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Quella volta che Snoopy mangiò il panettone

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Una volta Snoopy ha mangiato il panettone. Non per sua volontà e nemmeno per quella del suo autore, il fumettista Charles Schulz, creatore dei Peanuts. Per spiegare l’affascinante storia dietro questa affermazione servono un santo, un traduttore, una città e ovviamente uno dei cibi simbolo delle feste natalizie, il panettone.

Problemi di traduzioni (e tradizioni)

Capita che i traduttori modifichino elementi di un testo per avvicinarli al pubblico di riferimento, che potrebbe non avere familiarità con un concetto di una cultura a loro estranea. Per esempio il ramen, anni prima che diventasse cibo comune in Italia, veniva tradotto con “spaghetti”, così come gli yen si trasformavano in lire.

L’operazione era frequente in passato, quando non c’era modo di informarsi con tanta facilità quanto oggi. Cercando di avvicinare il pubblico a una data cultura, gli esiti sono stati diversi. Sono ormai lontani i tempi di scelte di dubbio gusto come “Percy Dovetonsils” che diventava “Cristiano Malgioglio” in un numero di Astonishing X-Men o di David Letterman che parla con i tormentoni di Gigi Marzullo.

Emblema di questa scuola fu Franco Cavallone, il primo traduttore della striscia Peanuts di Charles Schulz. A lui si devono invenzioni come “toffolette” (al posto dei “marshmallow”), “bracchetto”, “santa polenta” e “grande cocomero”, tutte soluzioni adottate per rendere comprensibile un contesto culturale che non era ancora permeato in Italia. Oggi chiunque ha ben presente i marshmallow e l’uso che se ne fa (in America più che da noi a dire vero).

Ancora estraneo alla nostra cucina è invece il figgy pudding, uno dei tanti dessert festivi della cucina inglese e statunitense. Il pudding natalizio è protagonista di una gag del 20 gennaio 1964 in cui Snoopy si lamenta del pranzo che gli porta Charlie Brown composto da avanzi del dolce.

La battuta, scriveva Cavallone nell’introduzione al volumetto Fiocca, la neve fiocca, è veicolata dal cane Snoopy, «creatura dalle possibilità illimitate, campione di eccentricità, la cui superiore intelligenza gli consente di guardare a se stesso e agli altri personaggi da una posizione esterna al fumetto, quasi ne fosse il coautore».

Ma come tradurre la gag? Già solo il nome “pudding” rimanda a una serie di piatti tutti diversi tra di loro e ogni tentativo di adattamento porterebbe a delle imprecisioni (pampepato? pan di zenzero? panforte?).

Inoltre, per la battuta in questione è essenziale trasmettere l’informazione che il figgy pudding è un dolce tradizionale preparato nel periodo delle feste (viene invocato a gran voce nel canto We Wish You A Merry Christmas), che può risultare indigesto ad alcuni (è fatto con uvetta, fichi secchi, rum, nocciole, cannella, zenzero) e che è particolarmente coriaceo e stabile nel tempo, indi per cui consumabile a mesi di distanza. Ed è una delle «parole buffe» che Schulz amava usare.

Sono tante informazioni racchiuse in un unico nome. Data la battuta, Cavallone, da buon milanese, fece l’ovvia connessione con la tradizione meneghina del panettone di San Biagio.

San Biagio era un medico armeno del III secolo che rimosse una lisca dalla gola di un ragazzo con una mollica di pane. Per questo è conosciuto come il santo che «benedis la gola e él nas». A questa nozione si lega una leggenda contadina: un frate, invece che benedire un panettone portatogli da una paesana, finì per mangiarselo. Quando la donna tornò, il 3 febbraio, giorno di San Biagio, il chierico scoprì che si era materializzato un panettone grosso il doppio. Imputarono il miracolo a San Biagio e, unendo la sua nomea di guaritore, inaugurarono la tradizione di far benedire un panettone e mangiarlo per proteggere la gola dai malanni invernali.

La ricorrenza cade appunto il 3 febbraio, non distante da quel 20 gennaio in cui è ambientata la striscia. Un riferimento sicuramente sconosciuto a Schulz ma che permise a Cavallone di aggiungere un’altra sfumatura di significato. Ed ecco perché il traduttore optò per il corrispettivo più opulento possibile del figgy pudding. Così Charlie Brown, nella versione del 1964, propone nella ciotola di Snoopy i resti del panettone.

snoopy panettone
Versione della striscia tratta da Come ti pare, Charlie Brown!, con la traduzione originale di Franco Cavallone con Snoopy e la sua ciotola di panettone.

Per quanto infedele, la traduzione è ricca di rimandi e svolge il ruolo, primario rispetto a tutti gli altri, di mantenere intatto il senso della battuta rendendola comprensibile.

Nuove usanze

Dagli anni Sessanta a oggi, la distanza che esisteva tra il pubblico italiano e il mondo di Schulz si è ridotta, in alcuni casi svanita. Quando, negli anni Duemila, Andrea Toscani ha ritradotto i Peanuts in occasione dell’edizione italiana di The Complete Peanuts, questi e altri luoghi sono stati ripensati. Il traduttore ha scelto di muoversi su un binario parallelo rispetto alle traduzioni storiche, evitando localismi.

L’idea, spiega Toscani a Fumettologica, era di «restituire al lettore tutti i riferimenti originali di Schulz a personaggi, titoli di film, canzoni e citazioni. Naturalmente occorre avere un criterio morbido, che non vada a scapito della striscia e dell’umorismo che deve veicolare».

Ma tradurre il dolce era un problema nel 1964 tanto quanto lo è oggi. «Ho scelto di cercare una soluzione tangenziale: mantenere l’umorismo sonoro di un sintagma come “figgy pudding” traducendo in italiano “pasticcio di uvetta”.»

«L’intenzione» dice Toscani, «era quella di suggerire al lettore un’immagine simile al piatto originale, mantenendo al tempo stesso con “uvetta” (presenza natalizia anche nella tradizione italiana) il riferimento semantico che fa funzionare la battuta di Snoopy. Trovo la parola “pasticcio” molto buffa e la sentivo funzionale sia per semantica che per suono. “Pudding di uvetta” o qualcosa del genere che mantenesse la parola “pudding” poteva essere una soluzione percorribile non lontana dalla scelta che ho fatto».

Dopo il 1964, per i successivi trentasei anni, Snoopy non avrebbe più pucciato il naso in un panettone o in un pasticcio d’uvetta, ma la sua breve liason dimostra quanti ragionamenti si nascondano dietro a dei rimasugli di un dolce natalizio.

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