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Sunday Page: Dario Bressanini sui Fantastici Quattro di Stan Lee e Jack Kirby

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Ogni settimana su Sunday Page un ospite ci spiega una tavola a cui è particolarmente legato o che lo ha colpito per motivi tecnici, artistici o emotivi. Le conversazioni possono divagare nelle acque aperte del fumetto, ma parte tutto dalla stessa domanda: «Se ora ti chiedessi di indicare una pagina che ami di un fumetto, quale sceglieresti e perché?».

Questa domenica è ospite Dario Bressanini. Classe 1963, Bressanini è uno scrittore scientifico, chimico e divulgatore. Ricercatore presso l’Università degli Studi dell’Insubria a Como e appassionato di fumetti (la sua biografia di Instagram recita «Il vostro amichevole chimico di quartiere»). Ha scritto su Repubblica, Il Fatto Quotidiano, Le Scienze ed è autore di libri come Le bugie nel carrello, La scienza della pasticceria e Contro natura. Il suo ultimo libro è La scienza delle verdure, edito da Gribaudo.

dario bressanini fantastici quattro

Questo è in assoluto il secondo fumetto che ho mai acquistato dei Fantastici Quattro, a 9 anni, nel 1973. Prima di allora leggevo regolarmente Topolino, Il Giornalino, Il Corriere dei Piccoli, insomma i classici “giornaletti” (così si chiamavano) per bambini.

In vacanza al mare un compagno di spiaggia mi aveva prestato un volume di questo fumetto molto colorato con strani esseri in copertina: i Fantastici Quattro (credo fosse il numero 9 con il Fantasma Rosso e le sue scimmie). Sfogliandolo ero stupefatto, con un disegno così diverso dagli albi a cui ero abituato, e sia la storia che i dialoghi erano qualche cosa che non avevo mai visto prima.

Finito le vacanze mi precipitai in edicola e comprai il giornaletto dei FQ. Era – avrei scoperto più tardi – il terzo e ultimo capitolo della trilogia di Galactus, con la saga di Silver Surfer. Ricordo che lessi freneticamente pagina dopo pagina, rapito dai disegni di quello che poi sarebbe diventato il mio disegnatore preferito di tutti i tempi: Jack Kirby. Uomini giganteschi, astronavi pazzesche, poteri incredibili, viaggiatori spaziali ma anche tanta umanità, e uno scienziato che salva il mondo.

Alla fine della lettura ero già diventato un fan accanito, anche se della storia non avevo capito praticamente nulla. Abituato alle storie semplici e autoconclusive di Topolino, ero stato catapultato nel mezzo di una crisi planetaria di cui non sapevo nulla. Chi era Galactus e perché voleva distruggere la terra? E l’Osservatore? Che poteri aveva? E poi la città dove vivevano era New York, mica una città inventata!

Non vedevo l’ora di comprare il numero successivo. Aspettai due settimane e poi corsi in edicola. Quest’uomo o questo mostro?, così si intitolava il nuovo albo. Quando lo aprì mi colpì subito la prima tavola, con La Cosa ferma sotto la pioggia scrosciante. Nessuna battaglia, nessuna azione, solo Ben Grimm che evidentemente aveva ben altro a cui pensare che non ripararsi dalla pioggia.

Ricordo che guardavo rapito ogni dettaglio che Kirby aveva disegnato. La tavola emanava tristezza. Non me l’aspettavo proprio, dopo l’avventura cosmica del numero precedente di cui per altro continuavo a ignorare le vicende pregresse, così come ignoravo l’origine dei poteri dei Fantastici 4. La Cosa era superforte, un supereroe, eppure non era contenta, si considerava un mostro e vagabondando a caso sotto la pioggia viene accolto da qualcuno che, apparentemente, vuole solo offrirgli riparo ma che in realtà vuole rubare i suoi poteri e il suo aspetto.

La storia è, credo, una delle migliori partorite dalla coppia Lee-Kirby, ed è con quella storia che Reed Richards mi ha definitivamente conquistato come modello da seguire per la mia carriera futura. Non era per nulla uno “sfigato” e non corrispondeva neanche allo stereotipo dello scienziato pazzo o criminale che invece era molto diffuso in altri fumetti. In quel numero esplorava per la prima volta la Zona Negativa con un macchinario inventato da lui (un’altra tavola pazzesca a tutta pagina di Jack Kirby a pag. 9) rischiando di morire.

Ecco un’altra cosa che differenziava questi giornaletti da tutti gli altri: le persone litigavano, ridevano, mangiavano, andavano a dormire e potevano addirittura morire per davvero. Insomma a parte i superpoteri era come la vita reale.

Non fai mistero della tua passione per i fumetti. La tua bio di Instagram recita “Il vostro amichevole chimico di quartiere” e hai scritti anche alcuni articoli a tema scientifico sui supereroi. Suppongo che i fumetti siano una componente importante della tua dieta culturale.

Assolutamente sì, li leggo ancora, anche se molto meno di prima per mancanza di tempo. Pensa che sto scrivendo le mie risposte alle domande di ritorno da una fiera del Fumetto. I primi fumetti che io abbia mai letto sono stati vecchi albi di Topolino che i miei nonni avevano in casa, dimenticati probabilmente dai miei zii anni prima. Vedendo che mi piacevano mio nonno Felice iniziò a comprarmi ogni settimana il numero di Topolino. Avevo 7 o 8 anni. Quel Natale mi feci regalare i due libroni della Mondadori “Io Paperino” e “Io Paperone” dove scoprì le meravigliose storie di Carl Barks. Non mi ricordo quante volte le ho lette! I miei zii avevano lasciato anche qualche albo di Tex e di Zagor ma non mi appassionai mai a quel genere. Preferivo i paperi, anche perché erano a colori e più divertenti.

Con gli anni ho allargato i miei orizzonti (ma Tex e Zagor hanno continuato a non interessarmi). La mia spesa di fumetti in edicola diminuì molto fino scomparire negli anni Ottanta, sostituita da altre passioni, ma con l’avvento delle graphic novel dei supereroi (che io insisto a declinare al femminile, come si faceva all’inizio quando arrivarono in Italia per la prima volta) la passione per i fumetti improvvisamente si riaccese e continua tutt’ora.

Ho spesso usato i fumetti in vari articoli e libri come parte della narrazione. In Contro Natura, un saggio scritto con Beatrice Mautino che esplora le modifiche genetiche che hanno subito i cibi che mangiamo e le reazioni emotive spesso violente che scatenano nelle persone comuni, un capitolo è tutto costruito attorno a Marvels, il capolavoro di Alex Ross e Kurt Busiek, con una serie di parallelismi tra gli X-Men e gli Organismi Geneticamente Modificati e come siano entrambi temuti e avversati.

Ti sarebbe piaciuto lavorare nel mondo dei fumetti o è sempre stata solo una passione da coltivare nel tempo libero?

Non essendo assolutamente portato per il disegno all’epoca non ho mai pensato seriamente di poter lavorare nel mondo dei fumetti, e comunque avevo già deciso che volevo fare lo scienziato. Negli ultimi anni mi è capitato di collaborare occasionalmente con qualche progetto editoriale a fumetti ma seguendo le orme del mio amico Amedeo Balbi (un fisico che ha firmato la sceneggiatura del bellissimo fumetto Cosmicomic, che racconta la storia della scoperta della radiazione cosmica di fondo e della teoria del Big Bang) mi piacerebbe anche cimentarmi raccontando una storia basata sulla chimica. Chissà.

Leggi anche: Gli uomini che spiegano il Big Bang. In un fumetto Cosmicomico

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