HomeComics"X-Men: L'era di Apocalisse": la rivoluzione mutante degli anni '90

“X-Men: L’era di Apocalisse”: la rivoluzione mutante degli anni ’90

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di Stefano Perullo*

La storia del fumetto di supereroi è fatta di piccoli (grandi) eventi che hanno contribuito a sconvolgerla influenzandone inevitabilmente il corso. Uno di questi eventi è di certo il crossover L’era di Apocalisse, pubblicato tra il 1995 e il 1996 e fortemente voluto – non senza correre rischi – dall’allora editor delle serie degli X-Men, Bob Harras. Al di là dei contenuti dell’evento, il crossover si distinse per la chiusura di tutte le serie mutanti, l’immediato rilancio con dei numeri 1 nuovi di zecca, nuovi spunti narrativi… insomma tutti elementi che sembrano (eccessivamente) caratterizzare l’asfittico scenario fumettistico odierno ma che, all’epoca, erano una novità assoluta.

Un evento che tanto ha influenzato il fumetto attuale e per questo motivo, grazie al bel lavoro compiuto dal blog castigliano Bajo la Mascara, mi sembra opportuno ripercorrerne la genesi (e scoprire qualche gustoso retroscena).

x-men era di apocalisse fumetto marvel

L’embrione di un’idea

Nel giugno del 1993 gli X-Men stavano vivendo un momento di enorme successo, ma a dispetto delle aspettative a solleticare l’immaginario dei ragazzini non erano le pur buone storie a fumetti prodotte nella X-redazione di Marvel Comics, bensì lo show animato prodotto da Fox TV in onda tutti i sabato mattina.

Bob Harras, editor delle testate mutanti, si recava periodicamente negli Studios della Fox per incontrarsi con i produttori dello show e discutere i possibili sviluppi narrativi della serie, assicurandosi che ciò che sarebbe stato trasmesso sul piccolo schermo avrebbe conservato inalterato lo spirito di quel che veniva pubblicato sulle pagine dei fumetti.

L’ufficio creativo della Fox sembrava molto interessato alle storie incentrate sui viaggi temporali. In un ciclo di episodi dello show era già stato introdotto Cable, e la buona accoglienza riservata al personaggio aveva convinto gli scrittori della serie a tentare qualcosa di analogo con Alfiere. Harras, però, era scettico. Non era affatto convinto dal far ripetere, in breve tempo, due storyline così simili, temeva che la serie potesse risultare ripetitiva. Suggerì, quindi, di cambiare qualcosa.

«Anziché piombare nel nostro presente, Alfiere potrebbe tornare ancora più indietro nel suo passato, modificando il flusso temporale e cambiando per sempre la storia degli uomini X…» Mentre profferiva queste parole, Harras cominciò a parlare più lentamente. Stava iniziando a realizzare le incredibili potenzialità della proposta che stava formulando. Quando l’incontro si concluse, l’editor delle testate mutanti avevagià preso la sua decisione: l’idea che gli stava frullando nella testa, sebbene ancora allo stato embrionale, era troppo buona per la serie televisiva. Era più che risoluto, quell’idea sarebbe stata utilizzata sui comics. Così, sull’aereo che lo riportava a New York, Harras iniziò a buttare giù, come se fosse posseduto dallo spirito della creatività, una lunga serie di appunti.

All’atterraggio il progetto era stato decisamente ben delineato. Cosa sarebbe accaduto se Charles Xavier non avesse fondato gli X-Men? Costretto dalle circostanze, di sicuro sarebbe stato Magneto, amico che inizialmente condivideva il sogno di integrazione di Xavier,  a formare il gruppo. Il mondo sarebbe un posto molto diverso, molto più oscuro di quello che i lettori dell’universo mutante erano abituati a conoscere, una realtà distopica molto distante da quella cui erano abituati i lettori.

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Più rifletteva sulla sua idea, più Harras si convinceva di alcune cose. La storia che sarebbe stata prodotta non sarebbe stata solo uno dei tanti What If…? visti fino a quel momento, sarebbe stata la saga mutante più spettacolare e ambiziosa di tutti i tempi. Harras era emozionatissimo, la prima cosa che fece, appena tornato in ufficio, fu convocare tutti gli autori del franchise. Non stava nei panni. Sentiva che, per la prima volta dopo la partenza di Jim Lee, aveva tra le mani qualcosa di così grande da riportate gli X-Men al centro dei riflettori.

Fare la rivoluzione

Alla base dell’idea c’era anche un approccio commerciale assolutamente rivoluzionario: chiudere, alla fine dell’anno, tutte le serie mutanti, salvo poi farle “rinascere” un mese dopo con otto nuove testate, ambientate in un universo in cui Charles Xavier era stato assassinato prima di fondare la sua scuola. La saga si sarebbe dipanata nel corso di quattro mesi e, una volta terminata, le X-serie avrebbero recuperato il loro precedente status quo. Si trattava di un’operazione davvero molto rischiosa, un vero e proprio salto nel vuoto.

Harras era consapevole di giocare con il fuoco, ma era talmente convinto dalla bontà della sua idea che riteneva minime le possibilità di potersi bruciare. Bisognava semplicemente essere tanto bravi da riuscire a incuriosire i fan degli uomini X (e dei fumetti di supereroi in genere) al punto di non voler leggere solo l’enorme crossover, ma anche di voler sapere cosa sarebbe accaduto dopo la sua conclusione.

Il lancio di nuove testate, con la conseguente rinumerazione, sarebbe stato un buon modo per avvicinare nuovi lettori, spaventati dall’idea di dover (o non poter) recuperare decine e decine di albi precedenti. L’entusiasmo di Harras era talmente sincero e difficile da contenere che, ben presto, contagiò tutti gli autori al lavoro sulle collane degli X-Men. Ribaltare il mondo facendolo ripartire da zero conferiva agli autori delle possibilità infinite. Per quattro mesi, liberi da paletti e legami di continuity, avrebbero potuto fare qualsiasi cosa, persino ammazzare Wolverine.

Tempesta di idee

Abbozzata l’idea e decisa la formula commerciale con la quale sarebbe stata proposta ai lettori adesso bisognava dare inizio al vero e proprio Brainstorming. L’unica certezza di Harras, Scott Lobdell e Fabian Nicieza era che, per dare inizio all’evento, Charles Xavier sarebbe dovuto morire. Ma c’erano alcuni nodi da sciogliere.

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Innanzitutto c’era da decidere quando. Al contrario di quanto si possa pensare, non fu semplicissimo decidere quando sarebbe dovuta essere collocata la morte di Charles Xavier, nella ben definita cronologia temporale degli X-Men. Dopo aver scartato varie proposte fu Lobdell a proporre di fare un balzo indietro nel tempo di circa vent’anni rispetto all’attualità delle storie narrate sulle serie regolari, fino al momento in cui Magneto e Xavier si trovavano in Israele. «Magneto non aveva ancora preso quelle decisioni che lo avrebbero spinto a diventare l’acerrimo nemico degli X-Men» pensò lo scrittore.

Stabilito il momento, sarebbe stato necessario decidere chi avrebbe dovuto sporcarsi le mani del sangue del leader mutante. Nessuno degli storici nemici di Xavier e dei suoi uomini aveva i mezzi e le motivazioni per compiere un balzo indietro nel tempo e cambiare la storia. Poi, come spesso accade, qualcuno ribaltò la prospettiva degli eventi e chiese: «Perché deve essere un avversario? Non è detto che debba essere Xavier l’obiettivo del crono-viaggiatore. Potrebbe essere qualcuno che torna indietro nel tempo per uccidere Magneto e che, invece, uccide il Professor X per caso».  La scelta, alla fine, ricadde su Legione, il potentissimo figlio schizofrenico del Professor Xavier, alle cui scriteriate azioni toccò di stravolgere il tempo e la storia.

Il grande evento invernale sarebbe, quindi, stato preceduto da un prologo pubblicato a incrocio sulle due principali serie mutanti, intitolato Alla ricerca di LEgione, nel quale il figlio di Xavier, catapultatosi nel passato, avrebbe ucciso per un tragico errore il padre, scatenando gli eventi che avrebbero portato alla nuova realtà ipotizzata da Harras & Co. Tutte le serie dell’universo X sarebbero terminate all’improvviso con un cliffhanger che avrebbe mantenuto i lettori con il fiato sospeso fino alla fine del crossover.

Tutti gli autori dell’X-staff si riunirono per una full immersion creativa in un hotel di Manhattan. Il mese di agosto fu quasi interamente dedicato alla stesura della Bibbia di personaggi, storia, scenari e ambientazioni del nuovo mondo. L’incipit di questa sorta di Silmarillion era più o meno questo:

Se la disperazione avesse una faccia, sul suo volto, con tutta probabilità, sarebbe impressa una risata. Benvenuti in America. Benvenuti in un mondo e in un’epoca folle. Anni fa, un mutante di nome Apocalisse conquistò questo paese.

Quando sulle macerie si elevò l’Homo Superior, gli esseri umani furono sopraffatti e sconfitti. Alcuni, i più fortunati, riuscirono a fuggire in Europa e Asia. Il resto è rimasto intrappolato, destinato a un fato inevitabile. Senza un giusto in grado di apporsi al despota malvagio, Apocalisse ha trasformato il mondo in un enorme campo di concentramento costituito da città devastate, fosse comuni ricolme di cadaveri e moltitudini di persone che soffrono di stenti sotto il regno dell’oscuro signore.

L’ultima speranza dell’umanità è la Pattuglia X guidata da Magneto.

Per gli autori che ci lavorarono l’aspetto più interessante e divertente di L’era di Apocalisse era quello di poter lavorare sulla psicologia dei personaggi, immaginare la loro evoluzione, fisica e psicologica, senza l’influenza del Professor X. Alcuni avrebbero cambiato schieramento, altri avrebbero avuto una personalità molto diversa, mentre altri ancora sarebbero rimasti più o meno fedeli al loro modo di essere. «In alcuni casi abbiamo esagerato, spingendo i personaggi a passare da un estremo all’altro» ha dichiarato Fabian Nicieza. «La Bestia, ad esempio, continua a essere intelligente, allegro e sarcastico, ma la sua natura di scienziato ha prevalso, trasformandolo in un genetista disumano, un sadico bastardo e senza cuore, divertito dal piacere che può causare.»

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La scelta di affidare il design grafico di tutti i “nuovi” personaggi ricadde su Joe Madureira. Balzato agli onori della cronaca meno che ventenne, al disegnatore di Philadelphia erano bastati pochi mesi su Uncanny X-Men per diventare uno degli illustratori più famosi e corteggiati d’oltreoceano.

La struttura della saga

La saga nella sua interezza fu sviluppata durante ore e ore trascorse in lunghissime riunioni di redazione, al termine delle quali era impossibile stabilire quale idea apparteneva a un autore e quale a un altro. «Ci è capitato di trascorrere diciotto ore di fila a discutere di Wolverine e di ciò che avremmo fatto con lui. Ma poi, una volta sviluppata la trama che lo riguardava ci si rendeva conto che non funzionava e la cestinavamo. Fu un lavoro estenuante» dichiarò Bob Harras. «Fabian Nicieza, ad esempio, propose che le due squadre di X-Men fossero affidate alla guida di Scarlet e Quicksilver, perché figli di Magneto. Ma durante una riunione qualcuno argomentò in maniera convincente sul perché Wanda non potesse essere ancora viva, suggerendo che il suo posto fosse preso da Rogue, diventata moglie del signore del magnetismo e madre di un neonato di nome Charles.»

Per la scelta del cast delle otto nuove collane fu lasciata ampia discrezionalità agli autori delle serie. Per la sua serie degli X-Men, Scott Lobdell scelse Blink, personaggio visto di sfuggita nell’evento Phalanx, e Morph (creato per la serie animata). Nicieza scelse, invece, personaggi come Quicksilver o Dazzler sui quali non aveva mai lavorato e, a capo del gruppo di fuorilegge della serie che occupò il tassello lasciato vacante dalla X-Force, scelse di puntare su Gambit.

Su Next Generation (che sostituiva Generation X) Lobdell e Bachalo decisero di adottare toni cupi e disperati, lontanissimi da quelli leggeri e divertiti della serie originale. Ciclope, protagonista di X-Factor, era diventato cattivo, mentre Jean Grey – coronando i desideri di molti fan – era diventata la compagna di Wolverine. Sfiziosa la scelta del nome della testata che avrebbe dovuto sostituire Excalibur: si optò per X-Calibre, nome scelto in origine da Chris Claremont per il super-gruppo britannico. Cable non era più il figlio di Scott Summers e Madelyne Pryor ma un clone creato in laboratorio da Sinistro combinando i geni dei due.

Un altro aspetto assolutamente rivoluzionario per l’epoca fu la furba strategia di marketing adottata per lanciare l’evento e aumentare l’attesa dei lettori (bisogna considerare che all’epoca Internet era ancora in fase di sperimentazione). Alcuni mesi prima che iniziasse la pubblicazione di L’era di Apocalisse si fecero trapelare, attraverso la stampa specializzata, voci inerenti la morte degli X-Men e la chiusura di tutte le testate mutanti. Successivamente si fecero trapelare i titoli delle nuove serie.

Intanto, nel resto del mondo…

Mentre fervevano i preparativi per il lancio di un maxi-evento destinato a lasciare il segno nella storia recente del fumetto statunitense (ma questo, ovviamente, i protagonisti dell’epoca potevano solo sperarlo) l’industria del fumetto stava apprestandosi a vivere uno dei suoi periodi più difficili. Nell’ottobre del 1994, un mese prima della pubblicazione dello speciale che avrebbe introdotto ai lettori il mondo di L’era di Apocalisse, sulla scrivania di Terry Stewart (l’allora presidente della Marvel), come di consueto, arrivarono i consuntivi di vendita dell’ultimo anno.

Un vero disastro. I peggiori dati di vendita registrati dalla casa editrice sin dalla creazione del mercato diretto (dalla nascita, cioè, delle fumetterie). Analizzando i dati, inoltre, balzava evidente agli occhi che non solo non si avvertivano segnali di ripresa, ma i dati peggioravano mese dopo mese. Una vera emorragia. Ovviamente il problema non era solo della Marvel, tutte le case editrici soffrirono dell’emorragia di lettori, e le più piccole si videro costrette a chiudere i battenti.

A partire dall’inizio degli anni Novanta il mercato del fumetto era stato oggetto di una bolla speculativa (ricordate i lanci, con vendite milionarie, de La morte di Superman o delle nuove collane di Spider-Man, X-Men e X-Force?), migliaia e migliaia di collezionisti, sperando nel miraggio di far soldi facili acquistando decine di copie di albi “speciali” e edizioni variant, avevano fatto crescere a dismisura i dati di vendita, ma non il numero dei lettori. La bolla speculativa esplose, mettendo a nudo la debolezza del settore, quando questi speculatori smisero di farsi abbindolare dalle facili promesse di guadagno (e con loro centinaia di lettori, stufi del proliferare di serie, dello sfruttamento massivo dei loro personaggi preferiti e dell’eccesso di offerta, smisero di comprare le serie che erano abituati a seguire). Il mercato stava per implodere e solo i più forti sarebbero stati in grado di ereditare quel che ne sarebbe rimasto.

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Terry Stewart e il suo gruppo dirigenziale erano a caccia di colpevoli e di strade da percorrere per scongiurare il peggio. I primi a essere individuati come responsabili della crisi furono i distributori, in particolare Diamond e Capital. Il fatto che Marvel apparisse sui loro cataloghi al pari di DC Comics, Image, Malibu e di altre decine di editori, sminuiva l’impatto della casa editrice e avvantaggiava la concorrenza. Si decise, dunque, di comprare un distributore e auto-distribuirsi. Si acquisì World Heroes, piccolo distributore regionale che si dimostrò non pronto a distribuire i fumetti della Marvel in tutto il mondo (e infatti, anni dopo, quando la crisi dell’editore si aggravò, il distributore fu liquidato e la casa editrice tornò sotto l’ombrello distributivo di Diamond).

Altro problema: la casa editrice annoverava 275dipendenti. Troppi. La metà di questi fu licenziata, e tra di loro anche Tom De Falco, Editor-In-Chief responsabile di tante assunzioni (e non aveva importanza se le assunzioni fossero il frutto della scriteriata politica di aggressione al mercato voluta dallo stesso Stewart).

La ristrutturazione voluta da Stewart continuò nei mesi successivi. Si acquisì la Malibu, in modo da far fuori un concorrente e acquisirne i coloristi (all’avanguardia rispetto a quelli della Casa delle Idee). Si ruppero i rapporti con tutti i vecchi distributori al fine di evitare qualsiasi tipo di intermediazione. Si ridusse radicalmente il parco testate e si avviò la “Marvelution”, una fase editoriale che puntava al rilancio dei classici personaggi della casa editrice. Al posto di Tom De Falco, non fu nominato un nuovo Editor-In-Chief, ma il parco collane della Marvel fu organizzato in cinque divisioni ognuna affidata a un capo reparto. Un’organizzazione dettata anche dalle precedenti esperienze di Stewart, proveniente dal settore della riorganizzazione aziendale.

L’unico capo confermato alla guida di una divisione fu Bob Harras, che nonostante la crisi del mercato era l’unico che era riuscito a tenere a galla le vendite delle sue serie, anche grazie all’intuizione avuta con L’era di Apocalisse.

Proselitismo

All’improvviso Bob Harras diventò la guida da seguire. L’editor da cui prendere esempio. Tutti sembravano voler adottare per il loro sottouniverso la struttura de L’era di Apocalisse. Gli Avengers e Spider-Man furono coinvolti in progetti similari (al termine dei quali, tanto per fare un esempio, Tony Stark tornò adolescente). Nonostante il crossover mutante sia stato il più grande successo della storia recente della casa editrice, l’applicazione della sua formula agli altri eroi non convinse i lettori e mise a nudo la pochezza delle idee. Le vendite continuarono a calare e, mentre Terry Stewart fu trasferito ad altri incarichi, Jerry Calabrese – un avvocato di New York – divenne il nuovo presidente della Marvel e continuò a chiudere serie su serie.

La creazione del mega-evento convinse Harras che per continuare a mietere successi era necessario continuare a sconvolgere i lettori. Ogni anno bisogna rivoluzionare radicalmente le serie mutanti. Cambiare gli autori, uccidere un personaggio. Bisognava dare ai lettori quella sensazione di continuo cambiamento che li avrebbe incuriositi e spinti a continuare a seguire le serie. Harras, però, so sentiva l’unico custode della verità mutante.

Mentre si lavorava alla realizzazione di L’era di Apocalisse, l’editor aveva assunto Mark Waid per riscrivere alcuni dei testi degli speciali che avrebbero funto da introduzione e conclusione dell’evento. Quando Fabian Nicieza si rese conto della cosa, comunicò immediatamente la sua intenzione di lasciare il franchise mutante. Il tempo di chiudere alcune trame (e aspettare che maturassero i termini per riscuotere un sontuoso assegno per le royalty) e lasciò X-Force e X-Men. Al suo posto subentrarono Waid e Jeph Loeb, mentre si iniziarono a far strada nuovi autori come John Francis Moore, Terry Kavanagh e Howard Mackie. Prima o poi tutti cominciarono a chiedersi (e a chiedere): «Chi ha cambiato i miei dialoghi?».

Ufficio Editoriale

La risposta risultava essere, in genere, sempre la stessa: il fantomatico Ufficio Editoriale. Nessuno sapeva con precisione chi fosse a occuparsi di revisioni di testi e vignette, quel che era certo era che qualcuno si ostinava a farlo con una professionalità molto discutibile. I dialoghi inseriti al posto di quelli rimossi erano spesso piatti, senza alcuno stile letterario e spesso pieni di strafalcioni. Non era da meno il trattamento riservato ai disegnatori che, consultando gli albetti stampati, scoprivano l’esistenza di vignette (o anche solo semplici particolari) ridisegnate. Ma chi si occupava di queste correzioni? Ben Raab? Suzanne Gaffney? Lisa Patrick? Lo stesso Harras? L’ufficio editoriale.

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Nel frattempo si svolse il meeting organizzato per stabilire come avrebbero dovuto svilupparsi le trame nei mesi successivi. Un fitto brainstorming che coinvolse tutti gli autori al lavoro sulle X-serie. Tre giorni dopo, però, l’Ufficio Editoriale comunicò agli scrittori che non era soddisfatto delle idee partorite nel corso della riunione e che quindi ne erano state sviluppate altre. Alcuni autori fecero fatica ad adattarsi a queste ingerenze, altri (considerando anche il lauto assegno che si percepiva per scrivere X-Men & Co.) fecero buon viso a cattivo gioco. Quando fu assunto, ad esempio, a Jeph Loeb furono date due direttive: nessun viaggio nel tempo e nessuna storia ambientata a Genosha.

Poco dopo, però, l’editor Lisa Patrick gli chiese di non sviluppare la trama proposta per Cable #25 e coinvolgere, invece, il bellicoso mutante in un viaggio nel tempo che sarebbe culminato con un ritorno a Genosha. Loeb scrisse la storia seguendo le istruzioni dell’editor, ma nonostante questo il finale dell’albo pubblicato era ben diverso da quello che aveva scritto. Ma questo, tuttavia, è materiale per un altro articolo.


*Questo articolo è stato originariamente pubblicato sul blog Comix Factory e qui riadattato per l’occasione.

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