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La polemica sull’uso della parola “autistico” in Superman

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Lo sceneggiatore Brian Michael Bendis è finito al centro di polemiche sollevate da lettori e giornalisti a causa di un dialogo di Action Comics #1002, uscito negli Stati Uniti questa settimana, in cui la parola “autistico” viene usata in senso offensivo da un personaggio.

Russ Burlingame di ComicBook.com ha scritto per esempio che secondo lui «È difficile pensare che la DC avrebbe approvato il dialogo, se quel linguaggio umiliante fosse stato diretto ad altri gruppi di emarginati o di disabili, e il suo utilizzo qui − soprattutto perché è un fumetto di Superman − suona fuori posto e irritante».

Lo stesso Burlingame è poi intervenuto su Twitter, definendo «disgustoso» l’utilizzo della parola “autistico” in un fumetto e suscitando la reazione dello stesso Bendis. In un primo momento, lo sceneggiatore si è posto sulla difensiva, affermando che il termine è stato usato sì in modo dispregiativo, ma da un personaggio negativo, e non da un eroe, proprio per suscitare una reazione avversativa.

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«Già, è un insulto che non sopporto» ha dichiarato Bendis. «Mi è stato detto direttamente, e l’ho inserito nel fumetto per dimostrare quanto sia orribile, visto che è detto da un persona orribile che riceve subito il giusto castigo. Lo faccio sempre, nei miei fumetti.»

La scena in questione, infatti, vede il boss criminale Moxie Mannheim insultare per telefono uno dei suoi sottoposti, incapace di localizzare Superman su un computer.

Le motivazioni dello sceneggiatore non sono però state sufficienti, e altri lettori si sono shierati a favore della campagna di Burlingame, spingendo Bendis a cambiare la propria posizione, come affermato in un suo tweet successivo.

«Vi ho dato ascolto. Ho chiamato i miei editor e gli ho detto di assicurarsi che non compaia nelle prossime ristampe» ha confermato lo sceneggiatore. «Il linguaggio era duro. Quando cerchi di essere realistico, puoi davvero fare del male. Sapete che non era mia intenzione e mi avete aiutato a capire come sistemare le cose. Grazie.»

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