Che Paolo Bacilieri abbia realizzato un fumetto su Milano non è una nozione che dovrebbe stupire più di tanto. L’autore veronese, ma cittadino lombardo ad honorem, è infatti uno dei più prolifici raccontatori della città. Che Tramezzino – il suo nuovo fumetto pubblicato da Canicola Edizioni – abbia forme e modi diversi dal normale, un po’ sì.
Pubblicato nella collana Sudaca – che raccoglie fumetti stampati in dimensioni A3 – Tramezzino sfrutta un formato fuori scala per mettere in scena una storia piccolissima, che divampa e brucia in un attimo, mostrando nascita e crescita della relazione tra due giovani studenti del Politecnico in quel di Milano.
Se Fun era «una geografia sentimentale di luoghi-simbolo della contemporaneità, soprattutto Milano» (come analizzato da Daniele Croci), e Palla ambientava a Lomellina una parabola sulla centralità della carne nella cultura occidentale, Tramezzino è l’arcinoto racconto boy-meets-girl in salsa meneghina.
Daddo e Skilla hanno vent’anni. Lui è di Milano, figlio di borghesi, lei una giovane intellettuale greca studentessa di design. Si conoscono, si piacciono, si piacciono molto e poi pochissimo. In poche pagina cambiano, mentre lo sfondo della città resta immutato, certo e granitico.
Bacilieri fugge da una resa patinata. Fa iniziare la storia in un luogo conosciuto (le colonne di San Lorenzo, dietro cui fa capolino la Torre Velasca, coperta dal cielo amaranto della copertina) ma poi si perde in angoli e scorci poco turistici, scegliendo di ritrarre la Milano brutalista, razionale e modernista di Giò Ponti o Dominioni. Daddo e Skilla non si baciano davanti al Duomo, non si bisbigliano sconcerie nei loggioni del Teatro alla Scala, non assaltano qualche pasticceria conosciuta. Corrono a Parco Sempione come l’avrebbe disegnato Magnus, scenografico e tattile, fanno l’amore nell’appartamento dello zio di lui, uno di quelli progettati da Asnago e Vender.
Immagino che leggere Tramezzino da milanese sia come fare una giravolta. Hai fatto un gran movimento, ma sei rimasto al tuo posto. Conosci i luoghi che ti mostra, e vederli disegnati ti può fare sfuggire al massimo un sorriso o confermare le abilità da disegnatore di Bacilieri. Ricordare di esserci passato anche tu, per quelle vie. Io che invece a Milano non ci vivo (è appropriazione culturale se parlo di una città in cui non vivo?) e ci sono stato un numero di volte sufficiente solo ad afferrarne la patina superficiale, di Tramezzino vedo altro.
Vedo una città che aggredisce con il cemento dei suoi edifici ma che accoglie, se si ha pazienza di trovare le insenature, le cellette da cui esce il gemito di una voce, il dettaglio di un corpo. Vedo esperienze sensoriali rompere la monoliticità del profilo urbano. Vedo gli echi dell’impero giungere in provincia e dirmi che la città meneghina è fatta di vedute in bianco e nero al cui interno troverò cose non belle ma di cui potrei finire per innamorarmi: sbavature sulle pagine, insegne delle aziende telefoniche, macchine parcheggiate, imperfezioni del disegno ingigantite dal formato, graffiti sui muri, cartelli sbrecciati in metropolitana, pisciate di cane agli angoli della strada.
Come è tipico di Bacilieri, senti che anche lui, in qualità di narratore, è un personaggio della storia. Ti racconta le cose, seleziona le informazioni, banali o importanti, le segna a margine con le sue peculiari nuvolette che galleggiano nella pagina come palloncini riempiti di vasellina. E poi puntella la storia con riferimenti più suoi che dei personaggi (di certo non lo sono di Daddo, vista la piega prende la vicenda). Cita i film di Bud Spencer, le canzoni di Mina, Tenco, Ciampi, Celentano, De André e Pupo.
Nel cuore della storia, infatti, il fumettista disegna una carrellata di vedute cittadine, accompagnandole ai testi di canzoni che parlano di amori tragici, di epifanie, andirivieni e sconfitte. Ecco che gli edifici progettati da BBPR e Vico Magistretti, muscolari e decisi, sono accompagnati dalle parole di Battisti, Tenco e Ciampi. L’architettura brutalista di Milano che parla con la canzone italiana, quasi a corteggiarsi, mentre i due amanti stanno andando ben oltre le moine da fidanzatini.
La storia d’amore vissuta tra i palazzi, al chiuso, un chiuso da cui intravediamo, come a sbirciare dentro una delle finestre dell’appartamento, dettagli, ritagli di corpi, frammenti di suoni e parole («alla mia stella», gli sussurra lei in greco a un certo punto). Come per Fun, leggere la pagina diventa leggere la città, perché le due si spartiscono «la frammentarietà dell’esperienza urbana, la razionalizzazione delle forme, l’estetica verticale».
Più forte e deciso di Fun, in questo senso, Tramezzino non avrebbe avuto lo stesso impatto se fosse stato stampato in un formato più piccolo. Peggio, avrebbe perso di senso. Invece di usare la pagina per soggetti cangianti che avrebbero bisogno di una tela grande per essere visti in tutti i loro dettagli, Bacilieri disegna palazzi con schemi ripetitivi a cui la riproduzione in larga scala giova fin lì.
Qui sta il prestigio: l’autore usa lo spazio ampio per queste massicce vedute frontali della città, per prospetti silenziosi e mezzobusti abbacinanti attorno a cui scalpella vignette pregne di sesso. È un’associazione sbilenca, quella tra (minuscoli) corpi di carne che si uniscono e (immensi) progetti architettonici compiuti, ma per come la imposta Bacilieri funziona benissimo come apice della trama. L’opera si compie poi in un finale sagace, un commento ironico sul presente, la memoria storica e la precarietà delle relazioni.
Il fumetto di Bacilieri gioca con la sottolineatura modesta: dice che il suo è un intermezzo, un piccolo tramezzo che separa gli spazi, o un tramezzino, uno spuntino che si fa consumare con gusto ma che non pretende di essere un pasto completo. E invece l’esperienza di lettura si fa appagante grazie alle invenzioni dell’autore addosso a una tipologia di racconto consueta, e al formato contemplativo, che conferisce un senso di vitalità ed espansione.
Tramezzino
di Paolo Bacilieri
Canicola Edizioni, ottobre 2018
Brossurato, 36 pp., b/n
17,00 €