Per la nostra rubrica Lo scaffale di…, abbiamo chiesto a Danilo Manzi (autore di Storto, Infetto, e Sintomi del buio per Hollow Press) di scegliere e commentare 5 fumetti dalle sue letture più recenti.
Io sono Shingo, di Kazuo Umezz
Io sono shingo è una delle due serie manga che seguo con maggiore interesse (l’altra è Tracce di sangue di Shuzo Oshimi). So che Umezz da un po’ è diventato un mio chiodo fisso, ma non ci posso fare niente. Adoro i faccini urlanti dei suoi protagonisti e i sentimenti torrenziali che fa provare loro (sulla linea di quelli di altri grandi autori manga come Osamu Tezuka, Riyoko Ikeda e Leiji Matsumoto).
C’è questa storia d’amore potentissima tra due bambini (Satoru e Marin) nata da uno sguardo e che li porterà a un certo punto perfino sulla cima della Tokyo Tower. Intanto vediamo anche la storia di questo robot industriale, un braccio meccanico, che sembra aver acquisito una coscienza grazie ai due protagonisti. Non sai mai cosa aspettarti in questo fumetto. La pelle d’oca non ti abbandona mai e si patisce tantissimo. L’orrore vero e proprio però non arriva subito. Comincia sul finire del secondo volume, di botto, mentre prima ci si concentra sulla love story e sugli elementi fantascientifici (che continuano a essere presenti, amalgamandosi col terrore). Le tavole incentrate sul robot sono visivamente potenti, così come le pagine a colori (e le illustrazioni tra i capitoli). Nel finale del terzo volume c’è anche un po’ di Frankenstein. Non vedo l’ora di andare avanti.
Gambling Apocalypse Kaiji, di Nobuyuki Fukumoto
Ho conosciuto Kaiji tantissimi anni fa, grazie alla serie animata. Ci sono stato subito in fissa. Ovviamente ho recuperato anche l’anime di Akagi e quando sono giunti i primi volumi in Italia dell’autore (Seizon Life, che mi è solo piaciucchiato e Confession che invece è veramente un gioiellino) li ho recuperati subito. Adesso è uscita finalmente l’edizione inglese di Kaiji e quindi posso bearmene nella sua forma originale a fumetti.
In sintesi, il protagonista è questo ragazzo leggermente indebitato che si ritrova invischiato in giochi d’azzardo assurdi e mortali per risollevarsi dalla sua condizione. Personaggio fantastico, tensione alle stelle e un po’ di riflessioni sulla società qui e lì! Fukumoto è un autore strano, si nota subito. Le sintesi dei personaggi sono rigidissime e ridicolmente spigolose, eppure proprio per questo super iconiche. Con le espressioni dà il meglio di sé lo quando cominciano a distorcersi per la disperazione. Un uso smodato del narratore esterno, metafore visive e l’onomatopea onnipresente “Zawa”, che indica una situazione di disagio. rendono il suo approccio alla narrazione ancora più fuori di testa, senza risultare mai caricaturale. Fukumoto da vero equilibrista, come Kaiji durante il “Brave Man’s Road”, riesce sempre a rimanere (in una certa misura) realistico. E poi i giochi sono davvero stimolanti e adrenalinici.
Bad Gateway, di Simon Hanselmann
Continuano le disavventure di Megg e Mogg e il resto della combriccola, escluso Gufo. Si ride molto (un po’ meno del solito) e si soffre molto (un po’ di più) in una continua doccia scozzese. I personaggi sembrano non raggiungere mai il fondo e continuano a scavare. A questo giro(ne) Hanselmann ha deciso di concentrarsi di più su Megg e sull’origine del suo malessere. Gli strumenti utilizzati sono sempre gli stessi: griglia 3×4, tavole “quasi domenicali” (a la Wilson di Clowes) e colori acidoni. Non serve altro. Ottimo, soprattutto se vi piace guardare il soffitto post lettura.
Prison Pit, di Johnny Ryan
Carne, crani tagliati a metà, cazzi, insulti, scroti indigeribili, ladydattili e un protagonista (quasi) perennemente con la testa sanguinante. Nonostante il contenuto estremamente esplicito la lettura di questo tomone mi ha riempito di un divertimento infantile. Johnny Ryan procede nel suo racconto con disegni meravigliosamente semplici ed efficaci, poche pause e una narrazione fortissima, talmente tanto forte che non vede l’ora di prenderti a pugni. Lo adoro.
Italo. Educazione di un reazionario, di Vincenzo Filosa
Grazie a Vincenzo Filosa ho potuto leggere tantissimi fumetti nipponici gekiga e alternativi che, in pochissimo tempo, mi hanno aiutato a crescere. Come lettore e come autore. Ovviamente amo anche tutti i suoi volumi, aspetto con ansia il prossimo numero di Cosma e Mito e Figlio Unico ha uno dei finali più belli e taglienti che io abbia mai letto in un fumetto italiano.
Italo è un ritorno dell’autore all’autobiografia pura (o quasi, d’altronde Filosa si chiama Vincenzo, mica Italo. No?). Il suo sguardo è cinico e per niente consolatorio. Non si dà pacche sulle spalle, non c’è autocommiserazione. Così come non è indulgente col mondo del fumetto italiano. Il mio passaggio preferito è senza dubbio quello in cui i suoi pensieri si fondono con quelli della città, la griglia comincia ad affollarsi di vignette e il protagonista si ritrova immerso in un inferno mizukiano. Evviva il gaijin manga ben fatto. Evviva anche la Rizzoli che ha pubblicato tre belle bombe di recente (Italo, Non mi posso lamentare e Chatwin).
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