Lee Weeks, classe 1962, esordì a metà anni Ottanta con un racconto pubblicato sulla rivista Tales of Terror, dopo aver studiato presso la Kubert School. Il suo stile classico, dallo storytelling solido e preciso, lo portò nel pieno della rivoluzione guidata da disegnatori funambolici come Jim Lee, Rob Liefeld e Todd McFarlane su Daredevil.
Nel corso di due anni, Weeks, insieme allo sceggiatore D.G. Chichester, si dedicò anima e cuore al personaggio. La sua prova sulla testata si concluse nel 1992 in maniera egregia con la saga intitolata Ultimi riti (Daredevil #297-300).
Chichester riprese temi cari ai lettori milleriani: dopo anni trovano una soluzione alcuni punti irrisolti di Born Again, capovolgendo la situazione e decretando la caduta di Kingpin. Con uno stile più che classico, grazie anche all’apporto del grandissimo Al Williamson agli inchiostri, Weeks riprese linee e atmosfere tipiche del giovane David Mazzucchelli. Le pose di Daredevil non erano mai eccessive, e la naturalezza con cui curava l’anatomia e le prospettive erano in antitesi allo stile dominante dell’epoca, sembrando quasi anacronistiche.
In realtà, a riguardarle ad anni di distanza, quelle tavole piene di pathos con un Kingpin che completava la sua transizione verso la piena maturità come personaggio sono forse tra le cose migliori di Daredevil.
Ma l’amore di Weeks per il personaggio non si è mai affievolito: con
Ospitare angeli a propria insaputa, primo capitolo del volume Notti oscure, nel 2013 è tornato al suo primo amore, curando tanto la sceneggiatura quanto i disegni. Un atto di affetto e di rispetto verso un personaggio a cui l’autore deve quasi tutto. In un’intervista a CBR ha ricordato i suoi esordi:
«Nei primi anni di carriera, ero così felice di lavorare nel settore che non avevo il benché minimo desiderio di chiedere determinati lavori. Non lo feci per quattro o cinque anni, ma stavo per scomparire. Poi una notte rimasi seduto a pensare: “Se potessi disegnare qualcosa che cosa sarebbe?”, e iniziai a buttare giù degli schizzi di Daredevil. Mi assicurai di portarli con me quando mi recai alla Marvel per parlare con un editor. Ero spaventato a morte, ma ottenni un fill-in, che poi sarebbe diventata una run di due anni.»
In quello che è stato il lavoro più lungo e rappresentativo della sua carriera, Weeks diede fondo alle sue passioni come disegnatore, cercando di ricollegarsi idealmente ai grandi disegnatori che avevano prestato le loro matite alla testata. Il gusto classico di Bill Everett e Wally Wood si integrava con la dinamicità e la potenza delle prospettive di Gene Colan, il tutto filtrato attraverso la sensibilità urbana e sporca di Frank Miller e Klaus Janson.
Il ritorno sul personaggio, forte di un’idea covata per anni, non poteva non essere votato al noir: una versione ancora più disperata di Matt Murdock, in cui il personaggio, in uno stato di quasi amnesia e con il suo senso radar fuori uso, deve muoversi in una New York messa in ginocchio dalla tempesta perfetta. Ma alla base c’è anche un forte senso romantico dell’eroismo: la disperata dedizione con cui Daredevil affronta i pericoli rimanda quasi alla Silver Age. Non a caso, come ha sottolineato Weeks:
«La motivazione più importante è stato un senso di frustrazione per il livello di malvagità nei fumetti… sentivo che stavamo perdendo il nostro modo di vedere quanto ci fosse di eroico nell’essere creatori e narratori. Lo si faceva solo per shockare… L’altra motivazione era… una scena che mi era venuta in mente, quella del Buon Samaritano… Volevo raccontare una storia che giustificasse perché Daredevil fosse un eroe.»
L’espediente dell’amnesia è servito a Weeks per modellare Daredevil secondo le sue intenzioni, per infondere nel personaggio un messaggio positivo. In questo, il Daredevil di Weeks, pur conservando il contesto urbano caro a Miller, è più vicino alla versione positiva di quello di Mark Waid.
La dimensione notturna, i riferimenti cristiani – la carità e il sacrificio quasi cristico sono centrali –, la dimensione simbolica della neve che già Ann Nocenti e Mark Waid avevano esplorato, servono a Weeks per creare un meccanismo narrativo ansiogeno.
La stasi e l’impotenza delle istituzioni costringono Matt Murdock a indossare il costume e lanciarsi a capofitto in un’impresa suicida. La città diventa la quinta perfetta per la corsa disperata dell’eroe, mentre l’autore dimostra una visione d’insieme solida e cinematica, con tavole che creano un flusso continuo, mostrando una sapiente regia.
Daredevil: Notti oscure rappresenta una lettura obbligata per qualsiasi fan di Daredevil, ponendosi nell’ideale intersezione tra la scuola hard boiled à la Miller e quella più eroica e classica à la Waid.
Il volume si conclude con i restanti numeri della miniserie affidati a un David Lapham ormai esausto e privo di inventiva che si gingilla con atmosfere retrò. Un’occasione mancata, soprattutto pensando alle capacità narrative mostrate in un’opera fondamentale come Stray Bullets.
Leggere l’avventura di Weeks rappresenta un buon viatico per riscoprire una delle run più belle di Daredevil, ma anche per gustarsi un autore che lontano dalle mode e dalle tendenze ha costruito una carriera importante basata sulla concretezza e sull’arte romantica di raccontare storie.
Daredevil Collection vol. 19: Notti oscure
di Lee Weeks e David Lapham
traduzione di Pier Paolo Rochetti
Panini Comics, giugno 2018
cartonato, 184 pp., colore
19,00 €