È l’Italia, signoramia: “non ce la raccontano giusta”, “ci nascondono la verità”, “nessuno che trovi mai i responsabili”, “finisce sempre a tarallucci e vino”. Conosciamo tutti i bene i bassi istinti del senso comune che portano a puntare il dito, di solito, su fatti e persone della politica, dell’informazione o delle imprese. E la cultura, invece? Difficile che qualcuno gridi allo scandalo – si “indigni” – sui silenzi e le sottovalutazioni intorno a fatti o fenomeni culturali (“ridateci la Monna Lisa!”). Figuriamoci il fumetto.
Allora faccio io. Fresco di visione al cinema del documentario Cercando Valentina. Ovvero, dopo esserne uscito con una sensazione amara: la sottovalutazione del peso culturale e artistico di Guido Crepax nella storia del nostro paese. Il film di Giancarlo Soldi ne fornisce molte prove e, a fine proiezione, ci si ritrova con un misto di due impressioni: la nostalgia per i bei Sixties che furono, e un sentimento vicino alla vergogna per lo spreco di un patrimonio culturale.
Sarà mica che “non ce l’hanno raccontata giusta”?
Il segno di Crepax, dopo 60 anni dalle sue prime affermazioni, continua periodicamente a far breccia nei mondi della creatività e del giornalismo (dal design alla moda, dalla pubblicità agli articoli di costume). Fatica nel mondo dell’editoria – si vende e traduce sempre, con vendite però piuttosto limitate – eppure tanto l’icona Valentina quanto lo stile grafico dell’autore sono ancora ben in testa a vecchie e nuove “classi creative”, ricordati e riconosciuti.
Sesso e nudo hanno contato e ancora contano, nel tenere viva la memoria dell’opera e del contributo di Crepax all’evoluzione della società italiana. Ma se giornalisti e letterati hanno messo sempre in primo piano l’erotismo – l’equazione è nota: Valentina = icona della liberazione sessuale anni 60 – negli altri settori creativi più vicini al visivo (grafica, cinema, fotografia, arte, teatro, danza), per fortuna, la riconoscibilità di Crepax continua grosso modo ad essere quello che sempre è stata: un segno unico, una composizione all’avanguardia, una intensa sensazione di ambiguità percettiva.
Forse qualcuno se ne è dimenticato, ma la “questione Crepax” è sempre stata, di fondo, una: cosa/come/quando/dove succede, in una sua tavola?
Il regista Giancarlo Soldi, in questo documentario co-finanziato dalle nostre tasse (Rai e RSI), ha fatto un lavoro prezioso – a mio avviso più dei suoi precedenti documentari, dedicati a Tiziano Sclavi e a Gianluigi Bonelli – non solo sul piano emotivo e appassionato del ritratto d’autore, ma su quello del vero e proprio documento storico. Utile a tutti. Tutti i cittadini che hanno a cuore il fumetto come patrimonio culturale, la cultura come bene pubblico, e la funzione dello Stato di valorizzarlo, ‘sto benedetto patrimonio. Soprattutto quando ha un valore enorme.
Valore? In che senso?
Facciamo che non rispondo alle domande troppo complesse, perché dovrebbe bastare farne alcune facili? Eccole:
- Qual è il valore, ad esempio, di sapere che Alain Resnais, sia quando stava a casa sua che quando soggiornava ospite di Vladimir Nabokov, si faceva spedire tutti i numeri di Linus?
- Qual è il valore di vedere giocare insieme a un gioco da tavolo – ripeto: GIOCARE A SOLDATINI – Claudio Abbado e Guido Crepax?
- Qual è il valore di chi, tra i primi, ha rappresentato visivamente in Italia in un periodico non di nicchia una donna in minigonna, quando ancora non era diffuso né l’indumento né il suo termine (che Crepax chiamò microgonna)?
- Qual è il valore di ricostruire la gentrificazione di un bar nella Milano anni 60 diventato un simbolo, il Bar Jamaica, dove tanti amici di Crepax passavano pranzi, sere e notti?
- Qual è il valore di riconnettere le scene artistiche in cui Crepax è stato a lungo uno strano attrattore, visto, letto, stimato, chiacchierato, invidiato, indagato – dal giovane regista avanguardista Tinto Brass (non si erano mai visti prima tanti originali dello storyboard di Crepax per il suo Col cuore in gola), all’eclettico designer Denis Santachiara, al maturo protagonista della migliore drammaturgia nazionale Mario Martone?
- Qual è il valore di mettere i massimi esperti di semiologia del cinema e del fumetto a ricostruire la fonte concettuale comune (un racconto di Cortazàr) di Blow Up di Michelangelo Antonioni e di un episodio di Valentina?
- Qual è il valore di notare – uno dei rari dettagli importanti assenti nel film di Soldi – che Crepax è stato il solo fumettista italiano, ed uno dei pochissimi in assoluto (ricordo solo Hergé), cui Roland Barthes abbia dedicato un testo?
- Quale valore ha riscoprire in Carosello una delle “saghe pubblicitarie” più di successo della storia televisiva italiana, con protagonista Nero Wolfe interpretato da Tino Buazzelli che, in uno spot Omega del 1973, si trova a interrogare sul suo lavoro proprio Guido Crepax?
Serve dunque a qualcosa entrare nel dettaglio della “misura” del valore culturale? O forse basta così, per capire che tutelare Crepax ha un valore più importante di una miriade di investimenti in cultura fatti da soggetti pubblici o privati nell’Italia degli ultimi 50 anni?
Vogliamo dirlo, noi fumettòfili, o qualcuno pensa ancora di mettere sullo stesso piano l’ennesimo graphic novel sulla transizione all’età adulta, il nuovo gagliardo episodio dell’ennesima serie zombie-thriller, e l’opera di Crepax?
Cercando Valentina, oltre ad essere un ritratto fedele e riuscito del lavoro di un importante autore di fumetti, è allora anche una specie di documento sociologico che potrebbe – e forse dovrebbe – risvegliare l’attenzione di molti. Un film che aiuta a rimettere in ordine e a distinguere fra le cose futili e quelle essenziali, nella storia del fumetto nazionale e della cultura italiana più in generale dagli anni della Pop Art in poi. Perché se viviamo in uno dei Paesi che più ha nutrito le arti nel Novecento, questo lo dobbiamo anche al fumetto e, al suo interno, a Guido Crepax.
Negli anni in cui tanti paesi si interrogano su come orientare le politiche culturali – musei, festival, biblioteche, finanziamenti all’editoria, sostegno al welfare degli autori – anche verso un settore a lungo “invisibile” come il fumetto, Guido Crepax potrebbe e dovrebbe diventare un simbolo delle occasioni perdute. E della volontà di recuperare terreno.
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