di Andrea de Franco
Tutto trema nel mondo disegnato della tedesca Anna Haifisch, autrice nota soprattutto per la serie The Artist, pubblicata su Vice e raccolta in volume, che sarà per la prima volta in mostra in Italia da studio URCA per BilBOlbul.
Tremano non solo i personaggi – nervosi, deboli, timidi – ma anche gli oggetti, le architetture, i paesaggi, le parole, ogni cosa sembra trattenere il fiato mentre il cuore batte più velocemente del dovuto.
L’idea di un intero universo sull’orlo di una crisi di nervi riverbera con vigore nelle vicende dei personaggi che abitano gli scenari che Anna Haifisch disegna con un rigore ed uno stacanovismo più vicino ai grandi cartoonist di un tempo che ai vivaci freak che spesso sono i fumettisti underground europei contemporanei. Non c’è traccia di veri e propri esseri umani, ma sicuramente moltissima umanità, un elemento che rende ancora più evidente il legame del lavoro della Haifisch sia alla tradizione dei funny animals che al lavoro di altri giovani e potentissimi autori come Richard Short e Fabio Tonetto (e forse già basterebbe mettere in fila questi tre autori per avere una rivista di fumetto ideale).
Haifisch si muove virtuosamente tra gli estremi, riuscendo a non rallentare mai, lontana dallo scadere nella didascalia. Anche i suoi lavori più “astratti” dal punto di vista narrativo – i grandi albi per Perfectly Acceptable Press – non si concedono mai ad eccessivi compiacimenti e rimangono nitidi e graffianti ma anche dolci, più che ferite sono lividi – comunque in grado di rivelare, dietro una spessa scorza di apatia e anaffettività, una disperazione tremula, una forma di continua e nervosa resistenza alle proprie fragilità, debolezze ed inadeguatezze.
È difficile che i personaggi si diano a manifestazioni sincere di sentimenti ed angosce, ma sono praticamente tutti, ognuno a modo suo, in cerca del proprio rifugio, del proprio angolo sicuro. Ciò rende ancora più significativa la rappresentazione animale – quelli antropomorfi, “umani”, convivono sempre con quelli selvatici, che a volte prendono comunque a loro volta parola. Non c’è una distinzione netta tra mondo civilizzato e natura: tutte le creature sembrano a loro modo istruite e consapevoli della realtà, la vera differenza la fa il rapporto che ognuno ha con le emozioni e responsabilità proprie ed altrui. Gli animali negli Zoo vivono in gabbia, sperimentando lo stesso confuso alternarsi di angoscia e liberatoria passività del giovane uccellino artista che li ritrae e che si vede negare qualunque possibilità professionale.
In lavori come The Artist, il mondo dei giovani artisti emergenti fa da spioncino con cui Haifisch guarda all’intero mondo attorno a sé. La prosaica miscela di vernissage fallimentari, scadenze, rapporti familiari ed amicali (il terrore di sentirsi chiedere “un disegno da appendere in bagno”), esplosioni di insicurezza represse nello scrolling compulsivo a letto sono tutti così familiari a chi oggi lavora con le arti visive che almeno inizialmente parte del successo dei fumetti dell’autrice poteva essere attribuita alla sua sicura presa presso il mondo degli addetti ai lavori.
Parlare di The Artist, Von Spatz, Drifter e i suoi altri volumi come di “arte per artisti” sarebbe quanto meno ingiusto, se non proprio miope. Ad esempio Von Spatz (da non molto pubblicato in inglese per Drawn & Quarterly) è completamente ambientato in un mondo a misura d’artista: peccato che sia una clinica per artisti depressi o esauriti, e non occorre uno sforzo eccessivo per immedesimarsi nella schizofrenia che viviamo quando le stesse forze che ci spingono al collasso e allo stremo (interne o esterne che siano) sono quelle che poi, dolcemente, ci offrono terapie e (apparente) consolazione.
C’è una tenue dolcezza ed un filo di emozionante speranza nelle nevrotiche vicende di questi fragili animali. La catarsi rimane sempre appena sussurrata, è possibile che si aprano squarci di calma e anche perché no di bellezza, a fare da contraltare all’asfissiante incapacità di trovare vere vie di fuga e luoghi a cui appartenere. Non è un caso che, nella pletora di ricchissimi riferimenti visivi, a farla da padrone spesso è il mondo fluttuante della grafica orientale (in alcuni casi citata direttamente, come nella breve parabola illustrata di Fuji-San).
C’è un sentore di ingenuità infantile in questi brevi lampi – spesso interrotti dall’ennesima telefonata di un cliente, da un amico che insiste per andare a questo o quel vernissage per farsi notare da un famoso art director, o da un attacco di panico immotivato – la consapevolezza un po’ stupida che tutto trema perché siamo noi a tremare, e non c’è davvero modo di scappare via da se stessi.