Tillie Walden è una giovane autrice americana poco più che ventenne, che ha già all’attivo varie pubblicazioni. In appena qualche anno ha fatto parlare molto di sé nel mondo del fumetto indipendente e d’autore, e non solo (è fra l’altro tra le autrici del doodle di Google dedicato alla Festa internazionale della donna).
La storia di com’è diventata una fumettista sembra una favola, quella che ogni aspirante autore vorrebbe per sé. Cresciuta leggendo Osamu Tezuka, Yoshihiro Togashi e Rumiko Takahashi ma anche Alison Bechdel, Craig Thompson e David Small, su incoraggiamento del padre segue un corso di fumetto tenuto da Scott McCloud e decide di dedicarsi al disegno, iscrivendosi al Center of Cartoon Studies di Hartford. Sempre su insistenza del padre, apre un sito web dove pubbblica i suoi lavori, e viene così scoperta dalla casa editrice Avery Hill Publishing. Presa dal panico, chiede di essere ricontattata alla fine degli studi. E, con sua grande sorpresa, la casa editrice la richiama dopo il diploma. Di lì a poco, nel 2015, esce The End of Summer.
Il libro è una favola trasognata e grottesca che racconta di una famiglia numerosa e aristocratica rinchiusa in un palazzo grande e sontuoso, da cui nessuno può uscire per via del rigido inverno destinato a durare anni. Al centro del racconto ci sono il piccolo Lars, dalla salute malferma, la sorella Maja e il gatto gigante Nemo. Le scene si susseguono in un’atmosfera sospesa e vaga, dai contorni onirici. E del resto il nome e le dimensioni stranianti del gatto, come le architetture labirintiche e cristalline, sono un evidente omaggio al capolavoro di Winsor McCay, Little Nemo in Slumberland, che Tillie Walden amava leggere da bambina.
L’attenzione all’ambiente in cui i personaggi si muovono è una delle caratteristiche distintive del lavoro dell’autrice ed è legata al suo modo personale di vedere le storie:
Mi piacciono gli sfondi perché mi piace fare storie in cui hai la sensazione di dover andare da qualche parte. Nei grandi spazi, o nei punti in cui si può vedere solo in parte la fine di un corridoio o girare appena intorno a un albero, c’è sempre la possibilità che accada qualcosa, che ci sia una storia.
L’espediente di alterare le proporzioni tra personaggi ed elementi del paesaggio torna in un’altra chiave in I Love This Part, racconto dell’amicizia e dell’amore tra due ragazze. Le protagoniste sono talmente immerse nel loro universo emotivo da giganteggiare sulla città e sull’ambiente circostante. Adolescenti innamorate e incuranti del mondo, tanto da annullarlo e rimpicciolirlo.
Le loro conversazioni, apparentemente fatte di nulla, di materia effimera, sono per loro tutto. Il disegno essenziale eppure preciso rende visibile l’emozione e trasforma l’ambiente in una cornice che la amplifica. L’obiettivo di Tillie Walden non è rappresentare la realtà ma darne un’interpretazione soggettiva ed emozionale. Lei motiva questo proposito ragionando sui lavori dello Studio Ghibli:
Penso che la cosa più bella dei film dello Studio Ghibli sia che l’animazione, per esempio il modo in cui sono rese le lacrime, non è basata su come effettivamente sono fatte le lacrime, ma su come le lacrime ti fanno sentire. Appaiono quindi grandi e soverchianti. Il modo in cui si muovono i capelli, o i vestiti, non è come nella realtà ma come lo si percepisce. E questa cosa c’è anche nel mio lavoro. Mi interessa molto di più la sensazione che la verosimiglianza della situazione.
Le sue sono storie rarefatte, immerse in una dimensione soggettiva surreale ma non irreale: ingredienti che ritornano anche in A City Inside, fumetto che mostra il percorso di crescita di una giovane donna. Tillie Walden ricrea con sempre maggiore abilità la dimensione del sogno. O, meglio, del dormiveglia, quel limbo in cui emozioni e immaginazione si sentono in diritto di modellare le cose e dove per questo ci si sente più potenti e più liberi. Come spiega l’autrice in un’intervista rilasciata a Paul Gravett:
Amo tanto giocare sul concetto di veglia e sogno. Per gran parte della vita ho avuto la sensazione di scivolare tra questi due stati, ecco perché penso di averlo riprodotto nei miei fumetti a lungo. Era semplicemente una strategia di adattamento mentre crescevo. Era più facile restare tra i sogni che stare svegli nella realtà. E anche se questa sensazione oggi mi rende triste, provo un po’ di nostalgia per il periodo in cui vivevo così, ecco perché mi piace creare personaggi che vivono in questa dimensione. Il fumetto è perfetto per trasmettere questa idea, secondo me. Quando leggi un fumetto semplicemente vai avanti e accetti in partenza tutto quello che l’artista stabilisce per te. È quindi facile per me guidare il lettore attraverso qualsiasi stato emotivo in cui voglio che stia.
Forse questa dimensione sognante è legata anche al ritmo di lavoro di Tillie Walden, che è solita alzarsi alle 4 del mattino per poi mettersi a disegnare. Un’abitudine spartana presa quando, da ragazzina, cominciava all’alba gli allenamenti. Proprio la sua infanzia di sportiva è al centro del memoir Trottole (suo primo lavoro ad arrivare in Italia, pubblicato da Mondadori Oscar Ink), graphic novel rielaborato a partire dalla tesi del secondo anno alla CCS.
Tillie Walden dà un’immagine del pattinaggio artistico diversa dalla solita, tutt’altro che patinata. Descrive la durezza degli allenamenti, la tensione prima delle gare, la delusione del secondo posto. Mostra la noia per gli esercizi sempre uguali, l’idea tante volte accarezzata di mollare, la scelta, sentita come poco coraggiosa, di continuare. E ancora racconta il bullismo subito a scuola, il primo vero amore prima corrisposto poi avversato, la consapevolezza sempre più forte di essere omosessuale.
Il percorso sportivo è il filo conduttore che rievoca il passaggio dall’infanzia all’adolescenza, la trasformazione di una bambina fragile e vulnerabile in una ragazza forte e determinata. Il disegno limpido e i colori delicati danno forma al senso di incompiutezza dell’autrice-protagonista e costruiscono un racconto dolce ma schietto. Che, certo, tradisce il punto di vista di chi sente in qualche modo di avercela fatta, di aver superato un grande scoglio:
È catartico e bizzarro fare un memoir così, soprattutto perché la mia non è esattamente l’età in cui si fanno memoir. È gratificante. Fare questo libro è stato un passo importante, sento di aver elaborato e archiviato gran parte del mio passato. Finito Spinning mi sono sentita adulta per la prima volta.
L’autrice ha descritto il suo metodo di lavoro in diverse interviste (Paste Magazine, Guardian, The Comics Journal). Non ama riempire i quaderni di schizzi, bensì preferisce concentrarsi su un progetto compiuto e portarlo a termine con estrema rapidità. Il suo rimedio al blocco creativo è disegnare sempre e comunque, perché un fumetto brutto è un buon prezzo da pagare per superare lo spauracchio della pagina bianca. Tende a cambiare tipo di carta, pennelli e pennarelli a seconda del progetto cui sta lavorando.
Disegnare a ritmo sostenuto, modulare un linguaggio grafico immediato ma non banale, sviscerare attraverso il fumetto la propria personale visione del mondo e della vita: sembra tutto naturale per Tillie Walden. Di una naturalezza spesso complessa e indefinibile, come il racconto di un sogno. Con questa capacità di catturare lettori e lettrici, e con questa energia nell’esplorare il suo modo di fare fumetto, in futuro Tillie Walden potrà portarci molto lontano.