Ogni sette anni, il corpo umano conclude il processo di rigenerazione delle cellule di cui è composto. In pratica, siamo una persona materialmente diversa allo scadere di ognuno di questi cicli. Ora, dato che Tito Faraci ha 49 anni, il titolo del suo romanzo edito da Indiana Editore si spiega perfettamente.
Con Nato sette volte (Indiana Editore, 2014), Faraci guarda indietro e ricorda, affrontando con coraggio i ricordi di gioventù e sfidando il tempo che passa, ma sempre munito della consueta sensibilità e di una buona dose di autoironia che gli permette di non di farsi imbrigliare da nostalgia e rimpianti. Restando così, fino alla fine, allora come oggi, animato dalla più sana e inossidabile voglia di rinascere. Ancora, per l’ottava volta.
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Il protagonista di Nato sette volte si chiama Luca, il tuo vero nome. Ha la tua età, 49 anni, e di professione fa lo sceneggiatore di fumetti. Eppure affermi che non si tratta di un romanzo autobiografico. Insomma: spiegati meglio.
In fin dei conti, metto qualcosa di me stesso in ogni storia, in ogni personaggio. Anche quando sceneggio Topolino o Tex. Certo, qui la distanza è minore. Il Luca protagonista di “Nato sette volte” mi assomiglia molto, in certe cose. E per nulla, proprio per nulla, in altre. Ho preso pezzi reali della mia vita e li ho mischiati a pezzi inventati. Luca è una sorta di “me stesso” di un universo parallelo. Peggiore di me, decisamente, anche se poi si finisce – credo – per volergli bene. Mi rendo conto di avere camminato vicino al confine, su una linea sottile, ma non l’ho valicata. Questa storia è una storia. Inventata.
L’editor di Indiana Editore che ha curato il libro è Matteo B. Bianchi, con il quale quasi 30 anni fa iniziasti a scrivere proprio sulla fanzine musicale di cui si parla nel libro, Anestesia Totale. L’idea di raccontare questa storia è nata insieme a lui?
Matteo B. Bianchi, qualche tempo fa, ha scritto un breve romanzo, intitolato “Sotto anestesia”, in cui ha raccontato fedelmente – lui sì – la nostra storia di giovani fanzinari nella metà degli anni Ottanta. Mi sono ritrovato protagonista di quel libro, tra l’altro molto bello. Una cosa che mi ha colpito. C’era del buon materiale narrativo. Era una bella avventura da raccontare. L’anno scorso, Matteo mi ha proposto di scrivere un romanzo per la collana Tracce, dell’editore Indiana, di cui lui è il curatore e che ospita romanzi legati al tema della musica. Matteo mi ha dato un piccolo spunto: “Tito, potresti fare una specie di ‘The Commitments’ nella new wave italiana degli anni Ottanta”. Da qui e da “Sotto anestesia”, è nata l’idea di “Nato sette volte”, che però è una cosa ancora diversa. Una cosa molto mia, senza ombra di dubbio (buona o cattiva che sia).
In copertina c’è un bel disegno di Alessandro Baronciani. C’è un motivo per il quale hai scelto proprio lui come copertinista?
Alessandro è un amico, un collega che stimo… ed è anche un musicista. A me e a Matteo, è sembrato l’uomo giusto al posto giusto. Della copertina di “Nato sette volte” sono molto felice. Una cover che è… be’, una cover. Riprende infatti la famosissima copertina di “Love Will Tear Us Apart”, dei Joy Division. Una delle canzoni della mia vita.
Riferimenti al mondo del fumetto italiano, di cui sei parte integrante, ricorrono spesso tra le pagine, non senza una punta di malizia e di ironica insofferenza. Ė legittimo sospettare che tu stia meditando una “ottava vita” da romanziere?
No, no… tranquilli. Nessuna intenzione. Con il fumetto ho un rapporto, per così dire, “materno”. Lo rimprovero spesso, “in casa”, ma guai a chi me lo tocca “da fuori”! Lo difendo a spada tratta, spesso anche in rete. Il fumetto per me è – e sarà sempre – la prima scelta. Quella di romanziere non è una nuova vita. Semmai, una seconda vita.
E adesso arriva una prova importantissima, che posso annunciarvi. Il prossimo romanzo sarà per Feltrinelli.
La storia scorre che è un piacere e la si legge in una seduta. Come un fumetto di Tex, potremmo dire. Per scriverla hai sudato più o meno di quando scrivi per Bonelli?
Ho faticato molto di più. La mia cassetta degli attrezzi (definizione rubata a Stephen King) di sceneggiatore è stata riempita in anni e anni di pratica. Ci trovo sempre lo strumento giusto e so come usarlo. Con la narrativa, sento di stare ancora sperimentando. Il che è anche un bene, intendiamoci. Ma ogni pagina di “Nato sette volte” è stata intrisa di sudore (ehi, che immagine orribile…).
Tra passato e presente, Milano è lo sfondo fisso della storia, visibile nei luoghi (assolutamente reali) attraversati dai personaggi. Dì la verità: questa città ti piace, e molto.
Mi piace ogni anno di più, anche a volte se mi fa incazzare. Come i fumetti. Sono grato a Milano, per la mia strana e bella vita. Quella che ho voluto. La bicicletta che Milano mi ha dato, dicendomi: “Adesso pedala”.
Quanto dobbiamo aspettare per vederti tornare sul palco con i Litania?
Finché l’Inferno non sarà congelato.