HomeMondi POPAnimazioneSi alza il vento, il canto del cigno di Miyazaki

Si alza il vento, il canto del cigno di Miyazaki

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L’ultimo film di Hayao Miyazaki, cronologicamente e della sua carriera, dato il ritiro annunciato da lui stesso, è uscito nelle sale italiane per quattro giorni, dal 13 al 16 settembre. Parliamone presto, parliamone bene, parliamone tanto. Si alza il vento è un film gigantesco.

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Non si poteva immaginare epilogo migliore per una carriera come quella del sensei. Un film totalmente atipico, senza protagonisti adolescenti, senza animaletti buffi, senza soprannaturale, senza magia e senza orfani. La sua opera di congedo, priva di qualsiasi orpello di contorno, rispecchia nella maniera più sintetica e pulita possibile ciò che Miyazaki avrebbe forse sempre voluto fare. I livelli di lettura sono molteplici, e il consueto messaggio ecologico-pacifista è meno evidente: Si alza il vento è una storia adulta per spettatori adulti, senza troppe concessioni ai giovanissimi (basti pensare che negli Stati Uniti ha ottenuto un rating PG-13, cioè il divieto per i minori di 13 anni). Per certi versi, possiamo dire che siamo lontani dai canoni del “normale” cinema d’animazione cui ci hanno abituati tanti anime. Anche per questo, probabilmente, questo lungometraggio non ha ottenuto un grande successo al di fuori del Giappone, dove pure ha sollevato non poche critiche. Miyazaki è stato accusato, infatti, di aver “rinnegato” il suo abituale pacifismo in favore della guerra. O almeno questa è la polemica che lo ha accompagnato all’uscita, ma basta guardare il film per rendersi conto della sua pretestuosità. Si alza il vento è il romanzo di formazione di Jiro Horikoshi, ingegnere aeronautico realmente esistito che progettò il velivolo Zero, utilizzato durante la Seconda guerra mondiale. Il protagonista è plasmato su di lui ma anche sullo scrittore Tatsuo Hori, che nel racconto Kaze Tachinu del 1936 narra il suo rapporto con la moglie malata di tubercolosi.

La vicenda prende le mosse dall’infanzia di Jiro, bambino appassionato di aerei ma molto miope, quindi destinato a non poterne mai pilotare uno. Quando in sogno incontra Giovanni Battista Caproni, ingegnere italiano pioniere dell’aeronautica, intuisce che da grande farà il progettista. E lo vediamo all’università e poi al lavoro, immerso nelle prime prove, nei fallimenti e nei successi, mentre continua a incontrare in sogno Caproni, ormai suo nume tutelare. Parallelamente corre la sua travagliata storia d’amore con Nahoko, incontrata la prima volta durante il Grande Terremoto del Kanto del 1923 e mai dimenticata. I due si ritrovano, si innamorano, si giurano amore eterno ma la malattia mina la salute di Nahoko. E Jiro farà il possibile per starle accanto e continuare a lavorare, a progettare aerei nonostante tutto e tutti.

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Il sogno e il sacrificio sono fra i temi più evidenti, in un’opera che sembrerebbe quasi autobiografica nelle intenzioni. Jiro sacrifica la propria vita matrimoniale e la propria etica pacifista per un’appassionata ossessione: disegnare aerei, che verranno in seguito utilizzati in guerra. Ma la verità emerge nelle parole del suo amico e collega Honjo – “non disegniamo aerei per fare la guerra, disegniamo aerei perché sono belli” – come anche in quelle di Caproni: “gli aerei non sono strumenti di guerra, ma sogni”. La stessa Nahoko si innamora di lui proprio in virtù della dedizione e passione che mette in ciò che crea. Jiro non sarebbe Jiro se non facesse il suo lavoro al massimo delle potenzialità. Il film è calibrato perfettamente, come se il regolo calcolatore continuamente utilizzato dal protagonista misurasse le proporzioni non solo degli aerei che disegna ma anche della sua vita, e in qualche modo dell’andamento del film stesso.

Tra le molte citazioni, la più ricorrente è quella in esergo: Le vent se lève. Il faut tenter de vivre (Si alza il vento. Bisogna tentare di vivere), tratta da Valéry. Il vento si leva durante il tragico terremoto del Kanto del 1923, evento storico cruciale per la storia giapponese in cui persero la vita oltre 100.000 persone, vissuto in prima persona dal protagonista, che proprio in quell’occasione incontra per la prima volta Nahoko, destinata a diventare l’amore della sua vita. Il vento si leva quando i due si ritrovano anni dopo in una pensione di montagna; sulla “montagna magica”, come la chiama per scherzo il tedesco Hans Castorp che proprio lì stringe amicizia con Jiro. La citazione in questo caso è doppia, dato che Hans Castorp è il nome del protagonista del romanzo La montagna magica di Thomas Mann, ambientato in un sanatorio montano. Le fattezze di Castorp, personaggio brillante in fuga dal governo nazista tedesco, sono invece quelle di un amico e collega di Miyazaki, Stephen Alpert, che ha poi doppiato il personaggio nella versione originale del film.

Il contesto storico dunque conta, e molto. Gli sfondi e le ambientazioni ricalcano infatti fedelmente il Giappone degli anni Venti e Trenta. Ha detto Miyazaki:

«Volevo riprodurre in tutto il suo splendore il meraviglioso paesaggio verdeggiante del Giappone dall’era Taisho all’inizio dell’era Showa. Allora il cielo era ancora limpido e punteggiato in alto da nuvole bianche. L’acqua scorreva trasparente. Nelle campagne non c’erano rifiuti. Ma d’altro canto nelle città la povertà era molto diffusa. Non volevo mettere in ombra le architetture usando tonalità seppiate; così abbiamo osato, utilizzando i colori del modernismo dell’Estremo Oriente. Le strade sono accidentate e irregolari. Le insegne dei negozi e i cartelloni pubblicitari si sovrappongono disordinatamente. Ovunque, mucchi di pali elettrici e di altro genere.»

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La splendida colonna sonora è del “solito” Joe Hisaishi, alla sua decima collaborazione con Miyazaki, ma non mancano anche citazioni musicali come il Viaggio d’Inverno di Schubert, che Jiro e Honjo ascoltano di sfuggita in Germania, o il divertente brano tedesco suonato al pianoforte da Castorp in albergo. Per quanto riguarda il sonoro, Miyazaki ha preteso inoltre che il film fosse in mono, anziché stereo, per far risaltare solo determinati suoni, senza bisogno di stratificarli con altri. Un dettaglio curioso, e forse di non immediata percezione, è che molte sonorità sono ricreate da voci umane: ad esempio il motore fuori giri degli aerei, il fischio della locomotiva a vapore, il rumore delle auto e il brontolio della terra durante il terremoto. È la prima volta che Miyazaki utilizza questo espediente in un lungometraggio, mentre lo aveva già sfruttato in un corto proiettato al Museo Ghibli in Giappone.

Il magnifico aereo progettato da Jiro, il Mitsubishi A6M detto Zero, entrò in guerra nel 1940. Di tutti i velivoli inviati non ne tornò indietro nessuno: finirono tutti distrutti. Caproni saluta i caduti in battaglia nell’ultima scena del film, accompagnato da Jiro che saluta la sua Nahoko. Gli Zero volano alti nello stesso cielo in cui si ritrovano i piloti morti in Porco Rosso, un cielo grande e benevolo che accoglie le vittime di guerra in guerra, di film in film.

L’arte dell’ingegnere italiano e quella dell’animatore giapponese sembrano specchiarsi l’una nell’altra, unite dalla passione per raggiungere il cielo. Caproni, in uno dei sogni, dice a Jiro che l’arco della creatività dura solo dieci anni. Quello di Miyazaki è durato molto di più.

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