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Ma è vero che Batman non uccide?

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Durante un evento in cui è stato proiettato Batman v Superman, Zack Snyder ha risposto alle domande del pubblico e ha voluto chiarire la sua visione di Batman. Secondo il regista, era perfettamente normale che l’Uomo Pipistrello compiesse omicidi: «Qualcuno mi ha detto: Batman ha ucciso un tizio. E io ero tipo “Merda, davvero? Svegliati, cazzo”». Snyder è convinto che Bruce Wayne non si sia mai tirato indietro quando si è trattato di far fuori i criminali.

Ne è subito nato un dibattito tra lettori più o meno informati, più o meno studiosi della psiche e della morale batmaniana. In un lungo articolo, IGN ha ripercorso la fedina penale di Batman per fare chiarezza sull’argomento.

Come scrive il sito, «l’idea di un Batman consapevole che, uccidendo, potrebbe perdere il controllo è forse la nozione più accettata a livello culturale di tutta la sua Storia». Il vigilante si è sempre dato delle regole di condotta molto ferree, tra cui quella che gli vieta di usare pistole, le armi che hanno tolto la vita ai suoi genitori, o quella di non uccidere. Entrambe sono state infrante spesso, nel corso degli anni.

Il Batman delle origini
In realtà, queste regole sono uno standard moderno. Già nella sua prima apparizione su Detective Comics #27 Batman spinge un uomo in una vasca d’acido decretandola «una giusta fine» (ispirando sia The Killing Joke che il Batman di Tim Burton). Due albi dopo, Batman uccide il Dottor Morte intrappolandolo in un edificio in fiamme, nel numero 30 spezza il collo a un altro personaggio, e in Batman #1 impicca l’Uomo Mostro dal suo elicottero. Il personaggio di Batman era una declinazione di eroi pulp come The Shadow che spadroneggiavano negli anni Trenta ed era quindi coerente che i modi dell’eroe appartenessero a quel mondo.

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Nelle sedici storie prodotte tra il 1939 e il 1940 Batman impugna un’arma da fuoco in cinque occasioni. A partire da Batman #1, l’editor DC Whitney Ellsworth diede istruzione di non far commettere omicidi a Batman, una regola già implementata sulle storie di Superman. Inoltre, l’Uomo Pipistrello non avrebbe dovuto più utilizzare pistole. In seguito all’introduzione di Robin, Batman mutò in una figura modello per il giovane e per i lettori.

In Batman #4 l’eroe ammonisce Robin, che sta combattendo con il suo pard contro una banda di pirati, affermando per la prima volta che l’omicidio non rientra nei loro compiti.

Bill Finger, il co-creatore del personaggio, concordava con Ellsworth, ritenendo che, per combattere cattivi come Joker e il Dottor Morte, Batman dovesse seguire un codice morale più rigoroso. Se voleva essere l’eroe della serie, doveva comportarsi da tale. Finger cementificò il comandamento dell’editor in Batman #47 (1948), in cui l’eroe si scontra con Joe Chill, l’assassino dei suoi genitori. Invece che ucciderlo, Batman spera di estorcergli una confessione. Per fare ciò, gli rivela la sua identità segreta. Preso dal panico, Chill racconta ai suoi scagnozzi di essere stato il responsabile della nascita del vigilante e questi, furibondi, lo uccidono.

«La condotta morale di Batman non è sempre pragmatica e spesso gli causa problemi» scrivono su Polygon. «Per dirla in un altro modo, è una grande fonte di dramma».

Bob Kane, l’altro papà di Batman, avrebbe scritto nell’autobiografia Batman and Me: «Il clima morale cambiò nel 1940. Non potevi più uccidere o sparare ai criminali. DC preparò un insieme di regole che ogni autore avrebbe dovuto seguire». Kane, non del tutto d’accordo con questa linea di pensiero, si corresse in interviste sucessive affermando che il successo di Batman stava proprio nell’essersi saputo rinnovare di fronte ai tempi che cambiavano, una cosa che Shadow e gli altri eroi pulp non erano stati in grado di fare.

I gusti dei lettori erano cambiati. Sempre più ragazzini leggevano i fumetti e trovavano più divertenti le storie leggere di Capitan Marvel che le trame oscure di Batman. Inoltre, nel caso di Batman, il divieto aveva un senso narrativo: era logico pensare che un uomo i cui genitori erano stati uccisi a sangue freddo non si sarebbe macchiato dello stesso crimine.

Tempi moderni
Il Batman a misura di bambini trovò terreno fertile negli anni Sessanta, tanto nei fumetti – sempre più strampalati – quanto sui teleschermi. Nel 1966 debuttò la serie tv con Adam West, colorata e frizzante al limite del kitch. L’editor del personaggio Julius Schwartz cercò di invertire la rotta, proponendo nei fumetti un Batman adulto e tutt’altro che bambinesco. Denny O’Neil e Neal Adams ripensarono il mondo del supereroe portando in scena una nuova versione del Joker, feroce e inquietante, in Batman #251 del 1973.

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Nel 1982, su Batman Annual #8, Mike W. Barr e Trevor Von Eeden firmarono The Messiah of the Crimson Sun, una storia breve in cui Batman uccide il suo nemico Ra’s al Ghul. Da questo momento in poi, la lista dei giustiziati non fece che allungarsi, fino ad arrivare a Batman: Anno tre, in cui si fece un passo indietro e si cancellò l’assassinio del criminale KGBeast da parte di Batman avvenuto in Le dieci notti della Bestia. Batman affrontò a viso aperto la questione nel 2006, durante l’arco narrativo Sotto il cappuccio. Nella storia, Bruce afferma che non può uccidere, perché «se lo facessi, se concedessi a me stesso di scivolare in quel luogo… Non tornerei più indietro».

Al cinema
Anche nei film l’argomento è affrontato con disinvoltura. Nei Batman di Tim Burton, Bruce non si fa problemi a uccidere (o lasciar morire) diversi personaggi, e altrettanto fa la versione incarnata da Christian Bale nella trilogia di Christopher Nolan, nonostante quest’ultimo presenti il problema in maniera ambivalente (vediamo Bruce rifiutare di uccidere un uomo durante il suo addestramento, ma poi lasciar morire il suo maestro nel finale di Batman Begins). E, ovviamente, in Batman v Superman Zack Snyder lo rappresenta come un vigilante capacissimo di uccidere.

Molti altri esempi – di omicidio o di pietà verso gli agenti del male – si sono affastellati negli anni, ingarbugliando la matassa. Durante i suoi 80 anni di storia, quindi, “non uccidere” è diventata più una linea guida che una regola inviolabile, un tema filosofico a cui autori diversi hanno dato risposte diverse.

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