Dopo il convincente esordio, arriva il secondo volume di Gideon Falls, la nuova creatura horror di Jeff Lemire, Andrea Sorrentino e Dave Stewart, che nel frattempo si è anche guadagnata un Eisner Award come miglior nuova serie.
Parlando del precedente arco narrativo (qui) avevamo posto l’accento su come l’estrema ricerca grafica fosse un buon palliativo per una sceneggiatura abbastanza semplice, divisa tra horror rurale e narrazione a piani sfalsati. Con il procedere delle uscite la forbice pare essersi ridotta, consegnandoci un libro molto più compatto rispetto al primo.
Lo story-arc di debutto era costruito attorno alla necessità di introdurci ai personaggi e al loro mondo. La sceneggiatura pareva costruita per accumulo, disinteressandosi di quanto la narrazione potesse risultare frammentata e poco coesa, e si cercava di risolvere il problema cercando il colpo di coda all’ultima tavola. Il proverbiale ribaltone alla Twilight Zone, dove la prospettiva sugli eventi che ci eravamo costruiti in testa veniva ribaltata aprendo scenari del tutto inaspettati. In più avevamo una grande atmosfera, data soprattutto da matite e colori, e qualche intuizione sopra le righe davvero sorprendente. A conti fatti però poca sostanza per poter già urlare alla nuova grande serie horror da seguire a ogni costo.
Con Peccati originali le cose cambiano, dando finalmente alla serie quello spessore e quella concretezza necessari per fare in modo che l’interesse del lettore sia costante e non solo stimolato da qualche trucchetto da esperti narratori.
Meno ripiegata su se stessa, la scrittura acquista maturità, evitando la ricerca dell’effetto speciale a ogni costo e procedendo piuttosto compatta e precisa. Gli sviluppi della trama sono forse più prevedibili, ma viaggiano spediti e senza tentennamenti. Conosciamo meglio i personaggi scavando nel loro passato, il velo su qualche mistero viene sollevato e tutte le promesse fatte dalla conclusione del primo volume vengono mantenute.
Il senso di frustrazione che accompagna ogni narrazione troppo compiaciuta nello spostare sempre più in là la risoluzione dei suoi nodi principali viene evitato, e quello che ne risulta è una serie solida e ben congegnata dove, però, ancora una volta, a fare la differenza sono Sorrentino e Stewart. La presenza di più carne al fuoco rispetto al primo story-arc costringe disegnatore e colorista a una regia più pacata, ma non mancano comunque momenti davvero notevoli. Alcuni mutuati in maniera davvero convincente dal cinema – tipo le apparizioni dell’uomo che ride nascosto in qualche fondale oscuro – altri inscindibili dal fumetto.
Ed è proprio in quei momenti che Gideon Falls dà il meglio di sé, dimostrandosi una serie con davvero qualcosa da dire. Evitando di scimmiottare l’orrore letterario o televisivo e sfruttando tutte le armi a sua disposizione. E non si parla delle splash page ultraframmentate, presenti in gran numero e buttate lì solo per far sgranare gli occhi al lettore. Il meglio la serie lo raggiunge nelle piccole idee, che arrivano senza far troppo rumore e quasi di sfuggita. Una tavola costruita in verticale mentre la narrazione procede in orizzontale ci racconta di personaggi in caduta libera, anche se loro paiono non essersene accorti.
L’uso di riquadri obliqui infilati in contesti ortogonali ci mostra come il loro equilibrio sia sempre più precario, mentre uno scuolabus nascosto dietro una griglia fittissima è più simile a una prigione dove il destino è una tragedia ineluttabile che a un innocuo mezzo di trasporto. Si tratta di soluzioni che si infilano nel tessuto della narrazione in maniera del tutto organica e funzionale, senza ribaltare per forza di cose la struttura della pagina in favore di layout barocchi ed estetizzanti.
Per quanto l’universo di Gideon Falls sia in costante espansione – finendo per includere scienze oscure, omicidi di massa e universi paralleli – il suo aspetto più interessante non è quello roboante e avventuroso, ma quello più legato all’intimità. I rapporti tra i personaggi sono di pagina in pagina sempre più stretti, legati da traumi passati e da sentimenti di affetto chiari ed espliciti. Si capisce ben presto come il punto di tutta la faccenda sia proprio quello. Alla stessa maniera della progettazione grafica, gli aspetti maggiormente espliciti passano presto in secondo piano – come un’intelaiatura necessaria ma non centrale – a favore di cesellature più sfumate e minute.
Perché vanno bene i mostri nel buio e le tavole che si attorcigliano come un’elica di DNA, ma quello che tiene in piedi una serie è quanto ci affezioniamo ai personaggi, alla loro vita interiore e come questo risultato viene raggiunto vignetta dopo vignetta. Con questa cosa bene chiara in testa, Brian K. Vaughan sta trascinando Saga per anni, continuando a vendere tanto e a vincere premi, fino all’inevitabile pausa di riflessione. Figuriamoci cosa si può fare con una serie che ha ancora tutto da dire.
Gideon Falls era stata lanciata in pompa magna sfruttando il momento di massima popolarità dello scrittore Jeff Lemire, lasciandoci con un poco di amaro in bocca alla conclusione del primo volume. Si trattava di un buon libro, ma troppo poco per poterlo considerare una lettura in grado di primeggiare sull’infinita quantità di proposte in continua uscita sul mercato statunitense. Con questo Peccati originali le cose paiono destinate a cambiare, grazie alla maturazione della serie in qualcosa di più ricercato e profondo dell’ennesimo horror.
Gideon Falls vol. 2 – Peccati originali
di Jeff Lemire e Andrea Sorrentino
traduzione di Leonardo Favia
Bao Publishing, giugno 2019
cartonato, 136 pp., colore
18,00 €
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