli del New York Times contro Tweed non incisero quanto le graffianti rappresentazioni di Nast, che ritrasse il boss come un vecchio panzone affamato di denaro: «Non poteva avere una donna, ne voleva due. Non poteva avere un cosciotto, ne voleva quattro. Non poteva avere un giudice dalla sua parte, li voleva tutti».
Nast intensificò le sue accuse nel biennio 1870-71; Tweed non poté sopportarlo. «Fermate quelle maledette vignette» ebbe a dire «Non m’importa cosa dicono i giornali di me. I miei elettori non sanno leggere, ma non possono fare a meno di vedere quelle maledette vignette!». Le pressioni di Nast e del New York Times, unite alle numerose rivolte che erosero il controllo di Tweed sulla popolazione, riuscirono a imporre l’esame sui libri contabili della città. Tweed la scampò solo grazie alla presenza di uomini dell’Anello nella commissione, che concluse a favore del Tammany.
Cionondimeno, il boss iniziò a temere Nast a tal punto da fare in modo che il caricaturista ricevesse una ‘borsa di studio per approfondire la sua passione artistica in Europa’ di 100.000 dollari (quasi due milioni di dollari, in valuta corrente). Nast stette al gioco e dopo aver negoziato un cifra cinque volte maggiore, rifiutò la mazzetta. Tweed minacciò allora l’Harper’s Weekly, la rivista che ospitava le vignette di Nast, di boicottarlo se avesse continuato a pubblicare i lavori dell’autore. Harper’s supportò il disegnatore, che potè continuare i suoi attacchi. Nel novembre del 1871, nonostante la rielezione di Tweed, l’Anello si era indebolito a tal punto da far crollare il sistema gerarchico: molti dei membri erano stati arrestati e i pochi ancora liberi collaborarono per assicurare Tweed alla giustizia.
William M. Tweed venne arrestato per frode nel 1873 e, quando due anni dopo tentò la fuga dal carcere federale di New York rifugiandosi prima a Cuba e poi a Vigo, in Spagna, gli ufficiali lo riconobbero proprio grazie alle vignette dell’Harper’s.
Dopo lo scandalo dell’Anello, Nast assurse a figura influente nel panorama politico, diventando pedina essenziale alla scalate dei repubblicani Ulysses S. Grant e Rutherford B. Hayes alla Casa Bianca, prendendo in giro con i suoi fumetti i rivali democratici. Se con Grant strinse una profonda amicizia, con Hayes i rapporti si raffreddarono presto e sull’Harper’s Nast criticò con ferocia le politiche del presidente. Questo portò l’editore, dopo la morte del fondatore Fletcher Harper (sodale di Nast), a censurare molte delle vignette critiche verso Hayes e i repubblicani.
Dopo un periodo di silenzio in cui smise di disegnare perché non si sentiva di appoggiare alcun candidato alla Casa Bianca, Nast diventò un mugwump, cioè un riformatore repubblicano passato ai democratici in occasione delle elezioni del 1884, e simpatizzò per Grover Cleveland. Il nipote dell’artista avrà a dire che: «Il supporto offerto da Nast fece la differenza per lo stretto margine con cui venne eletto Cleveland».
L’abbandono dell’Harper’s Weekly coincise con la caduta in disgrazia del vignettista: perse molti dei suoi guadagni e il suo stile di disegno passò di moda, in favore del tratto meno nervoso e più semplice di autori come Joseph Keppler. Tentò di tornare alla ribalta con un nuovo giornale e un nuovo candidato da supportare, il repubblicano Benjamin Harrison, ma Harrison venne sconfitto e la pubblicazione chiuse poco dopo. Per offrirgli un sostentamento, l’amministrazione Roosevelt lo inviò come emissario in Ecuador, dove contrasse la febbre gialle e morì nel dicembre del 1902.
Thomas Nast rimane il simbolo di un’arma di persuasione potente come l’immagine, più facile da ricordare di un testo e più incisiva come veicolo di un messaggio non mediato. «Quando si attacca un uomo con la sua penna» scrisse Nast «sembra sempre che allo stesso tempo ci si stia scusando di quello che si fa. Io cerco solo di colpire il nemico in mezzo agli occhi e abbatterlo».