La musica è quella giusta (evviva Yūji Ōno!). I doppiatori sono quelli giusti. E le ambientazioni sono spettacolari. Ma Lupin? E gli altri? Sono stato al cinema e ho visto una cosa che non credevo possibile. Lupin III in computer grafica. E mi è pure piaciuto.
Cominciamo però dal principio. Signore e signori, benvenuti in Lupin III – The First, l’inizio di una nuova vita per il personaggio. A poco più di 10 mesi dalla scomparsa di Monkey Punch, avvenuta l’11 aprile 2019 quando il mangaka aveva 81 anni, e grazie al lavoro di Takashi Yamazaki, regista di lungo corso che ha già portato Doraemon sul grande schermo sei anni fa, Lupin III affronta una nuova fase della sua cinquantennale carriera di ladro e gentiluomo assieme ai suoi compagni di sempre: Goemon, Jigen, Fujiko, l’ispettore Zenigata e ovviamente la sua 500 gialla.
La traiettoria iniziata nel 1967 sulle pagine di Manga Action è stata spettacolare: manga, anime in tutte le possibili declinazioni, persino live-action (dimenticabile ma simpatico) e adesso computer grafica. La carriera del nipote di Arsenio Lupin – il personaggio letterario creato da Maurice Leblanc a cui ha dato il suo volto soprattutto l’attore francese Georges Descrières – non si interrompe. Anzi, riparte con uno spirito che da anni sembrava essere scomparso, pur con qualche ombra tra le molte luci.
Il film sta per arrivare nelle sale italiane, ed è un peccato che ci si fermerà solo per breve tempo. Non solo perché ci sono i doppiatori originali (per fortuna!) che rendono giustizia alla bellezza delle storie di Lupin, anche se purtroppo senza più lo scomparso Roberto Del Giudice, rimpiazzato più che degnamente da Stefano Onofri a partire dal 2008 (e segnaliamo anche gli altri doppiatori storici: Alessandra Korompay è Fujiko Mine, Antonio Palumbo è Goemon, Alessandro Maria D’Errico è Jigen e Rodolfo Bianchi è Zenigata).
Questo è un film per il quale solo cinque anni fa avremmo tutti gridato al miracolo: ricco, complesso, articolato, con due punti deboli (inevitabilmente ce ne devono essere) ma che per il resto vola molto, molto più alto di qualsiasi altra cosa ci saremmo potuti aspettare.
La storia si apre con un prologo ambientato durante la Seconda guerra mondiale, che fa da punto di partenza di tutte le vicende. Non voglio scendere nel dettaglio della trama, perché farei un torto a tutti coloro i quali vogliono effettivamente andare a vedere questo film, che ruota attorno al fantastico “diario di Besson”. Proprio nella storia si cela però un problema, ed è la relativa debolezza della sua struttura.
Lupin III è un personaggio che nel tempo è stato fortemente serializzato e che, nonostante l’ambizione di unicità dei suoi film (dei “media event” in un certo senso) è tuttavia condannato a vivere dentro i cliché che lo rendono grande. Sono cliché che nel tempo si sono accumulati, grazie soprattutto a tre pellicole che hanno definito l’identità di Lupin quando “gioca in grande” al cinema o nei mediometraggi OAV.
Il primo è sicuramente Il castello di Cagliostro del 1979, diretto da Hayao Miyazaki (che aveva già diretto la seconda metà della prima serie di Lupin), bello non solo per il tocco del Maestro ma anche e soprattutto per la capacità di costruire un universo credibile e adulto, anche se fanciullesco in parte. È stato un film che ha ispirato molti altri autori (basta pensare alla scena nella camera da letto di Clarissa, ripresa per la nursery di Akira di Katsuhiro Otomo, oppure alla scena del cambio della gomma della 500 gialla) e ha lavorato su materiale appartenente a un immaginario inedito.
Il secondo film è stato La pietra della saggezza di Sōji Yoshikawa, uscito nel 1978, l’anno prima di Cagliostro, che però è un po’ meno bello e per questo lo metto al secondo posto. Di suo La pietra ha un antagonista – Mamoo – capace di proiettare un intero immaginario da film di James Bond degli anni Sessanta. Infine, sempre a mio modesto parere, la terza gamba che regge lo sgabello su cui sta in piedi il Lupin III cinematografico è La cospirazione dei Fuma del 1987, diretto da Masayuki Ōzeki. È forse il più debole dei tre, ma ha un’ambientazione tutta giapponese che è speciale anche visivamente oltre che tematicamente.
Queste tre pellicole, assieme a La leggenda dell’oro di Babilionia, a Le profezie di Nostradamus, a Trappola mortale e a Il ritorno del mago costruiscono una impalcatura che attraversa gli anni Settanta, Ottanta e in parte i Novanta, sempre in maniera creativa e innovativa. Le storie non si ripetono, ma anzi sorprendono sempre, in qualche misura.
Arriviamo al primo dei due problemi di The First: la storia non innova particolarmente. I personaggi interagiscono in maniera scontata, ci sono momenti per avere foto ricordo più o meno di tutti, ma la chimica tra i due personaggi-chiave, cioè Lupin III e la bella e giovanissima Laetitia, non brucia più di tanto (e un po’ ricorda la Clarissa del Castello di Cagliostro). Rimane godibile e sensata, costruita oltretutto con ottimo ritmo e scelte di ambientazioni per dare la possibilità ai geni della computer grafica di creare sfondi e scenari epocali, ma non è una trama che lascia il segno e cambia l’immaginario di una persona. Almeno se questa persona ha più di 8 anni.
Forse la colpa però non è solo della trama. E veniamo infatti così anche all’altro problema: i personaggi. E soprattutto la loro mimica. Il livello di animazione raggiunto da The First è notevole. Al centro spiccano le ambientazioni e gli effetti speciali, la bellezza degli oggetti, la ricchezza dei particolari. Non so niente della produzione di questo film, ma siamo più vicini a un film di James Cameron che non a un episodio di La guerra dei cloni di Star Wars (per fortuna). Però c’è un però. Lupin III è una serie in cui la comicità e la farsa la fanno da padrona. Anzi, il doppio registro, che Monkey Punch ha affilato dopo anni, nelle serie televisive e poi al cinema è fondamentale.
Questo è un passaggio caratteristico dei manga, che alternano disegni fortemente realistici a scenette di raccordo quasi scarabocchiate, cariche di enfasi e cerchietti e gocce di sudore. Ma in Lupin III fa parte della mistica del personaggio, che ha un suo modo di muoversi, di parlare, di saltare, che sta a metà tra il normale e il sovrumano, tra il giullare e il divino Goku, la scimmietta che vola su una nuvola con un bastone che si allunga.
Lupin è un prestigiatore, un illusionista, un ladro che ruba il cuore alle giovani donne (anche se il suo è stato rubato per sempre dalla traditrice Margot/Fujiko) e soprattutto è un corpo che vola, che corre, che si piega, che scompare, che stupisce perché è capace di cose incredibili. Magrolino, con le mani sempre in tasca, la giacchetta che sventola, i capelli tagliati corti e ben folti, Lupin si piega e si stupisce, esaltando gli sguardi, le movenze, i passaggi.
Movimenti che le animazioni di The First secondo me colgono in maniera fuorviante. The First pare essere a tratti una cornice bellissima al cui interno però si muovono delle action figure animate ma pur sempre lucide e ingessate. Soprattutto negli occhi, soprattutto nelle movenze, nel ritorno a qualche scatto di giapponesità (inchini, faccine buffe imbarazzate, momenti di rabbia e di confronto che non sbocciano in alcuna azione) che rendono il tutto vagamente plasticoso.
Detto questo, non pensiate che sia un brutto film o che sia animato male o che i personaggi non siano godibili, perché non è così. Invece no, questo Lupin III – The First è proprio bel film da vedere, con personaggi a cui dopo un po’ ci si abitua anche se sono leggermente differenti da come li conosciamo. Il più “simile” forse è Zenigata. Stupisce invece l’essere bambolina quasi immobile di Fujiko, in questo episodio in cui ha un ruolo minore, la rigidità e semi-nudità di Goemon e soprattutto la quasi-bellezza di Jigen, elegante anziché vestito da beccamorto.
Tutti i personaggi storici sono ritoccati in qualche modo, come se il passaggio attraverso lo schermo del computer, che li ha trasformati in creature della computer grafica, pur cercando di trattenere la loro “lupinità” avesse tolto un po’ di quella dinamicità corale che caratterizza tradizionalmente l’azione del quintetto (incluso Zà-zà), e li ha resi quasi congelati nella propria animazione digitale.
Se vogliamo concludere il ragionamento con una valutazione esplicita e diretta sulla “guardabilità” di questo film non sbagliatevi, perché è alta. A me, come dicevo al principio, è piaciuto. La musica c’è. Le voci giuste ci sono. Le ambientazioni sono spettacolari. E la trama corre comunque abbastanza decisa, coinvolgendo personaggi che sono sempre loro, anche se sono un po’ diversi da come siamo abituati a vederli.
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