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Intervista a David X. Cohen, co-creatore di Futurama e sceneggiatore dei Simpson

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Futurama è la serie tv più cancellata di sempre. Un record che solo uno come Matt Groening può vantare. A differenza de I Simpson, però, Futurama fu un prodotto tanto voluto quanto ripudiato. Groening creò la serie a metà degli anni Novanta insieme a uno degli sceneggiatori dello staff simpsoniano dell’epoca, David X. Cohen. Cohen era l’uomo perfetto per il lavoro: appassionato del genere sci-fi, uomo di scienza, persino una X nel nome che gli dà quel gusto esotico (un posticcio che l’autore fu obbligato ad aggiungere per potersi iscrivere al sindacato degli sceneggiatori, che impedisce l’omonimia – e c’era già un altro David Cohen).

La 20th Century Fox non aspettava che un’altra vacca da mungere col nome di Groening scritto sopra, dopo che anni di Simpson avevano ingrassato le tasche del network. Poi, quando il fumettista e i suoi proposero una commedia a tinte fantascientifiche, i dirigenti dell’emittente non seppero che farsene. «È troppo strano», «Non c’è Homer» e cose del genere.

Così, si spararono su un piede e iniziarono a programmare lo show in maniera discontinua, e gli indici d’ascolto calarono, decretandone la fine. La palla passò a Comedy Central, che prolungò la vita della serie di altre due stagioni – con un intermezzo costituito dai quattro film creati per il mercato home video. L’ultima, la settima, si è conclusa nel settembre 2013.

Ora, a un anno di distanza, a poco tempo dalla messa in onda italiana e con un crossover con I Simpson appena trasmesso negli States, David X. Cohen riflette sull’esperienza più formativa della sua vita, raccontandoci le origini della serie, il proprio percorso lavorativo e, soprattutto, decretando il vincitore della più lunga faida che l’essere umano abbia mai conosciuto: è meglio Star Trek o Star Wars?

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Ok, prima di tutto: Star Trek o Guerre stellari? E, soprattutto, J.J. Abrams è l’uomo giusto? Ci sarà abbastanza Jar Jar Binks?

Mi sono sempre considerato un fan di Star Trek. Per quanto riguarda quale dei due ha avuto più influenza su Futurama, Star Trek è molto più vicino al modello che Futurama segue… È un gruppo di persone che vola per lo spazio e interagisce con strani alieni e strani membri del loro stesso equipaggio e che vive in un mondo che ha molte analogie con il nostro. Però ammetto che ora sono anche un fan di Guerre stellari, dato che in questi anni li ho guardati tutti (molte volte) con mia figlia e mi sono piaciuti. Tranne Episodio I. E il VI. E il II.

Su J.J. Abrams, mi è piaciuto il primo Star Trek perché è un modo impressionante e creativo per affrontare l’impresa di rivitalizzare una serie per l’ennesima volta. Penso che il secondo avesse troppa azione da supereroi. Il combattimento sulle auto volanti mi ha un po’ estraniato perché non mi sembrava che stesse avvenendo in un universo reale che rispettasse le leggi della fisica. Nonostante fosse una sequenza d’azione visivamente fantastica, non mi ha entusiasmato perché non sembrava che quei personaggi con abilità fisiche da supereroi fossero in qualche genere di pericolo o ci fosse una minaccia reale per loro. Troppa azione! E forse troppe citazioni a L’ira di Khan. Lo Star Trek che piace a me ha a che fare con idee fantascientifiche e risoluzione di problemi e interazioni tra personaggi.

Non so davvero cosa aspettarmi dai nuovi film di Guerre stellari. Dato che non sono così appassionato dalla serie potrebbe non darmi fastidio nel caso in cui non mi piacesse. Ma credo che mi darà fastidio un po’. No, d’accordo… Mi darà molto fastidio. Mi sa che a un certo punto mi sono davvero appassionato, dopo tutto. Non posso che sperare che venga bene. A proposito di Jar Jar, se sarà sullo schermo abbastanza a lungo da essere lentamente schiacciato sotto il piede di un camminatore Imperiale e poi raschiato via con un bastoncino e gettato in un fosso allora andrà bene.

Questa primavera Futurama ha compiuto 15 anni. Come nacque l’idea originale?

Lavoravo sui Simpson, alla fine degli anni Novanta, quando iniziò a circolare la voce che Matt stesse progettando una serie animata di fantascienza. Quindi l’idea di partenza è sua. Di tutti i nerd dello staff dei Simpson, e ce n’erano molti, ero quello più vicino all’area “scienza/fantascienza nerd” e quindi fui entusiasta quando Matt mi chiese se volessi lavorare con lui al progetto. Pensai furbescamente che i Simpson non sarebbero potuti andare avanti molto a lungo, dato che erano già alla stagione nove, quindi colsi l’opportunità per lasciare quel lavoro senza speranze. Matt e io parlammo di Futurama per circa un anno, nel nostro tempo libero, prima di proporlo alla Fox.

Matt Groening ha descritto il periodo di progettazione come «il peggiore della mia vita». Lo è stato anche per te?

Fu decisamente un’esperienza molto dura. Non c’erano molti precedenti per uno show comico di fantascienza per adulti, quindi ci furono molte, molte decisioni di fondo da fare per centrare il tono della serie. Allo stesso tempo, dovevamo attenerci a delle tabelle di marcia molto rigide per consegnare tredici episodi in tempo e senza sforare il budget. E in più dovevamo vedercela con la Fox e combattere battaglie per quanto riguardava i contenuti e la direzione della serie. Non ci bastavano le ore del giorno e finimmo, io e gli altri sceneggiatori, a lavorare fino a tarda notte, sette giorni alla settimana, per un bel po’ di tempo. Fu molto più che estenuante.

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Parlando della Fox: all’epoca, Futurama continuava a cambiare fascia oraria, al punto che non si poteva sapere quando il prossimo episodio sarebbe stato trasmesso (e questo ne decretò anche la caduta negli ascolti). Perché il network non credeva nello show?

Penso che principalmente non ci fossero molti fan della serie ai piani alti dell’emittente e come risultato non restammo molto a lungo nella nostra fascia oraria ideale, la domenica sera alle 20.30, dopo I Simpson. Mandarono due episodi in quello slot prima di spostarci al giovedì con I Griffin e altre serie animate.

Tornammo per un po’ di tempo alla domenica dopo I Simpson e poi finimmo nella “zona morta”: la domenica, alle 19. La domenica pomeriggio la Fox trasmette le partite di football e spesso sforano, cancellando qualsiasi cosa avessero in programma di mandare alle 19. Sforarono così spesso che, dopo la chiusura della serie, misero insieme una stagione intera di quegli episodi mai trasmessi. Capimmo di essere nei guai in quella fascia oraria quando la Fox iniziò a pubblicizzare i programmi della domenica sera con il motto “Il divertimento inizia alle 8!”.

Ora che hai un po’ di prospettiva, cosa ti ha insegnato questa seria? C’è qualcosa che faresti in modo diverso?

Mentre scrivi la serie impari sempre molto, ma ci vuole un po’ per vedere quegli insegnamenti messi in pratica perché ci vuole quasi un anno per produrre un episodio, dall’inizio alla fine. Una delle lezioni più importanti fu quella di prendere l’aspetto fantascientifico più seriamente. Eravamo preoccupati di spingere troppo sul lato sci-fi e di certo anche la Fox era preoccupata. Presa dal panico, più che altro. Il terzo episodio della serie, “Io, coinquilino”, fu scritto per accontentare l’emittente che voleva uno show più terra terra, più sitcom e meno fantascienza.

Scoprimmo in seguito che gli episodi in cui c’era una storia di fantascienza che sottolineava l’elemento comico erano i preferiti dai fan e che la comicità funzionava comunque, anzi migliorava, quando prendevamo sul serio la fantascienza. L’epopea spaziale e l’epicità drammatica della fantascienza sono sfondi grandiosi su cui proiettare le minuscole insicurezze ed emozioni umane dei personaggi. Penso che la serie migliorò molto, una volta che ci lasciammo andare con le storie fantascientifiche.

La prima stagione di Futurama mi ricorda molto i primi episodi dei Simpson. Violenza, tanti riferimenti sessuali. Perfino una cabina suicidio (che gettò nel panico la Fox). Volevate spingere il confine del lecito per i cartoni? La Fox cosa ne pensava?

Personalmente, ho sempre pensato che l’idea di una cabina suicidio pubblica a gettoni fosse così esagerata e ridicola da non sembrare affatto controversa. Non cercavamo di spingere i limiti del buon gusto. Ma andò a finire che la Fox era molto preoccupata a riguardo (erano preoccupati di tutto in pratica). Pensavano anche che Bender fosse troppo cattivo. Le loro obiezioni erano valide nel senso che non volevano un futuro troppo deprimente. Neanche noi lo volevamo però! La nostra idea è sempre stata quella di un futuro che non fosse né utopico né distopico, ma che avesse tutti gli elementi – buoni o cattivi – per poter creare delle analogie con il mondo di oggi. Alla fine non credo che molti spettatori siano rimasti scioccati o scandalizzati dalla cabina suicidio (il fatto che il personaggio che voleva uccidersi era un robot forse lo rese più accettabile).

Generalmente quando vedi delle cose sotto forme di cartone animato non sembrano così scioccanti come te le eri immaginato quando leggevi il copione.

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Col passare degli episodi avete trovato il vostro spazio, mischiando la fantascienza seria all’umorismo, però facevate sempre riferimento a una particolare fantascienza, quella solare, alla Star Trek. Come avete trovare questo equilibrio tonale?

È come ho detto prima parlando del feedback a onde lunghe che ricevevamo dai fan sui contenuti fantascientifici. L’altro sviluppo tonale fu quello di scrivere episodi più emotivi e occasionalmente orribilmente tragici. Partirono come esperimenti, come “Il quadrifoglio”, in cui veniamo a sapere del fratello di Fry, e proprio dopo che quell’episodio era andato così bene ci sentimmo pronti a provarci di nuovo.

Alla fine le puntate migliori furono quelle in cui si combinava bene l’elemento di fantascienza dura, una storia con sentimenti genuini e buona comicità. È difficile perché è già molto arduo riuscire a far provare empatia agli spettatori con personaggi animati, diventa tre volte più difficile quando il personaggio è un robot ubriacone che se ne va in giro per lo spazio. Alcuni esempi di episodi che hanno funzionato bene in tutte e tre le zone che ti dicevo sono “Il mestiere di Dio”, “Fry il ritardatario” e “Oktoberfest”.

Quante versioni di Futurama esistono? Perché la serie ha avuto vite creative diverse, prima della cancellazione, coi DVD e poi a Comedy Central. Come avete affrontato la scrittura dei nuovi episodi?

Abbiamo sempre pensato a Futurama come a un’unica entità continua. Ci ha aiutato molto anche mantenere questa continuità con il cast, gli animatori e gli sceneggiatori nonostante le ripetute cancellazioni. Quando la serie passò direttamente al mercato home video e poi alla TV via cavo, con i loro standard meno rigidi nei confronti del sesso e della violenza, fummo tentati di vedere come riuscivamo a cavarcela. Per esempio, il pianeta dei nudisti ne “Il colpo grosso di Bender” o il pianeta di Adamo ed Eva ne “Il provolone terrestre”. In entrambi i casi, ci stufammo presto della cosa e tornammo ai nostri parametri abituali. Il tono della serie si è evoluto perché cercavamo di migliorarci, non perché eravamo su un’altra piattaforma o un altro network.

Uno dei grandi temi della serie è il viaggio nel tempo. Lo avete usato spesso, con risultati quasi sempre ottimi, ma è un argomento difficile da affrontare e spiegare. Certi film nemmeno ci provano (viene in mente Looper) ed è grave per un’opera molto seriosa. Vale lo stesso per la commedia? Cosa ci trovi di affascinante? 

Quando iniziammo la serie ci imponemmo una regola ferrea: niente viaggio nel tempo. Matt Groening e io eravamo costantemente seccati (ventiquattr’ore su ventiquattro!) dalle falle logiche in ogni storia con i viaggi nel tempo e non volevamo inserirci in questi casini. Dopo un paio di stagioni, però, ci lasciammo andare e dato che avevamo introdotto molte idee fantascientifiche ci sembrò strano evitare un tema portante del genere sci-fi.

Una cosa che imparammo ad apprezzare fu che il viaggio nel tempo è ottimo per le grandi storie di impatto emotivo. Puoi separare le coppie o le famiglie con il tempo, senza speranza di farle rincontrare (come in “Fry, il ritardatario”). O puoi affrontare i rimpianti che una persona ha avuto nella sua vita, l’idea di “se solo potessi tornare a quel momento” (come in “Nel frattempo” e “Il perché di Fry”). Per fortuna il viaggio nel tempo è utile anche per la commedia, perché puoi saltare dalla preparazione direttamente alla battuta. Ci è tornato utile specie nell’episodio “Un amore stellare”, dove il tempo continuava a slittare in avanti e dovevamo riuscire a infilare una gag in più nella sceneggiatura (Leela: «Non ti sposerò mai!» – salto in avanti nel tempo – «Vi dichiaro marito e moglie!». Leela aggrotta il sopracciglio – salto in avanti nel tempo a: il bouquet di Leela ficcato in bocca a Fry).

Una volta che prendi la strada (o strade?) del viaggio nel tempo è tutta questione di scegliere di che morte vuoi morire, perché avrai sempre a che fare con paradossi logici. Noi ci siamo destreggiati ne “Il colpo grosso di Bender” con l’invenzione del viaggio del tempo che corregge i propri paradossi. È qui che torna utile essere una serie comica, se avessi sentito questa scusa in un’opera seria mi avrebbe dato fastidio. Come sempre.

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Le nuove stagioni di Futurama si sono dimostrate degne del proprio nome. Un episodio è particolarmente degno di nota: “Il prigioniero di Benda”, che introduce  un vero e proprio teorema (anche se lo sceneggiatore dell’episodio, Ken Keeler, lo definisce solo una prova). Sapevate fin dall’inizio che ci sarebbe stato?

Guardandomi indietro, una delle cose di cui sono fiero è la scienza (non la fantascienza) che siamo riusciti a inserire in Futurama. Mi piace la scienza e ho sempre volute essere uno scienziato prima che uno sceneggiatore di cartoni. L’episodio che citi si distingue perché include un vero teorema matematico come parte integrante della narrazione. Le cose sono andate così: avevamo intavolato una discussione molto diretta e semplice su un episodio in cui i personaggi si scambiano i cervelli. È un’idea parecchio standard nel mondo dell’animazione, quindi decidemmo di diversificarla un po’. Questo ci ha condotti all’idea della macchina che scambiava i cervelli di due persone ma non poteva fare il contrario se le persone erano le stesse. Iniziammo a chiederci: se un gruppo di personaggi si scambia i cervelli in maniera arbitraria, potrebbero tornare ognuno al proprio cervello in qualche modo, attraverso una serie di scambi intermedi con altri personaggi?

Terminammo la discussione senza avere una risposta. Lo sceneggiatore dell’episodio, Ken Keeler, ha un dottorato di ricerca in matematica applicata e tornò il giorno dopo annunciando di aver conseguito un risultato generale: non importa quanto siano mischiati i cervelli tra di loro, si può sempre tornare al punto di partenza aggiungendo due nuovi personaggi che non hanno fatto lo scambio. Alla fine, tutti (inclusi i due nuovi innesti) avranno il loro cervello. Sì, Ken la chiama “prova” e si rifiuta di chiamarlo teorema perché sente che il risultato non è così significativo da meritare quell’appellativo. Ma su Internet molti lo chiamano “teorema Futurama”.

Volevo utilizzare questa rara opportunità di rendere la matematica la protagonista di una serie comica, forse per la prima volta nella storia dell’universo, quindi nel momento culmine dell’episodio mostriamo la prova matematica sullo schermo per circa un secondo. Immaginammo che chiunque fosse interessato avrebbe poi messo in pausa, e molti lo hanno fatto. Uno di questi era Simon Singh, che ha recentemente pubblicato un libro intero sulle battute matematiche nascoste ne I Simpson e in Futurama. Ve lo raccomando, se vi interessa l’argomento. Si chiama La formula segreta dei Simpson. All’inizio scherzavamo con queste citazioni matematiche per divertirci con i nostri amici del college, quindi il fatto che adesso abbiamo dedicato un libro all’argomento è parecchio surreale per me.

Hai già elencato varie volte i tuoi episodi di Futurama preferiti (tra cui “Il quadrifoglio”, che è un po’ il preferito di tutti). Ma per quanto riguarda i Simpson, quali sono gli episodi che ti piacciono di più?

Scegliere un episodio preferito de I Simpson è come scegliere un granello di sabbia preferito di una spiaggia: ce ne sono bilioni e sono tutti fatti di tante piccole schegge di roccia. Ammetto che è una pessima analogia. Cercherò di limitare il campo ai primi episodi, perché erano gli anni in cui i Simpson si stavamo dimostrando come qualcosa di nuovo e incredibile. Andrò su “Homer l’eretico”, perché trascende i temi canonici del cartone, pur essendo tremendamente divertente allo stesso tempo.

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Mimi Pound, la sceneggiatrice del primo episodio in assoluto dei Simpson, ha definito il team di sceneggiatori “un club tutto al maschile”. Credi sia un problema ancora presente nell’industria?

Sì, lo staff ha sempre avuto poche sceneggiatrici, sia sui Simpson, sia su Futurama, ma anche negli altri show in generale. Non ero lì agli inizi, nel periodo a cui fa riferimento Mimi Pond. Dirò però che durante la mia tenuta, il tono generale della discussione non è mai stato volgare o aggressivo o niente che io, come maschio reo confesso, potrei definire come “contro le donne”. È vero, si sente in giro di serie TV in cui quel tono è la norma, ma non penso che sia il nostro caso.

Io vedo il problema più in termini di una situazione che si autoalimenta, perché gli showrunner, incluso il sottoscritto, tendono ad assumere scrittori che conoscono e con cui hanno lavorato in passato. Se le persone con cui hai lavorato sono soprattutto maschi, allora il gruppo di persone che assumi rispecchia questa situazione. Come risultato, diventa una cosa elitaria, ma solo perché molti sceneggiatori hanno lavorato insieme per lunghi periodi, ma anche le donne dello staff, se ci sono, sono parte di quel club. Di certo potrebbe essere poco confortevole essere una donna in quella posizione, e rimane comunque un problema.

Guardando i tuoi studi, Futurama sembra il tuo progetto ideale. Hai studiato fisica a Harvard e informatica a Berkeley. Eri appassionato di scienza già da piccolo?

Non penso di sorprendere nessuno se dico che ero un ragazzino nerd (molto nerd). Ho giocato a Dungeons & Dragons e ho passato molto tempo a programmare l’Apple II nel bel mezzo della notte. Entrambi i miei genitori erano biologi, quindi sono cresciuto in una ambiente in cui la scienza era divertente e interessante e non intimidatoria. Ho sempre immaginato che sarei stato uno scienziato di qualche sorta e la mia unica grande ribellione contro la tradizione di famiglia è stata di studiare le scienze matematiche invece della biologia. Beccatevi questa, genitori!

A Harvard hai collaborato con l’Harvard Lampoon, la pubblicazione satirica dove hanno scritto moltissimi futuri comici statunitensi. Quando hai capito che volevi fare lo sceneggiatore?

Fino a poco prima della laurea, ero ancora convinto che sarei stato uno scienziato o magari un programmatore di videogiochi o qualcosa del genere. Ma proprio in quel periodo molte persone che avevo conosciuto al Lampoon stavano pensando di iniziare a far carriera nella scrittura comica. Ero del tutto estraneo allo show business come a un vero e proprio business e non m’era mai passato per la mente che sarebbe potuta essere una possibile carriera. Ero angustiato dai dubbi, ma alla fine decisi di proseguire gli studi dopo la laurea prima di dimenticarmi tutto quello che sapevo. Se avessi provato a fare lo sceneggiatore e non avesse funzionato, sarebbe stato molto difficile tornare a scuola, mentre se avessi studiato e non avessi concluso nulla, avrei ancora potuto provare a scrivere.

Da cui il tuo primo ingaggio, su Beavis & Butterhead. Da lì, come sei passato ai Simpson?

Beavis & Butthead fu un colpo di fortuna. Mandavo materiale a un sacco di show televisivi sperando venisse letto. Per caso, il materiale che avevo inviato al Late Night di David Letterman (dove non venni assunto) finì tra le mani di Mike Judge, il creatore di Beavis & Butthead, mentre questi era negli uffici del Late Night. MTV aveva appena dato il via libera per una serie e lui aveva bisogno di sceneggiatori che costassero poco, alla svelta. Gli piacque il materiale che avevo inviato a tutti tranne che a lui e mi contattò. Gli proposi alcune idee e mi assunse per tradurre un paio di quelle idee in copioni.

Ero un studente affamato e non avevo la TV via cavo, non avevo mai sentito parlare di Beavis & Butthead quindi rimasi sorpreso e felice di sapere che era diventata un successo. Di colpo avevo un curriculum. Nel frattempo, il mio amico Bill Oakley, che avevo conosciuto al Lampoon, era stato ingaggiato ne I Simpson e incoraggiò lo showrunner dell’epoca David Mirkin a dare un’occhiata al mio materiale. Devi essergli piaciuto. Stavano rinnovando parte dello staff in quel periodo, quindi questo fattore più il curriculum fortunato più il fatto che costavo ancora molto poco, ottenni il lavoro.

Tornando al presente, il crossover Futurama-Simpson: hai avuto qualche input?

Sì, ho dato le mie opinioni in diverse occasioni. La storia è partita dallo staff de I Simpson, ma Al Jean, lo showrunner, voleva che la parte su Futurama fosse fatta per bene, è stato molto generoso a lasciare spazio ai miei suggerimenti. Principalmente, come su Futurama, il mio consiglio è stato quello di prendere questo melodramma sci-fi bizzarro in maniera seria (o il più seriamente possibile). Ad oggi, nello staff de I Simpson ci sono tre ex-sceneggiatori di Futurama. Uno di loro, Stewart Burns, ha scritto l’episodio. Quindi è in buone mani e sono trepidante per la messa in onda [l’episodio è poi andato in onda lo scorso 9 novembre, N.d.r.]. Sono riusciti a inserire un numero sorprendentemente alto di personaggi della serie nell’episodio. Sarà una vera gioia per i fan di Futurama e, spero, anche per quelli de I Simpson.

Sarà davvero l’ultima apparizione di Fry, Bender e Leela?

Sì! Cioè, no! Non ne ho idea!

Nella tua vita lavorativa sei stato coinvolto in show televisivi fondamentali per il mezzo. Cosa ti riserva il futuro?

Il mio problema è che ho troppe idee. Per fortuna, molte di queste idee sono davvero brutte una volta che ci ragiono sopra per più di cinque o dieci minuti, e questo aiuta a ridurle. Al momento mi sto prendendo una pausa, perché sono uscito da sei anni di lavoro faticoso senza sosta… I quattro film in DVD e poi i quattro anni su Comedy Central. Ma adesso anche la pausa sta iniziando a essere faticosa, quindi mi sto preparando per tornare a lavorare.

*English version in the next page.

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