Ogni settimana su Sunday Page un autore o un critico ci spiega una tavola a cui è particolarmente legato o che lo ha colpito per motivi tecnici, artistici o emotivi. Le conversazioni possono divagare nelle acque aperte del fumetto, ma parte tutto dalla stessa domanda: «Se ora ti chiedessi di indicare una pagina che ami di un fumetto, quale sceglieresti e perché?».
Questa domenica ospitiamo Fran De Martino, in arte Fran. Fumettista e illustratrice napoletana, è vignettista per Fanpage, ha collaborato con varie realtà editoriali come Rizzoli, Zanichelli e Il Mattino ed è autrice di Lo sai a mammeta? (‘roundmidnight edizioni) e l’autoproduzione La vedova bianca.
Quando mi hai chiesto di commentare la tavola di un fumetto che fosse particolarmente significativo per me, il titolo del libro di cui avrei parlato mi è subito esploso nel cervello a caratteri cubitali e circondato da lucine intermittenti, ma non avevo la minima idea della pagina che avrei scelto. Mi sono domandata il perché. Ho riletto il libro. Ci ho riflettuto un po’. E sono giunta alla conclusione che il motivo del mio tentennare è strettamente connesso con la peculiarità del fumetto in questione.
Alla fine ho scelto l’unica pagina che compone il quattordicesimo capitolo di Why I Hate Saturn (Perché Odio Saturno) di Kyle Baker, anno di pubblicazione 1990. Non ricordo quando ne sentii parlare o chi me lo consigliò all’epoca, ma so che lo lessi tutto d’un fiato e lo amai alla follia; solo in seguito scoprii che era un cult e che aveva addirittura un Eisner Award sul groppone. Meglio così.
Why I Hate Saturn può essere descritto efficacemente con un semplice aggettivo: brillante. Duecento pagine di fuochi d’artificio, osservazioni sagaci e battute fulminanti a cui è perfino difficile star dietro, tanto serrato e incalzante è il ritmo che scandisce gli eventi.
Come mai hai scelto questa pagina?
Nella pagina in questione Baker impiega giusto 4 vignette per demolire allegramente la vita e la carriera di Anne, la nevrotica e irresistibile protagonista, e trascinarla in un viaggio folle alla ricerca della sorella, coinvolta in una storia surreale e grottesca di amori sbagliati e tentati omicidi: la matita dell’autore è leggiadra come un machete, e il suo uso dei tempi comici è altrettanto letale.
Tecnicamente il fumetto è quantomeno sui generis: ogni pagina è composta da una cornice che racchiude una o più vignette, disposte in modo variabile e rigorosamente senza balloon, ma corredate da didascalie che descrivono l’azione o riportano i dialoghi; gran parte della storia è accompagnata da conversazioni botta-risposta tra i vari personaggi a cui corrispondono altrettante inquadrature dei volti in primo piano, sicché, più che un fumetto, si ha l’impressione di trovarsi di fronte allo storyboard di un film o di una sitcom.
Aggiungiamoci anche il fatto che le discussioni – sempre argute e quasi sempre alcoliche – tra Anne e i suoi interlocutori toccano con spietato humor e lucidità una gamma di argomenti che va dal consumismo sfrenato all’ossessione per l’immagine, dall’ipocrisia nei confronti dei neri alla nuova (per l’epoca) moda delle filosofie orientali e del salutismo, e gli ingredienti per uno show di successo ci sono tutti… E ben prima di Clerks e di Friends, dei quali a mio parere, dal punto di vista della narrazione, costituisce la sintesi perfetta.
Ti senti influenzata nel tuo lavoro da quest’opera (o dall’autore in generale, la cui produzione negli anni è stata parecchio eclettica)?
Immagino che chiunque faccia fumetti miri a costruire racconti che tengano avvinto il lettore, e il modo in cui Baker gestisce la storia è addirittura chirurgico: non ci sono “buchi di regia”, tanto per tornare alla metafora cinematografica. L’azione e la narrazione procedono di pari passo senza che l’una prevalga mai sull’altra – equilibrio tutt’altro che scontato, visto che la sua scrittura è un fiume in piena e tiene il libro in piedi praticamente da sola.
Non per questo il segno ne risente: i personaggi sono caratterizzati perfettamente con pochi tratti, in modo realistico o caricaturale a seconda delle esigenze; questo li rende estremamente espressivi dal punto di vista grafico oltre che credibili sul piano psicologico. Sì, la a mia aspirazione come autrice è decisamente riuscire ad arrivare a questo tipo di sintesi disegno – storytelling.