Coda è l’ennesimo – e grandioso – fantasy fuori canone che arriva sul mercato in una stagione in cui il genere sembra essere del tutto rinato. Dopo anni di dispotismo post-Tolkeniano e/o Howardiano – dove a farla da padrone era prevalentemente la consueta ambientazione nord-europea e tutto rimandava a una mitologia fatta di paladini, stregoni, elfi, draghi, barbari e così via – adesso scrivere e disegnare un fumetto fantasy significa creare un mondo dove ci può entrare letteralmente tutto quello che piace.
In realtà si tratta di qualcosa che si è sempre fatto – come tutti sanno Star Wars non è altro che la più classica delle favole con in più un sacco di astronavi, mentre Miyazaki fin dal suo esordio faceva convivere post-apocalisse e spade sguainate – ma mai come adesso questa fusione di generi e suggestioni pare essere al centro del processo creativo. Le ampie fondamenta dei classici del genere, basate su regole rigidissime reiterate all’infinito, diventano benzina perfetta per una macchina che non aspetta altro di bruciarle e rimetterle a disposizione dei lettori come tropi via via sempre più divergenti dal punto di partenza.
E così ecco le contaminazioni con ogni genere e linguaggio possibile, andando a generare una sterminata produzione che parte da Adventure Time, passa per Prison Pit e attraversa fumetti come Battlepug, Head Lopper, Monstress e Rat Queens. A questa lunghissima lista oggi possiamo tranquillamente aggiungere anche Coda, serie BOOM! Studios pubblicata in Italia in tre volumi da Panini.
Partendo proprio da simili presupposti l’intuizione più intelligente dello sceneggiatore Simon Spurrier è quella di scrivere un fantasy adattandolo alla struttura di una commedia romantica. E non parlo del tono generale della vicenda, che comunque riserva a più riprese passaggi brillanti e dotati di umorismo raffinato, quanto della scansione degli eventi. All’inizio abbiamo una coppia male assortita che finisce per confermarsi come perfettamente complementare, poi il più classico dei malintesi che rovina tutto e l’inevitabile riappacificazione dopo il rutilante terzo atto.
Quante volte l’abbiamo già sentita? I due innamorati e le loro meccaniche interne sono a tal punto il fulcro centrale della vicenda che i loro ruoli all’interno del plot generale – quello più tipicamente fantasy – finiscono per confluire uno dentro l’altro, in una continua fluidificazione dei codici. Se all’inizio del primo volume la divisione è la classica tra eroe e “damigella in pericolo”, le cose cambiano in fretta e il nostro si ritrova più nei panni dell’aiutante che in quelli del protagonista. Lo stesso vale per tutto il cast di Coda, dove nessuno pare destinato a vestire il suo ruolo per più di un pugno di pagine.
L’operazione di sovversione di Spurrier non è violenta e iconoclasta, quanto indirizzata a scrivere un post-epic-fantasy (!?) che sappia miscelare al suo interno un sacco di umori e che riesca ad adattarsi alla complessità dei nostri tempi. Così a tratti si ride, a tratti l’atmosfera si fa più seria e in altri violenza e azione la fanno da padrone. Al contempo la trama si attorciglia su se stessa e, pur nella sua assoluta semplicità, riesce sempre a spingerci in avanti.
A un certo punto viene citato alla lettera Mad Max: Fury Road ed è difficile pensare che la cosa sia casuale o un semplice vezzo. Proprio come nel capolavoro di George Miller il plot è minimo, ma a renderlo interessante sono i vettori che lo attraversano. Chi insegue diventa inseguitore, poi viceversa e infine ancora viceversa. In Coda è la stessa identica cosa. Ci sono un sacco di colpi di scena, ma il movimento è fortissimamente in avanti. Sempre in crescendo e senza mai togliere il piede dall’acceleratore.
Eppure, nonostante il contributo di Spurrier e la sua opera di decostruzione di cui abbiamo appena parlato, il vero asso della manica di Coda sono le matite di Matias Bergara. L’interpretazione che il disegnatore uruguayano fa del fantasy gioca sul contrasto tra la delicatezza del tratto e l’esplosività dei colori mentre mette in scena un mondo oltremodo ricco di influenze e di particolari. C’è una forte influenza del fumetto francese e la volontà di evitare ogni cliché del genere, rifuggendo da certi stopposi luoghi comuni e cercando di porsi in continuazione come qualcosa d’altro.
Siamo più dalle parti di un coloratissimo cartone animato dove tutto è esagerato, ma senza mai sforare nel grottesco o nel gratuito. Anche se certe idee sono sicuramente nate in fase di sceneggiatura, è la visione d’insieme del disegnatore a dargli davvero forma. Un unicorno mutante sboccato e fumantino, una città su ruote trascinata da un gigante, folli obici magici, cavalcature assurde, battaglie e personaggi della mitologia classica riletti in chiave post-apocalittica. E in più un sacco di particolari appena accennati, come se ci fosse ancora tanto da scoprire nel mondo di Coda.
Le tavole di Bergara sono sempre dinamiche, nella costruzione come nella gestione di un tratto che sembra in divenire. Ogni vignetta risulta chiara e immediatamente leggibile, eppure non c’è mai una definizione troppo plastica di quello che vediamo. La stessa fisionomia del protagonista Hum è solo accennata, suggerita soprattutto dalla presenza di un enorme naso stilizzato. Matias Bergara non ci mette nulla a prendersi quello che gli spetta e così la sceneggiatura di Spurrier diventa presto un mero supporto per il vero punto focale della serie. Senza il suo aspetto visuale Coda non sarebbe che una sciocchezza e i suoi velleitari tentativi di rileggere il fantasy del tutto gratuiti.
Per rendersi conto di quanto le matite siano centrali in tutta l’operazione di worldbuilding basta scorrere la galleria di copertine variant in coda a ogni volume. Ogni autore coinvolto – e si parla anche di giganti come Allred – non fa che smorzare la carica eversiva di Coda, cercando di indirizzarlo verso forme di narrazione più tradizionali. Poi basta dare una rapida scorsa a quelle regolari e ci si ritrova di nuovo a Villacrinale, tra sirene machiavelliche, magie distillate in provetta e draghi disperatamente bisognosi di qualcuno che gli gratti le terga.
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