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La lingua del pipistrello. Tradurre Batman: Il lungo Halloween [intervista]

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Batman: Il lungo Halloween è un’opera che, sul suolo italico, è stata pubblicata in varie forme ed edizioni. La prima, alla fine degli anni Novanta, a puntate nel mensile dedicato al Cavaliere Oscuro della Play Press; poi, nel 2007, in volume per i tipi di Planeta DeAgostini (che rieditò l’opera anche all’interno della collana Batman: La leggenda). Quest’ultima edizione è stata recentemente pubblicata con una nuova veste grafica da RW Lion. Nel passaggio tra lo spillato e il volume, Il lungo Halloween cambiò traduzione (e titolo).

Abbiamo parlato con Alessandro Bottero (traduttore e curatore del mensile Play Press) e Velia Februari e Claudia Crivellaro (traduttrici della versione Planeta) di come abbiano affrontato il lavoro e, in generale, del delicato mestiere del traduttore.

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Le tre edizioni in volume de Il lungo Halloween

RW Lion ha ristampato Il lungo Halloween, pubblicato in prima battuta nel mensile di Batman della Play Press. Alessandro, puoi parlarci del lavoro in generale? Che esperienza è stata?

Alessandro Bottero: È stato un lavoro come altri. Era necessario tradurre la storia, era una storia bella e quindi la traduzione è stata piacevole, ma alla resa dei conti è un lavoro che uno fa per vivere, non un hobby, quindi bisogna farlo nei tempi richiesti dall’editore e in modo che i lettori non si lamentino, o almeno non si lamentino tanto da mandare in crisi l’editore che decide di cacciarti perché quattro lettori si lamentano perché hai tradotto “Bi” invece che “Ba”. Il lavoro di traduttore di fumetti in generale è uno dei lavori meno considerati e più sottopagati in tutto questo campo. Col fatto che l’inglese è una lingua studiata a scuola, tutti i lettori, senza nessuna eccezione, nel loro intimo pensano di saper tradurre meglio di te. Oltretutto chi traduce fumetti si sente sempre dire «Sì vabbé, ma sono fumetti. Lo sapevo tradurre anche io, che ci vuole».

Se può essere interessante, io all’epoca per la traduzione Play Press presi 8.000 lire a pagina. Oggi i traduttori prendono da 2 a 3 euro a pagina, quando sono fortunati. Quindi se dico che è un lavoro sottopagato dico la verità. Dopo 15 anni il traduttore di fumetti viene pagato meno di quel che veniva pagato prima dell’avvento dell’euro. Solo che nessuno lo dice perché nessuno vuole finire sula lista nera dei rompicoglioni e quindi non ricevere più lavori. Dal mio punto di vista è evidente che se mi paghi da schifo esigendo il lavoro in tempi brevi è molto probabile che riceverai un lavoro fatto male.  La tariffa non dico giusta, ma perlomeno non da presa per il culo dovrebbe essere quella di 5 euro minimo per pagina tradotta. Ma ovviamente ai lettori di tutto questo non gliene frega nulla.

E invece la traduzione fatta sotto l’egida Planeta come è andata?

Velia Februari: La traduzione de Il lungo Halloween che risale al lontano 2007 doveva essere svolta in dodici giorni ed era quindi impensabile che ci lavorasse un solo traduttore. In accordo con l’editore, io e Claudia ci siamo spartite il lavoro a metà, uniformandoci sulle scelte traduttive nel corso del lavoro. Né io né lei avevamo grande esperienza nella traduzione di fumetti; è stato un esercizio entusiasmante e istruttivo, che purtroppo non ha avuto seguito. In particolare posso dire che nel fumetto si presta grande attenzione all’economia del linguaggio. Nel passaggio dall’inglese all’italiano il materiale linguistico in genere tende ad aumentare, ma avendo a disposizione uno spazio limitato (il balloon, o nuvoletta che dir si voglia) è necessario ridurre al minimo il numero di battute.

Conoscevate già Il lungo Halloween prima di affrontarlo in traduzione? In generale, che rapporto avete con il fumetto?

Claudia Crivellaro: Non conoscevamo quell’opera, ma da un anno stavamo lavorando col gruppo Planeta sulla riedizione di diversi comics, tra cui anche vecchi numeri di Batman. Pertanto avevamo già sperimentato le dinamiche del linguaggio. In particolare la “tradizione della traduzione”, che non è solo un gioco di parole: è convenzione che i termini “classici” con cui si traducono nomi, soprannomi e altre cose non possono essere variati, anche se a prima vista al traduttore possono apparire desueti, pena la rivolta dei fan.

A cosa si deve la scelta del titolo La lunga notte di Halloween rispetto all’originale Long Halloween?

Alessandro Bottero: Semplicemente perché odio la tendenza di lasciare titoli in originale. Se è possibile trovare titoli in italiano facciamolo. Siamo in Italia, no? E allora usiamo titoli italiani. Oggi i titoli si lasciano in inglese per motivi commerciali, e anche per risparmiare tempi di lavoro. Se devi ricreare un titolo in italiano usi del tempo, e i grafici, che anche loro sono sotto pressione e hanno poco tempo, quando non devono intervenire per modificare il titolo originale ti amano. Ma soprattutto trovo una cosa stupida lasciare i titoli inglesi per un’edizione italiana. Poi, se l’editore mi dice «Alessandro, il titolo lo lasci in originale», siccome lui paga lui può fare quello che vuole.

Ma una traduzione più logica avrebbe voluto che chiamassi l’opera Il lungo Halloween, perché proprio “la lunga notte”?

Alessandro Bottero: Perché è una notte. Una notte in cui il male si muove e opera. È la notte in cui cade Harvey Dent. È la notte in cui vive Carmine Falcone. In cui vive Gotham. È una notte lunga tredici mesi. La notte in cui vive Batman.

In generale, su prodotti seriali in cui i nomi di personaggi e luoghi sono stati tradotti da altri, si tende a seguire il percorso già tracciato o i dettami dell’editore; ma dal punto di vista del traduttore, questa scelta appare sensata o si vorrebbe imporre la propria idea sul lavoro?

Alessandro Bottero: Se in un prodotto seriale esistono termini o nomi già tradotti la cosa più sensata quando si traduce è vedere se le traduzioni precedenti abbiano senso. Se ce l’hanno, anche se a me non piacciono, per correttezza è il caso di mantenerle. Se non ce l’hanno allora sei libero di intervenire. Ma solo se la tua nuova versione ha più senso della precedente. Molti traduttori pensano di essere scrittori e quindi vogliono fare letteratura, e questa è una grandissima fesseria. Prima fai il traduttore, poi dopo che hai imparato come si fa, allora fai delle traduzioni da artista. Se lavori su un prodotto seriale il primo passo è il rispetto per le scelte fatte da chi ti ha preceduto, che non è un cretino e ha lavorato proprio come stai facendo te. Se però, dopo aver riflettuto sulle scelte altrui, sei convinto di dover cambiare una cosa, allora fallo. Ma anche qui, se l’editore dice «Alessandro tu XXX lo traduci come si è sempre fatto, e basta», è lui che paga, e quindi si fa come dice lui.

Claudia Crivellaro: Sul fumetto in modo particolare si è costretti a seguire le tracce precedenti. In effetti molte volte li si vorrebbe modificare, rendere più attuali, ma non è possibile. Gli appassionati del genere hanno bisogno di riconoscersi nei termini classici. Cambiarli può creare una vera e propria rivolta. Credo sia una delle particolarità più importanti da ricordare quando si lavora su traduzioni di questo tipo.

Alessandro, rispetto alla nuova traduzione, il tuo adattamento risulta più formale. È stata una scelta consapevole rispetto al testo di Loeb o questo iato stilistico si avverte perché il linguaggio di oggi è più informale?

Alessandro Bottero: Io so solo che quando l’ho tradotto se si usava un linguaggio “parlato” a momenti le redazioni andavano in crisi, perché «Non va bene!». E quindi, sempre perché è l’editore che paga, ho cercato di stare attento a congiuntivi e altro. Però devi ricordare une cosa. Tra la traduzione che uno manda in redazione e il prodotto stampato c’è la redazione che fa un adattamento, rileggendo la traduzione e se vuole cambiando. Quindi nella versione finale non c’è solo la traduzione, ma anche chi la rivede e nel caso la cambia. Io spesso ho visto testi pubblicati che erano diversi da quello che avevo spedito. Ma siccome il nome del traduttore è sempre il mio poi le lamentele dei lettori sono indirizzate a me. Comunque, potrei dirti che Long Halloween per me era una tragedia e quindi un linguaggio un po’ più ridondante e meno “terra terra” ci stava bene.

Nella storia sono presenti molte filastrocche e rime non appartenenti al folklore italiano (la filastrocca di Solomon Grundy o quella storpiata dallo Spaventapasseri di Pat-a-cake, pat-a-cake, baker’s man); in casi del genere, preferite una fedeltà filologica al materiale o un adattamento che avvicini il senso del testo al lettore, pena però un allontanamento dalla fonte originale? Meglio la fedeltà al contenuto o alla rima?

Alessandro Bottero: Assolutamente alla rima. Sono in rima? E allora servono delle rime. Ma delle rime che conservino il contenuto. Questo significa non tradurre pedissequamente il testo in inglese, ma capire il senso del testo e creare nuove rime che in italiano diano lo stesso contenuto informativo, con rime italiane. Per inciso questo è il motivo per cui le storie con l’Enigmista sono le peggiori in assoluto da tradurre. Perché devi ricreare degli indovinelli in italiano, cercando di conservarne il senso, anche se i giochi di parole su cui si basano in inglese sono impossibili in italiano. Questo significa che devi inventarne di nuovi, che però siano coerenti con le storie.

Velia Februari: Questo dipende molto dall’editore. Ci sono editori che chiedono di addomesticare l’alterità e quindi di avvicinare il testo al lettore italiano. In questo caso abbiamo privilegiato il ritmo e la rima. Ciascuna traduzione pone di fronte a una scelta e, come insegna Umberto Eco, il traduttore deve negoziare con il testo. Il dilemma tra bella e infedele o brutta e fedele è antico e per certi versi sorpassato. Potremmo parlarne all’infinito senza arrivare a una soluzione. Per quanto mi riguarda, quando penso alla traduzione mi vengono sempre in mente le belle parole di Èdouard Glissant: «Arte della vertigine e dell’erranza […] Arte della fuga da una lingua all’altra, senza che la prima si cancelli e senza che la seconda rinunci a presentarsi. […] Arte dello sfiorarsi e dell’avvicinarsi, […] una pratica della traccia».

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