Hamid-Reza Vassaf è un artista originario di Teheran; è fotografo, grafico, disegnatore e fumettista. Durante la scorsa edizione del festival ravennate Komikazen, Vassaf è stato ospite con incontri e una mostra, portando la sua testimonianza di artista fuggito dalla repressione del regime iraniano. Trasferitosi in Francia, Vassaf si è avvicinato alla cultura occidentale adottando il linguaggio del fumetto per veicolare, con nuove soluzioni, una poetica narrativa e visiva che l’autore ha da sempre dedicato alla libertà di espressione e alla tradizione mitologica persiana.
Nel 2006 pubblica Nel paese dei mullah, il suo primo graphic novel (in Italia edito quest’anno da Eris Edizioni). Il libro rappresenta uno sguardo sulla storia recente dell’Iran, tanto lucido quanto ispirato e visionario. Nel libro, un incrocio di fatti di cronaca camuffati da vicende immaginarie mostrano un quadro sociale complesso, che dall’occidente possiamo pretendere di comprendere solo in parte, tra relazioni internazionali, diritti delle donne, repressione culturali, libertà di stampa e di espressione.
Nel paese dei mullah è un’opera complessa e stratificata, che sa disturbare il lettore unendo un immaginario visivo forte, composto da spietati contrasti tra bianco e nero, con tematiche violente e lontane dalla cultura occidentale, da affrontare scevri da (pre)giudizi. Vassaf, comunque, non elabora un racconto in tutto e per tutto chiaro. La costruzione della storia non appare sempre del tutto chiara, complice il fatto che Nel paese dei mullah è la prima esperienza dell’autore con un mezzo espressivo a lui nuovo, al quale si è avvicinato al suo arrivo in Francia. Seppure non del tutto padrone del medium, Vassaf mostra chiaramente la sua abilità di artista consapevole, elaborando un’opera dalla prospettiva colma di coscienza storica e sociale.
Abbiamo incontrato l’autore durante Komikazen e – grazie anche alla collaborazione di Eris Edizioni – abbiamo avuto modo di parlare con lui delle sue esperienze, della sua visione dell’arte e del fumetto, per comprendere meglio Nel paese dei mullah, uno dei graphic novel di maggior rilievo storico/sociale degli ultimi anni.
Sfoglia l’anteprima di Nel paese dei mullah.
Perché hai scelto di raccontare la storia recente del tuo paese usando il fumetto?
Per me l’arte è utile come mezzo di espressione, quindi a volte lo faccio con le foto, a volte con la pittura, e l’ultima esperienza sono stati i fumetti. Ma perché proprio i fumetti? Perché nel paese in cui vivo, la Francia, io sono straniero e il francese non è la mia lingua madre, pertanto, il fumetto mi aiuta a esprimermi, unendo immagini e testo. Il ruolo delle immagini, qui, diventano la mia lingua, arrivando a compensare la conoscenza della lingua.
All’inizio del libro viene mostrato l’incidente tra un cittadino iraniano e una nave americana, che tu racconti in modo distaccato, come se tu non fossi in schierato, nonostante tu sia iraniano. Perché questa posizione?
Sì, in effetti, dal punto di vista politico, osservo che in Francia la sinistra sostiene posizioni a favore dell’Iran, solo perché il mio paese si trova in opposizione con gli Stati Uniti. In realtà, lì in Iran si consuma il contrasto tra due sistemi capitalisti, perché non c’è niente di sinistra in Iran, dove c’è un regime religioso. E io, effettivamente, sono un osservatore esterno, perché non mi trovo né dalla parte degli americani, che hanno portato la loro nave lì nel Golfo Persico, né con gli iraniani, che rappresentano un regime.
Quindi senti che ci sia bisogno di fare chiarezza in Occidente, anche tramite il tuo libro?
Sì, io in tutta la storia sono un osservatore, e racconto ciò che ho visto, lo testimonio. Haji, il militare protagonista, non è un personaggio negativo, e nello stesso modo anche lo dello scrittore non è un personaggio positivo a 360°. Non è una guerra tra il bene e il male.
Dal punto di vista grafico, invece, i contrasti sono netti, tra il bianco e il nero. E il nero sembra vincere. Cosa intendi con questo?
Questo è il mio primo fumetto, nessuno mi conosce come fumettista. Ho scelto di fare un libro in bianco e nero, perché, non essendo conosciuto, sapevo che per le case editrici sarebbe stata un’operazione meno costosa. Perché non ho messo il grigio, invece? Avevo esperienza in Iran, non nel fumetto, ma facevo lavori che mostravano che mostravano un forte contrasto tra bianco e nero. Non c’erano dentro motivazioni filosofiche esplicite. Nel libro le figure umane sono nere, nella Storia stessa le figure umane sono nere.
Che tecniche hai usato per la realizzazione del libro?
Ho iniziato a mano ma, fortunatamente, poco dopo la mia famiglia mi ha regalato una tavoletta grafica. Quindi, dalla pagina cinquanta il libro è realizzato con la tavoletta grafica.
Ci sono fumetti occidentali che ti hanno ispirato?
Gli occidentali sembra sempre che abbiano la necessità di mettere tutto in categorie. Per esempio, all’inizio, una casa editrice mi disse che se avessi realizzato il libro ispirandoti alle antiche miniature iraniane, me lo avrebbero pubblicato sicuramente. Un giorno, ho proposto una sceneggiatura di genere fantascientifico a una casa editrice, ma conteneva più versioni della stessa storia, cioè la storia del mondo nella parte della Mesopotamia, poi la stessa storia che c’è nella Bibbia, e poi la stessa storia che è nel Corano. La casa editrice ne fu entusiasta, però volevano che inserissi qualcosa di più politico, sui Mullah ecc. Come se un artista che viene da un paese come il mio, che non lavora nelle categorie imposte dai media, venisse necessariamente emarginato o limitato.
Per fare un altro esempio, guardiamo Marjane Satrapi. Perché adesso non si parla molto delle sue nuove opere? Finché raccontava dell’Iran, della politica e della situazione sociale, era un conto, ma poi, quando ha voluto raccontare questioni universali, è come se i media gli avessero chiaramente detto «no, non ne abbiamo bisogno, a queste cose ci pensiamo noi».
Non dimentichiamo che siamo nel mondo della comunicazione globale di internet. Quando dite che io disegno come gli occidentali, dimenticate forse che chiunque ha modo di vedere film occidentali, quadri occidentali, ecce. Quindi è come se non esistesse più una distanza tra le fonti, la globalizzazioni delle immagini è completa.
Un giovane europeo vede la televisione, usa Internet, quindi il suo immaginario è lo stesso di un giovane iraniano. Sono differenti solo nella storia, nel punto di vista rispetto alla vita. Per esempio, se camminaste per le vie iraniane vedreste gli stessi cartelli stradali che ci sono in ogni altro paese.
Cosa pensi, invece, degli autori occidentali che raccontano all’oriente o lo osservano per ispirazione?
In effetti, quando leggo un autore occidentale che si esprime, ad esempio, sulla questione del rapporto sociale tra uomo e donna in oriente, mi rendo subito conto che è un punto di vista troppo esterno. Gli autori occidentali pensano che il problema delle donne iraniane sia il velo. Ed è per questo che il personaggio femminile del mio libro lo ho mostrato come una donna che ama indossare il velo, ma viene comunque uccisa. Come a voler ribadire che il problema delle donne non è il velo. Ad esempio, oggi il parlamento iraniano ha promulgato una legge presa direttamente dal Corano, che dà il diritto all’uomo di sposare le figlie adottiva. C’è un grande movimento di sinistra contro questa legge, ma anche da parte degli islamisti, e da parte delle donne che sono in parlamento, che sono quindi dentro il regime, ma contrarie a questa pratica.
Questo per dire che col mio libro ci tenevo particolarmente a mostrare come i veri problemi dell’Iran siano assai complessi, e non si limitino a questioni tutto sommato banali come quella del velo, come si percepisce in Occidente.